Novelle (Sercambi)/Novella VIII

Novella VIII

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VIII


La notte riposatosi il preposto e l’altra brigata in Firenze, levandosi la mattina e ricordandosi della mala giustizia per lo conte ditto fatta, biasmando molto tale signoria, e’ voltòsi verso l’autore dicendo: «Noi abiamo a fare lungo camino verso Siena e assai increscevole; e pertanto per non patire affanno ne faremo ii giornate, faccendo stasera posata all’albergo della Bell’Oste a l’Ancisa». L’autore rispuose di farlo e voltatosi alla brigata disse:


DE TRANSFORMATIONE NATURE

Di messer Renaldo de’ Buondalmonti di Firenze.


In Firenze, dove stanotte albergammo, era uno giovano cavalieri nomato messer Renaldo Bondalmonti, assai ricco e bello e gran vagheggiatore, che più giovane vergini per la sua astuzia avea condutte a fare la sua volontà; e simile a molte maritate avea fatto puoner a’ loro mariti le corna in capo e disonestamente molte vedove e monache avea avute, intanto che molti richiami i parenti del ditto messer Renaldo aveano. E perché era di gran casa ognuno sel comportava meglio potea.

Divenne, i ditti parenti un dìe avendo messer Ranaldo con loro a desnare li disseno male de’ modi tenea e il pericolo che di ciò si potesse avere, lodandoli il togliere moglie. E doppo molti parlari, il ditto Ranaldo, volendo alla volontà de’ parenti consentire e dubitando che a lui non fusseno poste le corne come ad altri l’avea già poste, disse: «Poi che vi piace che io prenda moglie, io la vo’ prendere a mio senno». Li parenti consentendo dissero: «Quale [p. 44 modifica]ti piace faremo l’arai». Rispuose messer Ranaldo: «A me piace Ginevra, figliuola di messer Lanfranco Rucellai: bene ch’ella sia povera, ella è ben nata et onesta fanciulla; che io so quello mi dico, tante n’ho provate in questa terra».

La ditta Ginevra era bellissima et onesta e simplici, che mai domestichezza di persona avea auto, né mai di casa uscita non era e quasi non pensava fusse in Firenze altri che ’l padre e la madre, perché mai non si puose a finestra e poche persone in quella casa entravano; e così, puramente s’era stata. Parendo a messer Ranaldo poterla a suo modo condurla, disse a’ parenti che quella volea.

Li parenti, subito partitosi e trovato messer Lanfranco, la loro intenzione li dissero. Messer Lanfranco questo udendo, parendoli che costoro lo beffasero disse: «Dite voi da dovero?» Rispuoseno: «Sì, messer Renaldo l’ha adomandata, che se sete contento non vi date impaccio di niente: lui la vuole prestamente e noi abiamo da lui di poterla fermare». Messer Lanfranco, contento, distese la mano; e impalmegiatola, li parenti di messer Ranaldo si partirono e tornoron a messer Renaldo dicendo ch’ella era ferma. Messer Lanfranco, tornato a casa, alla sua donna disse il fatto. La donna contentissima disse a messer Lanfranco che trovasse uno notaio che vegna con messer Ranaldo acciò che il matrimonio si fermi, pensando che messer Renaldo non si pentisse.

Partitosi messer Lanfranco e trovato messer Ranaldo, abracciandosi insieme, messer Lanfranco disse quello che la donna l’avea imposto. Messer Ranaldo contento, trovato li suoi parenti e uno notaio e preso un bellissimo anello, a casa di messer Lanfranco n’andarono, dove quine messer Lanfranco con alcuni suoi parenti et alcune donne trovarono. Venuto il notaio e fatto lo contratto, messer Ranaldo li misse l’anello; e prima che di quine si partissero, dienno ordine che ’n dì xx ferraio, che venir dovea in domenica, la volea menare. E così ordinato, li panni si fenno tagliare et ogni altra cosa, in presenzia di tutte le donne, prima che di quine neuno si fusse partito.

Tagliati i panni e dati al custore e portatoli a bottega, messer Ranaldo stimò voler condurre questa sua sposa a suo modo, acciò che beffe non ne li possa venire. [p. 45 modifica]

E preso la misura dello ’mbusto e delle braccia e delle gambe da’ panni tagliati, senza a persona apalesare sua volontà, e con tali misure se n’andò a uno armaruolo dicendo: «Io voglio una barbuta et un paio di bracciali, e guanti corazza e gambiere, et una spada, che tra ogni cosa pesi libre v, lustranti belle e atte, che chi se l’ara a mettere in dosso per sé solo le possa vestire senza alcuno aiuto». Lo maestro, ch’era intendente, disse: «Io vi servirò che tra qui e x dì ogni cosa arete, tali che paranno d’ariento. Ma io voglio d’ogni cosa fiorini xl». Messer Renaldo disse: «E tu questi abbi». E di presente lel diè dicendo che sia servito presto e bene, E con alcuna misura presa dello ’mbusto e delle braccia se n’andò a uno giubonaio e fe’ fare uno giubettino all’analda et una camicia corta per poter sopra quelle metter l’armadura, e simile calze. Ordinato e fatto i panni e l’armadura, messer Renaldo nascosamente alla casa sua portò l’armadura e giubettino calze e camicia et in uno scrigno le misse, serrato a chiave. La chiave messesi al lato.

E venuto il giorno che la sposa ne dé venire, dato e fatto lo ’nvito e le vivande, e la brigata missa a mensa, il giorno ballato e tutte cose fatte che a tal festa si richiede, così della cena come dell’altre cose; passato già mezzanotte, la madre della sposa quella messa in camera e amaestratola che ubidisca in tutte le cose messer Renaldo, pregandola non facesse motto né a persona dicesse quello che messer Renaldo li facesse, la fanciulla simplici disse: «Madre mia, io farò tutto ciò che mi comandate e quello che mi comanderà messer Renaldo». La madre lieta la misse inne’ letto.

E acompagnata la brigata, rimase messer Renaldo solo in casa con una sua zia di tempo, la quale con le suoi orazioni se n’era andata a dormire. Chiuso messer Renaldo l’uscio e le finestre, venuto in camera, disse: «Ginevra». A cui ella disse: «Messere». Lui disse: «Lèvati e vieni qua». La sposa, in camicia, simplici, si leva e va a messer Renaldo. Messer Renaldo trattoli la camicia, ella rimase nuda che pareva come nieve. Quasi messer Renaldo non potea tenere che così non l’adoperasse, ma per non darli questo modo sofferse la pena (che non so qual si fusse stato sì fermo che almeno non l’avesse baciata). E cavato fuori la camicia, <il> [p. 46 modifica]giubettino e le calze a Ginevra le fe’ mettere, e dapoi l’arme, colla spada in mano. E poi preso uno doppioncello acceso, e in mano lel messe e disse: «Ginevra, stà in capo di scala, in su l’uscio della camera». Et insegnòli il modo e Ginevra tutto fece.

Messer Renaldo scese alquanto la scala e poi montò suso et in braccio la prese, e così, subito <in su’ letto> la puose: avendosi cavato le mutande e avendo lo ’ngannatore ritto, li salìo in sul petto e isverginòla. Ginevra, sentendole alquanto, misse un pogo di voce; messer Renaldo disse: «Di vero costei ho pure avuto pulcella». E stato un poco messer Renaldo disse: «Ginevra, stà su et aspettami in su l’uscio della camera co’ lume». Ginevra mossasi et andato a l’uscio della camera col doppioncello acceso, messer Renaldo scese alquanto la scala, e su sagliendo, prese in braccio Ginevra et in su’ letto la puose, né prima la lassò che un’altra volta messe lo ’ngannatore innel luogo usato. Allora Ginevra, sapendoli buono, disse: «Buona cosa è andarne a marito». E stato alquanto messer Renaldo disse: «Sposa mia, buono sarè’ che in su l’uscio della camera fussi». La giovana, già imparato il modo, subito scese de’ letto, e apreso il doppione, in su l’uscio si puose. Messer Renaldo smontato alquanto la scala e poi sagliendo, la prese et in su’ letto la puose; e quine la terza volta contentò il suo ingannatore. Ginevra, parendoli dolcissimo, disse: «Ben abia chi marito mi diede». Messer Renaldo vedendo ch’era presso a dì, volendo alquanto posare, disse a Ginevra che si spogliasse e nuda inne’ letto ritornasse colla camicia che la madre li avea lassata. Ginevra subito ubidìo e, trattosi l’arme, la camicia lunga si misse et innel letto da uno de’ lati si puose, né messer Renaldo a lei s’acostò.

La mattina, levato il sole, messer Renaldo levatosi per dare ordine alla festa, e la sposa inne’ letto rimase fine che la madre de’ letto la venne a cavare, dicendole: «Figliuola mia, hai fatto a senno di messer Ranaldo?» La fanciulla rispuose che mai non fu la più contenta: «Tanta dolcezza ho sentito, benché un poco, di prima, mi paresse fatica. E di vero io sono contenta che m’avete maritata, tanta dolcezza ho sentita stanotte». La madre, che ode la figliuola esser stata la notte gioiante, fu molto lieta. [p. 47 modifica]

E fatto lo giorno festa, la sera, partitosi le persone, messer Renaldo disse: «Ginevra, àrmati». Ginevra presto fu armata, et acese i’ lume spettando. Messer Renaldo, subito montato la scala, la prese e in sul letto la puose, e quattro volte la notte fe’ suo piacere; e poi ritornò a letto, al modo usato rivestita della camicia e da l’uno de’ lati coricatasi. E questo modo tenne molte notti, tanto che <le> nozze funno livre.

Dapoi messer Renaldo, vedendola sperta della notte, pensò farla sperta del dì. Et uno giorno li disse, avendo chiuso le finestre maestre e li usci: «Ginevra, àrmati». Ginevra disse: «O armansi le giovane lo dì?» Messer Renaldo disse: «Sì». Allora Ginevra intrata in camera et armatasi e preso il doppioncello et acceso alla lampana e venuta in su l’uscio, messer Renaldo montata la scala disse: «De dì non bisogna lume». E presela in braccio spegnando i’ lume. Entrato in camera, essendo aperte le finestre, in su’ letto la puose e la sua volontà fornìo. Ginevra parlando disse: «Se di notte fu dolce il fatto, ora veggo che i’ lume del dì non bisogna». Messer Renaldo, per più apetirla, disse che buon sarè’ che fusse in su l’uscio armata. <Ginevra>, gittatasi presta de’ letto, in su l’uscio si puose. Messer Renaldo subito scese la scala, e rimon- tato, in braccio la ricolse et in su’ letto la puose e quine il secondo dono li diede; e poi disse che si disarmasse e de’ suoi panni si vestisse. E così prestamente Ginevra si disarmò e rivestisi, dicendoli messer Renaldo: «Omai saperai fare!» Disse Ginevra: «Omai sono bene amaestrata».

E dimorando insieme e più volte la stimana fattala armare, pervenne che uno dì <a> messer Renaldo fu rapresentata una lezione della podestaria di Perugia con buono salario, per sei mesi. Li parenti di messer Renaldo ciò sentendo, disseno che accettasse perché era onorevile officio: «E lasserai con tua zia Ginevra per questi vi mesi». E tanto li disseno, ch’e’ fu contento et acettò. E diede ordine di cavalcare, dicendo alla donna: «Ginevra mia, io vado a Perugia, là u’ io guadagnerò de’ denari per fare una bella palandra. Tornerò presto: fà che si’ savia». Ginevra, ch’era simplici senza malizia, disse che era contenta. E così la lassò alla zia in casa. [p. 48 modifica]

Stato alquanti mesi all’oficio messer Renaldo, e spesso alla donna sua lettere et alcuno gioiello <mandava>, dicendo che bene stava. La donna contenta, un dì, stando ella alla finestra, uno giovano chiamato Chimento, nato di uno artifici assai di bassa mano, vedendo costei così bianca si s’innamorò di lei in tal modo che doppo <non> molti dì si misse in sul letto malato. La madre, vedendo Chimento suo figliuolo che < . . . . . . > non avea, disse: «Figliuolo, che hai?» Lo figliuolo disse: «Io muoio, madre mia». La madre il domandò. Lo figliuolo disse: «Lo male che io hoe voi non me ne potete aiutare». La madre desiderosa del figliuolo disse: «Ogni cosa farò pur che tu guarissi». Chimento disse: «Madre mia, Ginevra di messer Renaldo mi fa morire». La madre, ciò udendo, subito la mattina rivenente se n’andò a Santa Riparata, là u’ e’ alcuna volta l’avea veduta.

Et essendo a Santa Riparata, vidde venire Ginevra colla zia del marito; e subito andato loro incontra, disse quando aveano auto léttore da messer Renaldo. Rispuoseno: «Ogni dì, e sta molto bene». E così entrato la vecchia in parole con Ginevra, sì si puose a sedere; la zia del marito andò a uno altare a dire suoi orazioni. La vecchia, vegendo Ginevra sola, si puose a lato dicendo: «Figliuola, l’anima tua andrà inne lo ’nferno per uno che fai morire». La fanciulla disse: «Oimè, o chi fo io morire?» La vecchia disse: «Uno mio figliuolo dolcissimo». Ginevra disse: «O perché?» Lei disse: «Perché non le vuoi donare il tuo amore». Ginevra disse: «Giamai noi viddi». La vecchia disse: «Elli hae bene veduto te e dice che tu se’ la piú bella giovana di Firenze e se tu volessi che stasera venisse a dormire teco». Ginevra disse: «O che dirè’ messer Renaldo?» Disse la vecchia: «Elli non c’è, non dirà nulla». Ginevra, udendo che andarè’ innello ’nferno, per paura disse che era contenta e che la sera venisse per modo che altri non se ne acorgesse.

La vecchia, auto quello che volea, tornò al figliuolo e disseli tutto ciò che avea ordinato, dicendoli: «Figliuol mio, confortati che stasera goderai quel gigliozzo». Chimento, fattosi forte, spettando la sera; Ginevra spettando la sera che Chimento dovea venire (avendo ella volontà dell’uomo perché era stata ella senza messer [p. 49 modifica]Renaldo iiii mesi), pensò ella che Chimento la vorrà godere come la godea il marito: subito venuta la sera entrò in camera, e la zia se n’andò a dire suoi orazioni.

Ginevra armata di tutte armi, con una spada nuda in mano e con un doppioncello aceso, in capo di scala spettando Chimento; Chimento, veduto la sera fatta e l’uscio aperto, subito sagliendo le scale et in un salto alzando gli occhi, vidde quello armato: di paura gittatosi giù per la scala, quella scese e con tremo se n’andò a casa, dicendo alla madre che quanti panni sono in casa li metta a dosso, tal era il tremo ch’elli avea. E così la madre fece, non potendo allora dal figliuolo altro sentire. Ginevra veduto Chimento fuggire, non sapendo la cagione, chiuse l’uscio e disarmòsi, et a letto s’andò a posare.

Riscaldato Chimento alquanto, la madre di Chimento dicendo quello che avea, Chimento disse che alla morte fu presso a du’ dita, dicendo: «Un omo con una spada nuda in mano, tutto armato, mi volse dare in sulla testa. E se non che io mi gittai giù dalla scala, m’arè’ fesso fine a’ denti». La madre, ciò udendo, confortò il figliuolo, dicendo: «Io saprò domane come sta la cosa».

Venuta la mattina, la vecchia levatasi molto per tempo e andata a Santa Riparata spettando Ginevra, e poco stante, Ginevra colla zia innella chiesa entrarono. E come dinanti aveano fatto, cosí la mattina seguìo: che postosi Ginevra a sedere, la vecchia al lato se li apostò, dicendo: «Or ben veggo che l’anima tua andrà in inferno, che vuoi che ’l mio figliuolo muoia». Ginevra disse: «Oh, io l’aspettava et elli non volse venire, avendoli lassato l’uscio aperto. E però, prima che io voglia che l’anima mia vada in inferno, diteli che stasera vegna a me». La vecchia, contenta, sperando che così fusse, tornò al figliuolo e tutto li disse. Lo figliuolo, contento, diliberòvi d’andare un poco più tardi che la sera dinanti.

Ginevra e la zia tornate a casa, la sera venuta, Ginevra armatasi al modo di prima; Chimento, sonato la grossa, a casa di Ginevra ne gìo. Né miga parve avuto male: ché, montato quasi le scale e alzati li occhi, vidde quello armato e di paura tutta la scala cadde e quasi non si fiaccò il collo e uscio fuori e più cattivo alla madre tornò. Ginevra, vedendo questo, pensò: «Costui fa beffe [p. 50 modifica]di me». E chiuso l’uscio e disarmata, a letto s’andò a posare.

La vecchia, desiderosa di ritrovarsi con Ginevra per dirle villania, tutta la notte non dormìo e la mattina se n’andò alla casa di Ginevra per vedere se di quella alcuno omo uscisse. E stato alquanto, la zia di Ginevra uscio fuori senza Ginevra et andò alla chiesa. La vecchia, vedendo aperto l’uscio, pensò trovar Ginevra innel letto con qualche omo, per poterla vituperare, e saglìo le scale. Ginevra che levata era faccendo alcuna massarizia di casa, come vidde la vecchia disse: «Veracemente il vostro figliuolo m’ha voluta mottegiare, che du’ volte l’ho spettato e lui ha fatto beffe di me». «Come?», disse la vecchia, «o figliuola mia, chi ci verrò’ tenendo tu omini armati in casa?» Ginevra ridendo disse: «Or ben veggo che elli è giovano, che in verità in quel modo che io spetto messer Renaldo, aspetto il vostro figliuolo». La vecchia pensò qualche nuovo modo e disse: «Or come aspetti tu messer Renaldo?» Ginevra disse: «Io vel mosterò». E subito se n’andò in camera, et armata, uscio fuori con una spada nuda in mano. La vecchia, contenta ch’era certificata dell’errore del figliuolo, disse: «Ginevra, messer Renaldo t’inganna». Ginevra disse: «Perché?» La vecchia disse: «Perché ti fa armare». «O l’altre non s’armano?», disse Ginevra. La vecchia rispuose: «No, ma fà un poco a mio senno: stasera quando il mio figliuolo verrà a te, aspettalo in una giubba di seta, e quello ti dice farai; e vedrai se io ti dico il vero». Ginevra disse che tutto farè’.

La vecchia partita e contato tutto il fatto, Chimento lieto; la sera venuta, la donna in una giubba con un doppioncello in mano, in sulla scala spettando Chimento; Chimento, vedendo la sera scura, entrò in casa; e sagliendo la scala, Ginevra abracciata, e basciòla. Ginevra che ancora non avea assagiato la dolcezza del bacio, disse che volea dire. Chimento postola in sul letto e fattala nuda spogliare, lui per fretta li panni si straccia e nudo rimane, in camicia, a bracciare Ginevra: e più volte fenno la danza amorosa. Ginevra, sentendo lo caldo de l’uomo, più che di prima piacendoli, disse: «O messer Renaldo, questo non sapete voi che sa Chimento!» E così più giorni tennero questo modo. Tanto che, livro le vi mesi, messer Renaldo tornò a Firenze. [p. 51 modifica]

E giunto in casa e fatto ogni persona partire, senza cavarsi stivali, disse: «O Ginevra, àrmati!» Ginevra disse: «Messer Renaldo, armatevi pure voi!» Messer Renaldo disse: «Io ti dico àrmati!» Ella risponde che s’armasse elli. Messer Renaldo disse: «Or che vuole dire che tu non ti vuoi armare?» Ginevra disse: «Che uno giovano non m’ha voluto armata. E sòvi dire che troppo è piú dolce l’esser nuda in braccio al giovano che armata sotto voi». Messer Renaldo udendo tali cose volse sapere il modo, cognoscendo la purità di Ginevra esser stata ingannata. Ginevra tutto li narrò, di che messer Renaldo disse: «In giamai non t’armare più e sono contento quanto posso di quello hai fatto; e per l’avenire segue pure il modo dell’altre».

E spogliatosi e fatto spogliare Ginevra, inne’ letto con Ginevra prese piacere. Ginevra disse: «Or non vel dissi io bene che più dolce è nuda che armata?» Messer Renaldo disse: «Così è!»

Ex.º viii.