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394 nota sul testo

della paternità roselliana di tutt’e due le sestine, ma il Mancini vide bene che la situazione della prima (Forza d’erbe) in quel cod. era diversa. Mentre l’altra sestina si trova in mezzo a sonetti e canzoni certamente del Roselli, questa invece è trascritta all’inizio delle composizioni roselliane, subito dopo una copia del Canzoniere petrarchesco fatta dalla stessa mano. Ivi Forza d’erbe è intitolata semplicemente Sestina, accanto a cui un’altra mano aggiunse poi Rosellus. Forte anche dell’autorità del Vat. 3213 e della trascrizione secondo lui più corretta di questo cod. e del Magliabechiano, il Mancini sostenne l’attribuzione di Forza d’erbe all’A. e la ristampò come sua (ed. cit. p. 208). Il Bruti accennò, senza discuterla, alla attribuzione all’A. di questi codici, confessò che «la chiusa della sestina come è in questo ms. (il Magl. VII. 1145) è assai più chiara che nel Riccardiano», e perciò accettò la lezione degli ultimi versi del cod. che la dà all’A., anziché l’autografo del Roselli stesso1.

Le ragioni per cui escludo le due sestine sono perciò diverse. La posizione di S’i’ ritornassi nell’autografo del Roselli mi pare che confermi l’attribuzione a lui contro la testimonianza del Magliabechiano. Per Forza d’erbe, contro le giuste osservazioni del Mancini bisogna dire che pesano altre considerazioni di ordine interno. Prima di tutto, il Ricc. porta correzioni del Roselli, il quale ha raschiato qua e là qualche parola o frase e sostituito altre lezioni sue che non figurano negli altri codici2. È difficile credere che abbia voluto far questo su un testo non

  1. Ecco gli ultimi tre versi secondo il cod. Ricc.:

    Per le false parole et aspro nodo
    d’Amore, e tanta guerra mi fa ’l cielo,
    chiamo Morte ogni giorno per mia donna,

    e secondo il Magi, e il Vat.:

    Le parole d’amore e l’aspro nodo
    e la guerra del cielo e di mia donna
    mi fa chiamar la morte notte e giorno.


     Si noti il cambiamento delle parole-rima e il fatto che il primo verso del congedo in tutt’e due le redazioni non riprende la parola-rima dell’ultimo verso della stanza precedente (che sarebbe ‘parole’). Nelle sestine dell’A. quest’uso è invece normale.

  2. Do qualche esempio. Al v. 24: «Ella si fugge e a me s’oscura el cielo» a me è scritto sopra raschiatura (probabilmente di poi che è lezione degli altri due codici); al v. 27: «né che udite sieno mie parole», scritto sopra raschiatura (gli altri codd.: «e che non sieno udite mie parole»); al v. 29: «che po più che non po homo né donna», scritto sopra raschiatura (gli altri codd.: «che ha possanza più ch’ogni altra donna»). Per altre varianti cfr. l’ed. cit. del Mancini.