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XI.

Verso le tre del mattino, Gilda, che si era addormentata tardi, fu svegliata improvvisamente da insoliti rumori.

Balzò a sedere sul letto, tutta sgomenta. Non si raccapezzava. Aveva fatto un sogno stravagante, le cui tetre immagini, scomparse al primo svegliarsi, le avevano lasciato nel cervello un ingombro paurose. A poco a poco però distinse i diversi rumori di cui non aveva potuto subito rendersi conto. [p. 187 modifica]

Dovevano essere tutti levati nella casa, e tutti in movimento, Un bisbiglio di voci veniva dalla cucina: si sentiva lo stropiccio dei piedi sulle pietre; aprire e chiudere con precipitazione l’uscio in fondo al corridoio. Si faceva un silenzio. Poi un altro uscio più lontano veniva aperto e una voce, ignota a lei, chiamava il domestico.

Accese il lume e guardò l’orologio: erano le tre e dieci minuti. Si vesti in fretta, e innanzi tutto passò nella camera di Lea. La bimba dormiva tranquillamente col suo bel visino roseo piegato sulla palma destra.

Nessun pericolo minacciava il lettino bianco della innocenza.

Tornata nella sua camera, ella apri l’uscio che metteva sul corridoio. Vide Marco il domestico che lo attraversava con un lume in mano. Lo chiamò per interrogarlo, ma egli non glie ne lasciò il tempo.

— Oh signorina! — esclamò appena la vide: — il padrone è ammalato, molto ammalato! Ha avuto poco fa uno svenimento, sono stato a chiamare il medico! ora devo correre alla farmacia per la seconda volta.

E il buon uomo, ignaro del colpo che aveva portato al suo cuore, s’allontanava rapidamente pensando che aveva già perso mezzo minuto. Ma mentre deponeva il lume sur una tavola dell’anticamera gli parve di sentire un gemito.

Alzò gli occhi; e vide la fanciulla che lo aveva seguito, pallida come una morta e barcollante.

— Ah! mio Dio! — esclamò correndo verso di lei per sostenerla: — che bestia sono! la ho spaventata! [p. 188 modifica]

Ella si rimise prontamente. Soltanto la sua voce rimase come strozzata. Le sue labbra si movevano, ma i suoni non erano articolati. Con un cenno fece intendere al domestico che egli non doveva ritardare la sua commissione.

Quando si sentì abbastanza forte, s’avviò verso la cucina. Questa parte dell’appartamento, di solito così allegra, aveva a quell’ora un aspetto lugubre. Nessuno aveva pensato ad accendere il gas. Dalle finestre spalancate entrava l’aria umida della notte. Giacomo stava mettendo del ghiaccio in un apparato, e la Sabina lo rischiarava con una lucernina, che la corrente faceva vacillare. Parevano tutti e due inebetiti. Gilda rimase immobile con gli occhi sbarrati.

In quel momento entrò nella cucina un signore, prese l’apparato dalle mani del cuoco, e scappò via; era il medico.

Gilda s’avvicinò alla Sabina e la interrogò con lo sguardo.

Questa tentennò il capo.

— È un gran male disse: una congestione, complicata con altri sintomi allarmanti: così dice il dottore.

— Ma quando? — poterono finalmente articolare le labbra di Gilda.

— Quando s’ammalò?... — ripetè la Sabina. Un’ora fa, io credo. Rincasò dopò mezzanotte; io ho sentito perchè non ero ancora addormentata.

La fanciulla accennò che lei pure lo aveva inteso. La Sabina riprese a dire:

— Andò nella sua camera come il solito, accompagnato dal domestico, che licenziò subito come il solito. Io m’addormentai; quando, sarà stato [p. 189 modifica]un’ora fa, sentii il campanello elettrico che dà nella camera di Marco, che è la più vicina alla mia, e poi subito Marco levarsi e correre in camera del padrone. Lo trovò in terra accanto al letto, per miracolo, sentendosi venir male, aveva avuto la presenza di spirito di toccare il campanello. Marco torno a suonare perchè s’accorresse anche noi. Un momento dopo eravamo tutti in piedi.

Marco scappò giù e per fortuna trovò subito una vettura, colla quale andò a prendere il medico.

Dopo dieci minuti il dottore era qui. Non so come abbiano fatto tanto presto!

— Vorrei vederlo! — sospirò Gilda, dopo un momento di silenzio.

— Non sarà difficile — disse la cameriera. — Deve sapere che appena rinvenuto — ero là io — appena aperti gli occhi e vista la sua signora che gli s’era messa accanto, lui fece un grande sforzo per sollevarsi, e voltato verso di lei gridò: Via! via, tu!... poi ricadde sul guanciale e ebbe un attacco terribile: pareva pazzo furioso. Il medico pregò la signora di allontanarsi, mentre spiegava, abbastanza forte, perchè noi altri si sentisse, che queste malattie complicate, col disordine del sistema nervoso, producono spesso dei fenomeni strani.

Altro che fenomeni! povero il mio padrone! Ha voluto soffocarsi per non fare scandali: ha voluto essere superiore come se non si fosse tutti di carne... E ora lo sconta.

— Basta, Dio voglia, che non ci rimetta la vita!... [p. 190 modifica]

— E dov’è adesso la signora? — domandò Gilda.

— È nella sua camera: sarà tornata a letto. Che vuole che glie ne importi?...

— Allora — disse Gilda — se lei non c’è, vado io.

La cameriera la guardò, e il suo viso magro e grinzoso avanti il tempo, si oscurò tutto. Ella era sempre combattuta nei suoi sentimenti verso la giovine istitutrice. A momenti la paragonava a sè stessa, vedeva in lei un’altra vittima delle ingiustizie del mondo, della indifferenza spietata dei ricchi, e si sentiva piena di compassione per quella povera giovine, che poteva essere la sua figliuola; e l’istinto materno, non intieramente atrofizzato nel suo povero cuore di zitellona, si risvegliava potente e le ispirava dei pensieri delicati, delle parole piene di tenerezza.

Ma un momento dopo, se si fermava a contemplare la graziosa espressione del bel viso, i grandi occhi neri pieni di fascino, la figura elegante, tutti i vantaggi di quella creatura, tanto diversa da lei, se pensava che era forse amata e desiderata profondamente e poteva ancora trionfare di tutte le difficoltà e vivere felice con lo stesso uomo che lei aveva amato, il suo animo si mutava improvvisamente; al posto della pietà, della tenerezza, dell’istinto materno, sorgevano i sentimenti più tristi; la gelosia, l’invidia, il crudele rammarico di una vita inutilmente vissuta, senza amore e senza famiglia, nei disinganni e nelle umiliazioni.

Questo lievito di odio e di cattiveria che sta in fondo al cuore delle infelici donne dimenticate, [p. 191 modifica]delle donne diseredate dalla grazia, per le quali la bontà e la indulgenza sono virtù tanto difficili e meritorie, decomponeva pure il carattere della povera serva, istintivamente non cattiva, ma ignorante ed esacerbata.

— Ma le pare? — disse con voce dura, sbarrando il passo alla giovine — che direbbe il medico di tanta sfacciataggine?

Gilda allibì. Non s’aspettava questa opposizione da parte della Sabina. Scorata, si ritrasse, andò a sedere in un angolo e si sciolse in lagrime.

La Sabina si contentò di guardarla, camminando in su e in giù nella penombra della cucina, mentre aspettava che Marco tornasse dalla farmacia, e Giacomo era disceso in cantina a prendere dell’altro ghiaccio.

La mitezza della fanciulla e il suo ineffabile dolore, così ingenuamente manifestato, le cagionavano una inquietudine che aumentava il suo rodimento. Capiva di essere stata troppo sgarbata, di avere ceduto a un impeto di malumore; ma questo non valeva che a inasprirla di più.

Intanto arrivò Marco con le medicine e si diresse verso le camere.

Gilda balzò in piedi. Raggiunse il domestico, prese dalle sue mani rinvolto che stava portando e corse alla camera di Giovanni.

L’uscio era spalancato.

Ella sollevò la portiera di velluto e si fermò sulla soglia un istante.

Non era mai penetrata là dentro.

Il passo che stava per fare era molto grave. Passando per quel semplice uscio, ella decideva forse irreparabilmente di tutta la sua esistenza.

Forse.... [p. 192 modifica]

Ma questo pensiero non le si affacciò nemmeno.

Poteva ella pensare a sè in quel momento?

La sua commozione era tanto forte, che non solo le toglieva la facoltà di riflettere, ma l’acciecava materialmente. Fece alcuni passi incerti, non sapendo da qual parte dirigersi. La camera era debolmente rischiarata e i suoi occhi offuscati dalle lagrime non distinguevano gli oggetti.

Il letto dell’ammalato era in fondo a una alcova, chiusa da tende di seta rosso cupo, che il medico aveva alzate; il resto della camera era mobiliato a uso sala da studio; una grande vetrina piena di libri, delle panoplie, alcuni quadri antichi, coprivano le pareti. Sul pavimento era steso un tappeto scuro, che in quella penombra pareva nero. Nel mezzo stava una grande scrivanìa, con una lampada antica pendente dal soffitto e coperta da un paralume di seta ornato di ricami che lo rendevano molto pesante ed opaco. Davanti alla scrivanìa una poltrona. Gli altri mobili rimanevano affondati nell’ombra.

Ella si avvicinò istintivamente alla scrivanìa ed entrò nel circolo luminoso, che i raggi della lampada tracciavano sul tappeto.

Il medico la vide, uscì dall’alcova e le mosse incontro per prendere l’involto che gli portava. Poi ritornò subito vicino al malato.

Questo medico era un uomo piccolino, esile, il quale soffriva di reumatismi e digestioni difficili. Quella sera aveva tutta la parte inferiore del volto, avvolta in un fazzoletto di seta per un ingorgo di glandole, che lo tormentava. Molte volte egli era più ammalato dei malati che visitava; [p. 193 modifica]ma la sua carità era tanto più forte che la sua salute non fosse debole.

Era un medico dei poveri; ma Giovanni lo conosceva da anni, e nei rari casi in cui ce n’era bisogno, non voleva altri medici nella sua casa.

Gilda seguì i suoi passi fino ai piedi del letto Allora ella vide delinearsi il nobile profilo di Giovanni, nella bruna cornice de’ suoi capelli e della barba aristocratica. Il pallore del viso staccava appena con un tono più basso sulla bianchezza del guanciale. Sopra la testa aveva l’apparato col ghiaccio.

Era immobile; e, nel completo abbandono delle forze, il suo corpo di guerriero antico si sprofondava nella morbidezza del letto Il viso pareva irrigidito in una espressione severa; come se la vita si fosse arrestata in lui al momento in cui l’anima giudicava un colpevole.

Questo pensiero di morte veniva naturalmente guardandolo. Senza il respiro affannoso che sollevava il suo petto, si poteva paragonarlo a una di quelle maravigliose figure di eroi morti, scolpite dagli artisti del rinascimento sulle grandi tombe di marmo che decorano le chiese cristiane.

Così sano e forte, e fatto per la vittoria, il combattimento in cui era caduto, e per cui era là, su quel letto, affranto e sfinito, doveva essere stato terribile.

Questo avrebbe pensato chiunque lo avesse visto: questo andava pensando fra sè il piccolo dottor Rambaldi, scienziato e pensatore non piccolo, mentre preparava la pozione che Gilda gli aveva portato. [p. 194 modifica]

Ma egli ignorava i fatti, e non aveva che qualche indizio.

Se avesse conosciuto i fatti, avrebbe compreso che quell’infelice soccombeva a uno di quei combattimenti in cui le forze umane, si consumano giorno per giorno.

Il nemico lo aveva attaccato ostinatamente, con una crudeltà instancabile.

La bella illusione che gli aveva fatto sposare Edvige, non era durata molto. A poco a poco, a forza di intime torture egli aveva dovuto persuadersi che la bella donna non aveva per lui altro che un amore superficiale, basato sulla vanità e l’ambizione. Ma troppo fiero per confessarsi pentito, come per fare dei rimproveri, egli si era chiuso il suo dolore nel petto.

Più tardi cercò accontentarsi francamente con le soddisfazioni materiali e positive, che la società offre agli uomini ricchi, dando tutta la sua esuberanza di attività agli affari. Ma anche gli affari gli diedero dei disinganni. I risultati cominciarono a non rispondere mai alle sue aspettative. Una strana disdetta si ostinò a perseguitarlo.

Tutto a un tratto, si trovò di fronte al precipizio. Intanto il suo cuore era stato colpito da una di quelle passioni di uomo maturo, che sono implacabili. Da principio gli era parso un capriccio. Aveva creduto di poterlo soddisfare senza grande difficoltà, e dimenticarlo, come altri capricci. Ma era tutt’altra cosa: era un amore intenso, che presto divenne la poesia e il tormento della sua vita.

In questo frangente egli s’era buttato nel la[p. 195 modifica]voro come un disperato. Si era ubbriacato di cifre, di piani arditi. Aveva imposto alla sua intelligenza un tema che doveva occuparla sempre: la ricerca delle cause di quella disdetta terribile, contro la quale tutti i suoi sforzi riescivano vani.

Improvvisamente gli era parso che tutto crollasse intorno a lui, che la terra s’aprisse sotto i suoi piedi.

La sua vita si era sfasciata. Un colpo formidabile lo aveva atterrato. Mentre lui dava tutte le sue forze al lavoro, mentre lui combatteva con tutte le sue forze contro una passione alla quale avrebbe sacrificato tutto, con somma gioja; mentre lui faceva tutto questo, per il suo onore, per la pace della sua coscienza e la tranquillità della sua famiglia, sua moglie lo disonorava, e lo stesso uomo ch’essa gli preferiva, congiurava per demolirlo anche negli affari, servendosi dei mezzi più bassi.

Al primo momento egli aveva creduto poter resistere anche alla scoperta di tutte queste infamie. Avendo fatto tacere i sentimenti più naturali; nascosto il dolore e la indignazione sotto la sua apparenza abituale di gentiluomo compassato, freddo, alla inglese, e si era messo a riflettere sui migliori mezzi per far fronte al disastro imminente, e salvare almeno l’onore della firma e gli interessi di tutti quelli che avevano affidato il loro patrimonio alla onoratezza e al credito della casa sua, come un eroico capitano, che nel momento del massimo pericolo, dimentica sè stesso, per non pensare che alla salvezza della nave e dell’equipaggio. [p. 196 modifica]

Ma appena gustata la gioja del trionfo, ne avea sentito tutta l’amarezza e la vanità: poiché esso aveva ribadite le sue catene.

Invano Gilda lo amava, invano coi suo dolce sorriso, ella gli faceva sognare una vita di felicità al suo fianco.

Quel matrimonio, legalmente solubile, e mortalmente ferito dall’adulterio, egli non lo poteva più spezzare, senza sollevare uno scandalo, che lo avrebbe coperto di ridicolo e sarebbe rimasto come una macchia indelebile sulla fronte innocente di Lea. Tutto al più sarebbe stato possibile, se Edvige avesse accondisceso a una separazione amichevole, a eclissarsi dalla società, a passare per morta. Ma ormai egli sapeva ch’ella non era capace di sagrificarsi così. La conosceva finalmente!

Per liberarsi di lei, avrebbe dovuto cominciare dal far sapere a tutti che il loro matrimonio non era in regola con lo Stato Civile italiano; poi, ch’egli era stato ingannato per tanti anni nella sua famiglia, da quello stesso uomo che lo aveva ingannato negli affari.; e che finalmente, se egli era riuscito a scongiurare la catastrofe, la donna di cui voleva disfarsi, vi aveva contribuito.

Che subisso di chiacchiere si sarebbe levato! Come si sarebbero schierati contro di lui tutti gli invidiosi, tutti i vigliacchi, che nel momento del trionfo, si erano inchinati con maggior deferenza alla sua fortuna! E che riflesso sinistro tutto questo chiasso avrebbe gettato sull’onore della sua firma, ch’egli voleva serbare intatto I 11 credito della casa, quel credito in cui si concentrava l’opera di parecchie generazioni, a cui suo [p. 197 modifica]padre, il padre di suo padre, e altri e altri onorati uomini avevano consacrato la miglior parte del loro intelletto e della loro attività, avrebbe ricevuto una scossa, forse irreparabile. Poichè egli aveva un bell’aver vinto, non poteva dissimularsi che la sua banca usciva da una crisi gravissima, e che era ancora troppo debole per chiudere le bocche con l’oro.

No, no. Era inutile illudersi; egli non poteva liberarsi mai più.

E per la prima volta in vita sua la società gli era apparsa come un enorme e mostruoso congegno pieno di ruote, di seghe, di punte di ferro che gira ciecamente intorno a sè stesso, senza scopo nè meta, portando sopra di sè una immensità di creature tutte affannate per mantenersi nel piccolo posto sicuro che sono arrivate a conquistare o che hanno avuto in eredità, per non cadere nel vuoto, dove le ruote cigolano, e gli ingranaggi implacabili lacerano le carni, stritolano le ossa degli infelici che vi sono precipitati. E si era sentito stretto anche lui in quei meccanismi fatali: si era sentito vinto, spezzato.

Tali erano stati gli avvenimenti, le battaglie intime e i pensieri lugubri, che avevano fatto stramazzare quel corpo da gladiatore.

Vedendolo là, su quel letto, in preda al delirio e alla febbre, il buon medico non poteva indovinarli; qualche cosa però, una parte del vero traspariva al suo sguardo acuto di scienziato, uso a studiare dei sintomi per indovinare delle cause. Egli voleva salvarlo quel forte ammalato, non soltanto perchè la sua missione era di strappare quante più vittime poteva alla perfida azione [p. 198 modifica]delle malattie, ma forse più ancora perchè essendo lui un uomo così esile, delicato, che aveva tutta la sua forza concentrata nel cervello e nel cuore, provava una commozione profonda tutte le volte che il destino metteva nelle sue mani una di quelle creature robuste, che fanno pensare alla possibilità di una razza immortale.

Quando egli ebbe preparato la pozione in cui aveva fede, si voltò verso Gilda per invitarla a prestargli mano nella operazione delicata di farla bere al malato.

Ma egli fu colpito da uno spettacolo ben singolare.

Dal piede del letto, dove si era fermata prima a contemplare il suo adorato Giovanni, Gilda era scivolata fino al capezzale, e si era buttata in ginocchio per baciare la mano che il malato lasciava penzolare sulla sponda del letto.

Il medico la sorprese in quella dolce carezza, senza ch’ella se ne accorgesse, perchè aveva chinata la fronte e piangeva.

Ma egli raffrontò quella scena delicata con la scena penosa, a cui aveva assistito qualche ora prima, quando l’infermo aveva protestato così energicamente contro la presenza di sua moglie! il dramma intimo gli apparve chiaro, in tutta la sua intensità.

Egli si accostò alla giovine e la chiamò dolcemente.

Gilda trasalì e il suo viso si coprì di rossore. Ma il buon medico la rassicurò:

— Non abbia paura, — disse, — nè vergogna. Non c’è niente da vergognarsi, tutt’altro, quando si ama sinceramente, come sembra il suo caso. Ma [p. 199 modifica]non pianga. Non si tratta di piangere: si tratta di salvarlo: le pare?

— Oh! esclamò Gilda alzando gli occhi pieni di speranza verso di lui: lo salverà, vero?...

Il medico sorrise.

— Lo speravo, disse; ma dacchè siamo in due a volerlo salvare, a qualunque costo, vorrei dire che ne sono certo. Ma bisogna essere forti, vigilare continuamente, perchè la malattia è violenta e artificiosa; e farà di tutto per sorprenderci. Ora bisogna che gli facciamo bere questa pozione.

— Gli alzi la testa, io gli aprirò la bocca... così... brava!... ecco fatto!... Ora corichiamolo bene sul guanciale, Così... Poveretto!... non s’è accorto di nulla. È nel massimo torpore. Può restare così per una ventina di giorni.

— Oh dottore! che dice! — esclamò Gilda spaventata, e rimettendosi a piangere.

— Se lo dico, mia cara ragazza, è perchè non mi pare il caso di spaventarsi. Può essere che non duri tanto. Ma io mi contento se non lo riprende il delirio.

Gilda trasse un lungo sospiro.

— E ella conta di restare qui? — domandò il dottor Rambaldi dopo un momento di silenzio.

— Finchè non è guarito, non mi muovo di certo — rispose lei francamente.

— Va bene! allora ci vedremo spesso. Ma siccome le forze umane hanno un limite, anche nella massima gioventù, bisogna ch’ella non le consumi subito tutte, se vuol durare fino alla fine. Là c’è una ottomana; ella vi potrà dormire qualche ora.

Egli guardò l’orologio. [p. 200 modifica]

— Sono le quattro e mezzo — disse — fino alle sette, non si moverà certo: io sarò qui. Intanto, ella può riposarsi. Darò ordine alla Sabina di lasciarla tranquilla, e di lasciarla qui. In mezzo alle sue stranezze, la Sabina è una buona donna, ci si può fidare. Marco avrà l’ordine di venirmi a chiamare se succedono novità allarmanti. Quanto alla signora, spero che avrà il tatto di non muoversi... E ora: buon riposo!

— Grazie, Dottore — disse Gilda commossa, — ma per questa volta non me lo ordini: è impossibile ch’io mi metta a dormire adesso. D’altronde, lei non mi da il buon esempio, lei che avrebbe tanto bisogno di stare in casa e di riposarsi!

Il dottore sorrise, di quel suo riso benevolo, che confortava il cuore dei suoi clienti:

— Quand’è così — disse — faccia quello che farei io al suo posto; si metta a sedere su quella poltroncina, là accanto a lui, e lo guardi sempre, guarirà più presto. Lo dico sul serio. I malati che si custodiscono con tanto amore, raramente muoiono.

E il bravo medico si allontanò a piccoli passi affrettati, perchè oramai non poteva contare che sopra due ore di riposo, dopo di che lo aspettava una intiera giornata di lavoro.

Gilda rimase sola al capezzale del suo Giovanni.