Novelle (Bandello, 1853, IV)/Parte IV/Novella XXV
Questo testo è incompleto. |
◄ | Parte IV - Novella XXIV | Parte IV - Novella XXVI | ► |
lume e senza calcolare, avete il vero indovinato a la prima, perchè il medico è tutto pieno di merda. – Chiamati poi alcuni servitori, si fece menar via il medico con le lenzuola, e il marchese disse: – Gonnella, Gonnella, questa è bene stata una de le tue; ma la puzza troppo. – E si tornò a dormire.
Il Bandello al magnifico e strenuo soldato
messer Tomaso Ronco da Modena luogotenente
del colonnello del valoroso signor
conte Annibale Gonzaga di Nuvolara salute
Sono alcuni uomini, in diversi paesi, che per lo più di loro hanno certe nature molto differenti dagli altri; e dove vi corre il guadagno di uno quattrino, non conosceno amico nè parente, attendendo solamente al profitto loro particolare. Altri, se bisogna che vivano a le proprie spese, se si metteno per caminare da luoco a luoco, non ti credere che vadano troppo a l’osteria, ma compreranno uno pane e uno bicchiero di vino, e la menano più stretta che sia possibile. Di questa sorte sono communemente bergamaschi e spagnuoli, dico gente del contado, perchè ho conosciuti molti gentiluomini de l’una e l’altra nazione che vivano splendidamente e invitano questi e quelli a mangiare con loro. Vanno bergamaschi per tutte le parti del mondo, ma non faranno spesa di più di quattro quattrini il giorno, nè troppo si corcano in letto e se ne vanno a dormire su la paglia. Che dirò io di que’ spagnuoli plebei che chiamano «bisogni», che vengono in Italia con le scarpe di corda? Molti di loro non hanno in Ispagna nè casa nè possessione, e se hanno pane e ravanelli con acqua, trionfano; ma come sono in Italia, tutti sono signori, e vogliono cibi eletti e del migliore vino che trovar si possa. Li tedeschi sono molto facili da contentare: dà loro buono vino, e il tutto starà bene. Francesi, ancora che siano contadini, tutto ciò che guadagnano lo mangiano a l’osteria, e sono cortesi, e largamente invitano ciascuno a bere. Li gentiluomini tutti il dì sono su il banchettare e onorare gli stranieri. Ragionandosi questi dì in Pinaruolo di simile materie in una buona compagnia, e particolarmente dicendosi di certo soldato bergamasco che era la idea de la miseria, narrò Angelo Travagliato a cotesto proposito una piacevole novella. Questo Angelo Travagliato sono più di quaranta anni che in arme bianche serve la illustrissima casa Fregosa, prima sotto l’illustrissimo signor Gian Fregoso, poi sotto il signor Cesare suo figliuolo, che al presente è luogotenente generale in Italia del re cristianissimo. Avendo dunque la novella descritta, al nome vostro la ho intitolata in testimonio de la nostra commune benevolenza. State sano.
NOVELLA XXIV
Ridicola e vituperosa beffa fatta da uno bergamasco
a Fracasso da Bergomo, che, credendo profumarsi la barba e capelli
di odorata composizione, si impastricciò di fetente sterco.
Tutti che qui, valorosi soldati sète, di che materia ragionato si sia, avete udito. E volendovi io parlare di certi strani costumi di uno contadino bergamasco, vi dico che il signore Cesare Fregoso, essendo ancora molto giovanetto, che ora luogotenente vedete del re cristianissimo in Italia, era capitano de la serenissima Signoria di Venezia di uomini d’arme. Egli fu sempre molto prode e valente de la persona sua, e di ottimo governo cerca li soldati. Il che in molti luochi, ne lo stato di Milano, su quello di Urbino, quando aiutò a ricuperare lo stato al signor Francesco Maria da la Rovere, e in Toscana, sempre ha dimostrato. Ora, avendo egli le stanze su quello di Verona, teneva una casa in Cittadella, e, perchè era giovane e innamorato, si dilettava mirabilemente di varii odori e vi spendeva assai, facendone in gran copia venire da Genoa. E quando in casa vi venivano cittadini di Verona o soldati buoni compagni, tutti li profumava. Ora egli, tra la numerosa famiglia che teneva, aveva uno che lo serveva di canceliero, ben che pessimamente scrivesse e non sapesse mettere insieme diece righe, che non ci fossero venti manifesti errori, così ne la lingua come ne la ortografia, de le quali nulla sapeva. Cotestui era chiamato Gioan Antonio Dolce, bergamasco; ma essendo cuoco del capitano Scanderbecco di albanesi cavalli liggieri, si acquistò il nome, non so come, di Fracasso da Bergomo. De le segnalate condizioni di costui chi volesse a pieno ragionare, non si perveneria mai a la fine. Pure, perchè io l’ho conosciuto e pratticato molti anni, non posso fare che alcuna de le sue sgarbate condizioni non vi dica. Prima, egli è più temerario e presontuoso che persona che io mi conoscessi già mai. Discrezione in lui non alberga, nè civilità che si sia. E tra le molte sue gherminelle e vegliaccherie che ha, questa ne è una: che quando serve uno padrone, se da quello fosse mandato per quale si voglia importantissima cosa ove bisogni usare celerità, o vero che vi andasse la vita di uno uomo e bisognasse non che andare ma volare a parlar a’ giudici o altri per aiutarlo, e trovasse egli in via da poter guadagnare uno o dui marchetti, non pensate che si movesse di passo: e’ si fermeria tre o quattro ore e più anco assai, perciò che tiene più conto di uno bagattino, che de la vita di colui per lo quale è mandato. Più e più volte bisogna che vada per gli affari del signore a Vinegia, e sempre il signore Cesare li fa dare denari per andare e tornare. Non crediate che egli mai entri in osteria nè che spenda uno soldo, perchè non va per la strada corrente e dritta, ma camina per traversi, a trovare questi e quelli amici del signore, e alloggia con loro, acciò che possa civanzare tutti i danari che ha per fare il viaggio avuti. Ma io ora non vuo’ intrare nel pecoreccio di cotestui, perciò che non ne potrei così di liggiero venire a capo, essendo le sue pecoraggini tali e tante che non si esplicarebbero in molti giorni. Vi dico adunque che quando il signor Cesare o sè o altri profumava, se il bergamascone poteva dar de le mani su uno di quelli vasi di zibetto o composizione, che tutta la barba largamente e senza discrezione insieme con li capelli si profumava, di maniera che assai spesso votava quelli vasi. Bartolomeo bergamasco, che al presente in Pinaruolo vedete maestro di casa di esso signor Cesare, attendeva allora a la camera e persona del detto signore. Accortosi egli che Fracasso era il dissipatore degli odori, tra sè deliberò fargli una berta, acciò si profumasse di tale odore, quale a sì indiscreto villano si conveniva, e trattarlo come meritava. Onde empì uno vaso di sterco umano e lo coperse con un poco di composizione odoratissima. E doppo che il signore fu uscito di camera per andare a palazzo per far compagnia a li signori rettori di Verona quando vanno a messa, Bartolomeo, riposti i veri vasi del buono odore, lasciò a posta su la tavola il vaso acconcio di altro che muschio e zibetto; e uscì di camera, mostrando avere altre facende da fare. Fracasso, che a quella ora soleva profumarsi, non essendo ancora partito il signore di casa, intrò in camera; e veduto il vaso in tavola, vi si avventò come l’avoltore a la carogna. E scopertolo, vi ficcò dentro frettolosamente le dita e cominciò a impastricciarsi la barba e li capegli. E per l’odore de la perfetta composizione non sentendo il tristo odore del tributo culatario, ci tornò due e tre volte e quasi votò tutto il vaso. Fu sì grande il piacere di essersi a suo piacere profumato, che nulla sentì del tributo che si rende a la contessa di Civillari. E così, bene profumato, andò dietro al signore Cesare. Ora, andando in fretta e riscaldandosi, cominciò pure a sentire non so che di fiera puzza, come di una fetente carogna che per la strada putisse; e non si avedeva che egli aveva la carogna seco ne la barba e negli capelli, perchè era stato concio come uno simile mascalzone e fachino meritava. Bartolomeo per una altra via, abbreviando il camino, andò a palazzo, e trovò che il signor Cesare parlava con li signori rettori, che erano insieme, ove anco li camerlinghi vi si trovavano; onde a li soldati del signore Cesare, che quello a palazzo aveano accompagnato, narrò la profumeria che fatta si era. Nè guari stette a giungere Fracasso, che in quello arrivò che il signor Cesare, uscendo di camera, intrò in sala. Putiva Fracasso da ogni canto come fanno li solferini. Del che subito si accorse il signor Cesare e disse: – Che trenta para di puzzore è cotesto che io sento? – Li soldati, avertiti da Bartolomeo, risposero che veramente quella sì cattiva puzza procedeva da Fracasso, con ciò sia cosa che prima che egli venisse in sala non ci era cosa che spirasse pessimo odore. Il signore Cesare, che de la beffa non sapeva cosa veruna, accostatosi a Fracasso, non solamente egli subito sentì il noioso e pessimo odore, ma si accorse anco come la barba e capelli di quello erano tutti brutti e impastati di una fetida lordura. E disse: – Che cosa è questa, Fracasso, che io sento? Ove mala ventura sei tu stato? Chi ti ha così stranamente profumato? – Dispiaceva anco a se medesimo l’impaniato Fracasso per la fiera puzza che a lui di lui veniva, e non sapeva che cosa imaginarsi, non possendo credere che quella mistura che logorata avea fosse quella che ammorbato l’avesse. Per questo egli se ne stava trasognato e mutolo e non sapeva che dirsi; di maniera che da tutti era miseramente schernito. Bartolomeo, per far l’opera compita, mostrandosi del male di Fracasso dolente, disse al signore Cesare: – Io anderò, signore mio, a farlo nettare. – Poi rivolto a Fracasso: – Andiamo, – disse, – a farvi lavare, chè io vi farò levare via questa puzza d’addosso. – Come furono partiti di sala, dissero li soldati al signore Cesare come il fatto stava, secondo che Bartolomeo loro aveva narrato. Allora soggiunse il signore Cesare: – Lasciagli andare, poi che la va da bergamasco a bergamasco. Ma io dubito che Bartolomeo di questa non si contenterà, chè gliene vorrà fare una altra. Stiamo pure a vedere a che fine la comedia riuscirà, pur che non riesca in tragedia. – Andarono dunque il gabbato Fracasso e Bartolomeo a casa, ove in una camera, fatto accendere il fuoco, fu posta de l’acqua a scaldarsi. Avea Bartolomeo del sapone nero e tenero, col quale cominciò a lavare il capo e la barba a Fracasso. Quello sapone mischio con l’acqua e con quella brutta lordura faceva una grandissima e fora di modo puzzolente schiuma, che pareva proprio che uno chiasso pieno fosse aperto; di modo che Bartolomeo diceva tra sè: – Certo, se io ho fatto il peccato, ora faccio la penitenzia. – Tuttavia deliberatosi di finir l’opera, non si curando di puzza, attendeva a stropicciare i capegli e barba di Fracasso, e tale volta gliene faceva inghiottire, di quella fetida schiuma, parecchie dramme. Quando poi Fracasso, astretto da l’amaritudine di quella stomacaggine di quella lordura, volea sputare, Bartolomeo, mostrando per carità ben fregarlo, con le mani gliene empiva a larga derrata la bocca, e sì bene lo trattava che il povero uomo a se stesso veniva in fastidio, e amava meglio sofferire quella quasi insupportabile pena, che sentirsi quella puzza attorno. Onde tanto quanto poteva, sofferiva ogni cosa per lasciarsi nettare. A la fine tanto fu lavato che la barba e capelli si nettarono, ancora che uno poco del cencio li venisse sotto il naso. Non mancarono però dopoi le beffe e il truffarsi di lui, perchè tutto il dì da molti gli era detto, quando il vedevano: – Ecco il ladro de li preziosi odori. – Ma egli, come cane da pagliaro si scuote, e come cornacchia da campanile niente si cura di cosa che se li dica, e attende a fare il fatto suo, e lascia dire ciò che si vuole. E tante e tante ingiurie, scherni e beffe ha supportate e tuttavia sofferisce, che è miracolo come ardisca comparire tra gli uomini di conto. E con questo, sotto l’ombra di questi signori Fregosi, di buf e di raf si è fatto ricco.
Il Bandello al molto illustre signore il signore
{{Centrato|Berlingieri Caldora conte di Riso e colonnello}}
in Piemonte del re cristianissimo salute
Essendo a la espugnazione e presa di Barge, fatta dal valente signore Cesare Fregoso, il gentilissimo signore colonnello, il signore Lelio Filomarino, ferito di una palla di arcobuso, instrumento diabolico, mentre a paro a paro del signor Cesare sotto la ròcca combattevano, io, per l’amicizia che con il detto Filomarino aveva, andava ogni dì due volte a visitarlo, o se dagli affari era impedito, il mandava a vedere. Avene una volta che, essendo io ito per visitarlo, trovai che tutti se ne ivano fora di camera, perciò che, avendo la precedente notte molto male dormito, voleva alquanto riposare e ristorarsi dormendo uno poco. Era quivi tra gli altri il signor Berardino de li Gentili da Barletta, luogotenente del detto signor Lelio; il quale, come mi vide, salutandomi venne verso me e mi disse: – Bandello, il signor Lelio ha travagliato tutta notte e ora si è messo per riposare uno poco. Andiamo a dare una volta per lo giardino di questi frati, – perchè era il signor Lelio alloggiato in San Francesco. E così di brigata vi andassemo. Quivi diportandosi e con varii parlari passando il tempo, uno soldato napoletano disse al signore Berardino: – Io ho inteso, signore, come il Bandello si diletta di scrivere li varii accidenti che avengono, così in amore come in altre materie. Però mi persuado che tu li farai cosa grata a narrargli il caso che questi dì narrasti al signor Lelio. – E aprendo io la bocca per pregarlo, egli, che cortese, e secondo il suo cognome, è molto gentile, non sofferse essere pregato, ma si offerse a dirlo; onde sotto uno pergolato postosi su le panche a sedere, egli molto leggiadramente il caso amoroso ci narrò. E tornato io a l’albergo, lo descrissi. Pensando poi, secondo il mio costume, cui donare il devesse, voi subito mi occorreste, perciò che spesso parlare di amore solete. Oltra poi che volontieri ne ragionate, non ostante che tutto il dì in questo nostro felicissimo esercito al caldo e al freddo, di notte e di giorno armato, cavalerescamente