Notizie della stampa in Prato
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GAETANO GUASTI
NOTIZIE DELLA STAMPA IN PRATO
(TOSCANA)
FIRENZE
Società Tipografica Fiorentina
33, via san gallo, 33
1908
Notizie della Stampa in Prato
(Toscana).1
Tale apertura si annunziò nelle Novelle letterarie di Firenze del 1785, (col. 706), avvertendo che Prato aveva «nel suo territorio comode e doviziose cartiere, che possono somministrare a discretissimo prezzo bellissime e nitidissime carte». E poichè dopo le Brevi preghiere, tutta cosa di monsignor Ricci, fu stampata l’opera del P. A. Guyard maurino Sopra l’origine e gli abusi dell’onorario delle messe, il Giornale ecclesiastico romano scrisse parole acerbe contro il «cattivello» Vestri. Il quale nel 1786 pubblicò un Catechismo per i fanciulli delle città e diocesi di Cortona, Chiusi, Pienza, Prato e Colle, e nell’anno seguente i Principî di tutta la giurisprudenza sacra, di Roberto Curalt (3 volumi in ottavo), che sebbene si fingessero stampati da Angiolo Casini, uscirono dalla tipografia vescovile.
In un libro intitolato: Le annotazioni pacifiche confermate nella nuova pastorale di monsig. Vescovo di Pistoia e Prato de’ 18 maggio 1788, da due lesioni accademiche del signor Dr. Pietro Tamburini e dalle lettere di Finale del signor ab. Marcello del Mare, MDCCLXXXVIII, a facc, ix si legge in lettera scritta da Prato al Marchetti nel maggio del 1788: «La Stamperia di Prato è ita giù. Si vendono anche in Pistoia a pochi soldi la libra i fogli di detta Stamperia. Nella scorsa settimana fu rinvoltato in una pastorale certo salcicciotto che doveva servire per il Vescovo, e consegnato al suo spenditore». Anche le beffe! E così non ben compiuti quattro anni, la tipografia fu tolta dalle stanze vescovili, dopo aver prodotte non molte, sciatte e scorrette stampe. Nè migliori si videro quando Vincenzio Vestri si sciolse da ogni vincolo col Buonamici, per associarsi poi a Pellegrino Guasti; chè nel 1790, mancatagli la fortuna, il Ricci fu costretto alla renunzia del vescovado. M’è ignoto l’anno preciso in cui il Guasti entrò a far parte, della tipografia vestriana: credo peraltro che avvenisse nel 1793 o poco prima, in quanto si hanno pubblicazioni di quel tempo e posteriori segnate dei loro nomi, come nel 1805 la grand’opera di Giovanni Andres intitolata: Dell’origine, dei progressi e dello stato attuale d’ogni Letteratura con note dell’ab. Luigi Fioravanti di Pienza, che allora insegnava belle lettere nel Collegio Cicognini. E nello stesso anno, il Nuovo Giornale de’ letterati di Pisa annunziava la ristampa del Viaggio del Giovane Anacarsi in Grecia del celebre Giacomo Barthelemy, tradotto sulla quarta ed ultima stampa di Parigi.5 Ma troppo in lungo anderei se dovessi ricordare altre loro pubblicazioni; dirò tuttavia che anche nel 1808 gli stessi Vestri e Guasti stamparono, fra altro, l’Istituzione e regolamento della Società filarmonica d’incoraggiamento in Prato, promossa da G. M. De Gelando membro della Giunta straordinaria in Toscana.
Anche non so quando il Vestri tornasse ad essere l’unico proprietario della tipografia: è probabile intorno al 1813, poichè da quest’anno le stampe uscirono di nuovo col solo suo nome, e così continuarono per qualche tempo dopo la sua morte, avvenuta in Prato nella parrocchia di San Domenico il 15 settembre del 1829, giunto all’età d’anni cinquantanove. E sebbene il Vestri fosse poco più che un lavorante tipografo, s’atteggiò a letterato e scrisse brutti sonetti per le Raccolte poetiche e prefazioni sciocche quanto spropositate. La sua stamperia finì «senza infamia e senza lodo»6 con Giuseppe Lenzi, ridotta a stampare alla meglio poco più di quanto abbisognava al Comune e ad altre Amministrazioni pubbliche, sebbene la ditta rivivesse e finisse non è molto col nome dei Successori Vestri.
Ma già nel 1814 un Luigi Vannini libraio abitante in Prato da dieci anni, aveva domandato al Granduca che gli permettesse «lo stabilimento in Prato di un solo Torchio», dopo che erasi stampata a sue spese nella tipografia fiorentina di Niccolò Carli la Divina Commedia, dai bibliofili giudicata assai corretta. Nell’informazione del R. Commissario Cercignani, si attestava che il Vannini riuniva «ad una conosciuta probità i requisiti necessari onde poter esercitare con lode la professione tipografica»;7 e in verità se egli non recò un incremento all’arte della stampa pratese, rimettendosi peraltro al parere di uomini culti e valendosi dell’opera loro, pubblicò libri utili e più corretti. Fra i quali citerò un’altra edizione del Poema Dantesco, il Malmantile, le prime Trecento iscrizioni del Muzzi, una Scelta di Novelle del Decamerone e le Vite del Blanchard, ossia il Plutarco della gioventù, in otto volumetti. La traduzione dei primi due appartiene a Francesco Maria Ciardini; quella degli altri a Giuseppe Silvestri «L’amico della studiosa gioventù»; il quale, in aggiunta a quelle dello scrittore francese, compilò altre Vite, affinchè l’Italia avesse in quest’opera la parte sua. Morto Luigi Vannini, la tipografia fu continuata dalla vedova e dai figliuoli, e con l’ultimo di loro cessò.
Un vero e notabilissimo incremento ebbe la stampa pratese nel 1820, quando Vincenzio Giachetti chirurgo valente uscito dalla scuola del celebre Nannoni, avviò a quest’arte nobilissima i figliuoli Giuseppe, Antonio e Carlo. Sulla loro domanda, il Vicario Regio Andreucci dava informazione favorevole al Presidente del Buon Governo, dicendo che «Giuseppe è stato ed è tuttora in cotesta città (Firenze) coll’espresso fine di apprendere l’arte di stampare, e credo che abbia già acquistato le notizie necessarie a tale oggetto».8 Come monumento della sua istituzione si ha una iscrizione di romana latinità dettata dal ricordato Silvestri;9 ed è noto quali opere voluminose e splendide per tipi e incisioni, uscirono da questa tipografia, che ebbe nome anche fuori d’Italia. Basti ricordare le insigni del Winckelmann, del D’Agincourt e del Cicognara, la Bibbia volgarizzata da monsignor Martini (1827-1832) con settantotto belle incisioni di Lasinio figlio e d’altri distinti artisti, disegnate da Francesco Nenci; come in tempi a noi più prossimi, i sei volumi dell’opera monumentale in quarto grande, del P. Raffaello Garrucci, con cinquecento tavole incise sul rame; dico la Storia dell’arte cristiana nei primi otto secoli della Chiesa, che pubblicata quasi tutta a spese mie, mi recò tante noie e tanti dolori! La tipografia Giachetti esiste anch’oggi, ma pur conservando in parte le antiche tradizioni, può dirsi un’ombra di quella che fu.
Giacomo Leopardi scriveva nel 1832:10 «La letteratura è annientata in Europa; i librai, chi fallito, chi per fallire, chi ridotto a un solo torchio, chi costretto ad abbandonare le imprese meglio avviate». Eppure l’anno innanzi Ranieri Guasti, mio padre amatissimo, aveva aperto una tipografia, che presto prosperò e si mantenne sotto lo stesso nome fino a pochi anni sono, sempre con lode di buon gusto, di stampe corrette e altresì d’aver molto giovato a’ buoni studi. E a ciò contribuì moltissimo il figliuolo maggiore Cesare «con attribuzioni fra letterarie di editore e tecniche di correttore delle stampe», massime dopo aver lasciato le scuole del Collegio Cicognini, rifiorito per opera di Giuseppe Silvestri e dove insegnavano il Vannucci, l’Arcangeli ed altri precettori valenti e dotti. A me suo fratello non conviene la lode; ben m’è lecito ripetere quanto altri scrisse di lui, che fu poi «un maestro di scienza archivistica e di erudizione storica, un valente pubblicatore di testi, un paziente ed acuto osservatore di vocaboli, uno scrittore castigato ed elegante».11 Della qual paterna stamperia citerò, come delle altre, alcune delle tante e varie opere di maggior mole e che più fanno onore al tipografo. Principalissima fu la stampa e la ristampa, in molti volumi, degli scritti del grande e purtroppo oggi quasi dimenticato Gian Domenico Romagnosi; poi seguirono le Poesie italiane di duegento autori dall'origine della lingua in fino al secolo decimosettimo, le Metamorfosi d'Ovidio volgarizzate da Ser Arrigo Semintendi, e uno Spoglio di voci tratte da quell'antico volgarizzamento.
Quando fra il '33 e il '34, Niccolò Tommaseo fece una gita a Prato, notò: «Quattro stamperie sono in Prato, città di dodicimila abitanti. I Guasti stamparono le poesie del Flaminio: ed è buon pensiero voler ridonare alla vita que' latinisti felici del cinquecento; ma ridonarli tutti interi, è un seppellirli di nuovo, perchè pochi vorranno leggere due volumi del Flaminio, e molti forse ne vedrebbero con piacere parecchie pagine scelte....»12 Ma ancora non esisteva la piccola tipografia aperta nel 1837 da Giuseppe Pontecchi e chiusasi presto con lui, dopo aver dato pochi volumi di accurata composizione e corretti, compreso quello della Bibliografia pratese compilata per un da Prato, cioè da Cesare Guasti. E lo stesso anno aveva incominciato a stampare l’Aldina, sotto l’insegna d’Aldo Manuzio, con gli scarsi capitali d’un conte Diana, rimasto per qualche anno in Prato, e l’industria operosa, l’intelligenza e la pratica dell’arte di Filippo Alberghetti fiorentino, già lavorante dei Giachetti e poi proto nella stamperia di Ranieri Guasti. All’Alberghetti s’associarono in seguito, come comproprietari, l’avvocato Giovacchino Benini pratese e Iacopo Martellini aretino, recatosi a Prato per ufficio di cancelliere comunitativo; e fu quello il tempo in cui l’Aldina fiorì veramente. Delle sue pubblicazioni basti notare: la ristampa di tutte le opere del Papa Lambertini, la collezione anch’oggi stimata dei Classici greci e latini con note italiane, alla quale presero parte professori illustri; il Lexicon del Forcellini e l’Onomasticon del De Vit, oltre il Vocabolario greco-latino del professor Giovanni Bertini, che rimase incompiuto. A quei giorni erano nel laicato e nel clero pratese uomini istruiti, giovani d’ingegno e studiosi, i quali nelle cariche ecclesiastiche, sulle cattedre e negli uffici pubblici confermarono i buoni presagi.
Morti fra il ’67 e il ’79 l’avv. Benini, l’Alberghetti ed il Martellini, la tipografia Aldina andò decadendo co’ vecchi torchi e i tipi consunti, massime per la noncuranza, l’inerzia e le ristrettezze economiche di Luigi e Aldo figliuoli del fondatore. Morti anche loro, la vedova di Aldo cedè nel 1904 il materiale e il magazzino alla Ditta Editrice Alberghetti, costituitasi col buon proposito di far ristampare, via via che s’esauriscono, i volumi dei Classici greci e latini. E già ne furono pubblicati alcuni riveduti e corretti da esperti insegnanti.
Nel 1845 le tipografie erano sempre sei e proprio le stesse; nè altre se n’aggiunsero quando la fortuna d’Italia parve risorgere e gli eventi la trassero invece a più dura servitù; quando il 6 maggio del ’47 venne promulgata in Toscana la legge che allentava il freno alla stampa. Solamente intorno al ’50 si stabilì per qualche anno in Prato David Passigli con la sua fornita ed elegante stamperia;13 e non molto dopo Matteo Contrucci n’aperse una nell’Orfanotrofio della Pietà. D’altre minori che apparvero e disparvero come meteore fin presso a questi giorni, non occorre ch'io dica: ne sarebbe stato fatto più che un semplice ricordo nel libro: Il primo secolo della Tipografia Pratese, qualora si fosse accolta la proposta del compianto mio fratello Cesare Guasti, di celebrare nel 1884 il primo Centenario della stampa in Prato, con una Mostra possibilmente completa di quel che erasi pubblicato fino allora.14
Ma trascurando i nomi, è bene si sappia che nella Mostra artistica-industriale pratese del 1880, la Commissione eletta per giudicare e assegnare i premi ai tipografi espositori, composta di uomini espertissimi, fra i quali Piero Barbèra, fu «lieta di scorgere come l’arte della stampa sia abbastanza fiorente nel Mandamento di Prato».15 E finisco con questa lode, non comportando l’Annuario una notizia più larga. Forse, se non mi mancherà il tempo come non mi mancano il desiderio e la buona volontà, potrò dare delle stamperie pratesi un commentarietto alquanto migliore e più ampio.
Note
- ↑ Alcune di queste notizie sono desunto da un mio scritto col titolo: Della stampa in Prato e particolarmente della tipografia Aldina, ora Ditta Alberghetti, pubblicato nella Rassegna Nazionale, Anno XXVI (16 luglio 1904).
- ↑ Cesare Guasti, Giuseppe Silvestri «L’amico della studiosa gioventù», vol. I, pag. 104.
- ↑ «1371, 22 ottobre. Provvisione che approva una domanda di un Pietro... da Fabriano, cartaio, di poter fabbricare cartas de bombice, in curia terre Prati, in quadam domo que dicitur domus de Gamberame, posita in villa Meretti prope flumen Bisentii». (R. Archivio di Stato in Firenze, Provvisioni, Reg. 60 a c. 147. La charta bombycina si credè di cotone, ma esperienze recenti han dimostrato che è di canapa o di lino. — L’altra Cartiera, detta della Briglia, anch’essa in Val di Bisenzio, fu cominciata nel 1735, e fatta servire ad altr’uso nel 1844.
- ↑ Diario di Pietro Razzai popolano. Ms. nella Biblioteca Roncioniana di Prato.
- ↑ Pisa, 1805, Tom. III a pag. 302.
- ↑ Dante, Inferno, c. III, v. 36.
- ↑ Archivio di Stato in Firenze, Presid. del Buon Governo, Negozi di Polizia, Filza 85, n.° interno 3434.
- ↑ Archivio di Stato in Firenze Presid. del buon Governo, a. 1819, Negozi, Filza 29, n.° interno 1069.
- ↑ Vedi la 284 nella Raccolta «Inscriptiones XXXV et CCC etc. Florentiae typis Custodiarii moribus reformandis, MDCCCLII».
- ↑ Lettera al padre, n.° 755 (Firenze, 3 luglio 1832). Vedi Epistolario di Giacomo Leopardi raccolto e ordinato da Prospero Viani, 5a ristampa, vol. II, pag. 489. Firenze, Successori Le Monnier, 1892.
- ↑ Elogio del segretario Cesare Guasti letto dall'accademico residente Isidoro Del Lungo, in Atti della R. Accademia dilla Crusca, Adunanza pubblica del 22 di dicembre 1889. Firenze, coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana, 1890.
- ↑ Antologia di Firenze, quaderno del luglio 1834, pag. 116.
- ↑ Piero Barbèra, Editori e Autori. Studi e passatempi di un Libraio. Firenze, G. Barbèra.
- ↑ Lettera da Firenze del 26 agosto 1880, pubblicata nel Bollettino ufficiale dell’Esposizione industriale pratese del 1880, pag. 43.
- ↑ Atti della Mostra Mandamentale pratese. Rapporto letto dal cav. Gaetano Guasti presidente del Comitato esecutivo, per la distribuzione dei premi fatta il 19 settembre del 1880. Prato, tip. di Amerigo Lici e C.°, 1880.