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— E dov’è adesso la signora? — domandò Gilda.

— È nella sua camera: sarà tornata a letto. Che vuole che glie ne importi?...

— Allora — disse Gilda — se lei non c’è, vado io.

La cameriera la guardò, e il suo viso magro e grinzoso avanti il tempo, si oscurò tutto. Ella era sempre combattuta nei suoi sentimenti verso la giovine istitutrice. A momenti la paragonava a sè stessa, vedeva in lei un’altra vittima delle ingiustizie del mondo, della indifferenza spietata dei ricchi, e si sentiva piena di compassione per quella povera giovine, che poteva essere la sua figliuola; e l’istinto materno, non intieramente atrofizzato nel suo povero cuore di zitellona, si risvegliava potente e le ispirava dei pensieri delicati, delle parole piene di tenerezza.

Ma un momento dopo, se si fermava a contemplare la graziosa espressione del bel viso, i grandi occhi neri pieni di fascino, la figura elegante, tutti i vantaggi di quella creatura, tanto diversa da lei, se pensava che era forse amata e desiderata profondamente e poteva ancora trionfare di tutte le difficoltà e vivere felice con lo stesso uomo che lei aveva amato, il suo animo si mutava improvvisamente; al posto della pietà, della tenerezza, dell’istinto materno, sorgevano i sentimenti più tristi; la gelosia, l’invidia, il crudele rammarico di una vita inutilmente vissuta, senza amore e senza famiglia, nei disinganni e nelle umiliazioni.

Questo lievito di odio e di cattiveria che sta in fondo al cuore delle infelici donne dimenticate,