Nel sogno/Parte seconda
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte prima | Parte terza | ► |
PARTE SECONDA
MARIA.
Maria.
Solo così rimase due anni, poi uno strano avvenimento cambiò la sua vita.
Gli esseri umani più vicini a lui erano una famiglia di pastori, i quali, avendo la casa a mezza montagna, salivano nei mesi caldi fino a quelle vette per far pascere la scarsa erba che non avrebbero potuto raccogliere altrimenti. Vicini veramente non erano, ma neanche così lontani che non potessero scambiarsi qualche servigio.
Ora avvenne che un giorno il pastore corse al prete, chiamandolo d’urgenza presso una donna, una bracciante che, attraversando la montagna in cerca di lavoro, era stata improvvisamente arrestata dal più imperioso e grandioso dei misteri e temendo di morire voleva confessarsi.
Due gemelle nacquero nella notte, la madre morì. — Egli non giunse in tempo per accogliere la confessione della straniera, ma solo per benedirla, e per prometterle che raccoglierebbe le orfanelle.
Le prese in braccio, e fu subito invaso da un istinto di paternità, istinto mistico, tutto evangelico, come quello che guidava S. Francesco di Paola. Più che due bimbe, parevano a lui due gigli del Signore, fioriti sul suo sentiero.
Battezzarle bisognava prima di tutto, e poichè la morente nulla aveva detto in proposito, ed i pastori suggerivano nomi strani o volgari, chiesto consiglio là dove egli sempre soleva, cercò la sua ispirazione nelle nuvole, nelle stelle, nell’azzurro tenero del cielo; e le nuvole e le stelle e l’azzurro gli risposero un solo nome: Maria.
Egli l’accolse con entusiasmo. Nessun altro poteva eguagliare questo in grazia ed in purezza. Maria l’una e Maria l’altra, senza preferenza e senza scelta; perchè, con qual nome chiamare la seconda senza menomarla, se la prima era Maria? Due Marie, due benedizioni, due consacrazioni.
La moglie del pastore si incaricò di allattare le gemelle coll’aiuto di una capretta, e il solitario andava spesso a vederle, meravigliato dei loro progressi, colla curiosità del nuovo mistero e coll’ardore di un nuovo compito.
Quando poi vennero i rigori dell’inverno, lasciò a malincuore che la nutrice se le portasse con sè alla casa bassa, e fu una gran festa quando le rivide col ritorno della primavera.
⁂
Questa alternativa di dolore per l’abbandono e di letizia per il ritorno durò qualche anno, finchè i pastori, attratti da altri interessi, si allontanarono dalla montagna, e le bimbe rimasero a lui. Che fare? Aveva solennemente promesso alla loro madre morente di non abbandonarle.
Si compì allora una terza metamorfosi nel cuore del mistico. Egli, che si era staccato in modo assoluto dai suoi simili, vi ritornava guidato dal sentimento nuovo; un sentimento che non era l’amore degli uomini, che non era l’amore di Dio, sibbene un fascino ignoto di una dolcezza grande — il misterioso potere che l’innocenza esercita sulla sapienza e la debolezza sulla forza — la attrazione irresistibile di quelle due creaturine che Dio gli aveva dato da custodire.
Per una improvvisa intuizione che sapeva del miracolo, egli rammentò cento cose dimenticate dall’infanzia; la sua culla, le cure di sua madre, perfino le canzoni che gli avevano allora accompagnati i sonni. La sua mano diventava leggera toccando le piccole membra, scorrendo sui capelli sottili inanellati. Aveva delicatezze strane, pudori sublimi, risorse immaginose e semplici, quali poteva suggerirgliele la sua mente ardente e casta. Niente lo imbarazzava, niente lo tratteneva. Egli guardò in qual modo gli uccelli tessono i nidi, e preparò alle sue colombe un nido di foglie di faggio e di pelli di agnello. Al duro pane di cui soleva cibarsi, provveduto una volta all’anno, aggiunse il latte fresco di una giovane mucca; e poichè l’erbe ed i fiori, il purissimo aere, il profumo dei pini, lo splendore del cielo cantavano intorno l’inno della salute e della gioia, non cercava altro.
Neanche il pensiero dell’avvenire riusciva a turbarlo; rimetteva l’avvenire nelle mani stesse di Chi aveva guidato il passato.⁂
Qualche volta gli veniva uno scrupolo. Non era egli troppo orgoglioso? o che, pensava di fondare una nuova società indipendente dalle leggi e dai costumi che reggono l’altra? S’immaginava di essere l’Adamo di una novella stirpe? Si teneva in tanto concetto da sprezzare tutti gli uomini, o pretendeva forse di togliere al mondo il dolore ed il peccato?
Passava delle ore intere meditando, scrutando la propria coscienza, pronto a flagellarsi se si fosse trovato in difetto d’orgoglio. — O mio Dio — diceva alla fine — non siete Voi che mi avete mandato queste infelici? Voi che le abbandonaste a me? Perchè le avreste fatte nascere quassù, in circostanze così fuori dell’ordinario, se non lo aveste voluto? Ma se mi inganno, o Signore, parlate al vostro servo. Egli vi ubbidirà; egli tornerà ad allacciarsi i calzari e, tagliato un bastone da queste quercie, si porrà in cammino per la strada che Voi gli indicherete.
Il riso delle bambine interrompeva spesso la sua preghiera, e sembrava a lui che Dio gli rispondesse per mezzo di quelle bocche innocenti. Le prendeva per mano, e facendole inginocchiare nel posto dove meglio dominava una larga estensione di orizzonte, diceva loro: — Adorate il vostro Padre celeste.
Le bimbe tuttavia incominciarono a chiamare lui stesso “padre„ e quando ciò avvenne per la prima volta, la fronte dell’asceta si coperse di un vivo rossore, tremò in tutte le fibre, e sentì balzare il cuore con un tale tumulto di dolcezza che mai aveva provato in vita sua l’eguale.
Un turbamento giovanile, pari a quello della vergine che ode parlar d’amore, lo deliziava inconsapevolmente sotto le carezze delle due bambine, e un profondo rispetto, quasi un senso di adorazione, si impadroniva di lui via via che le piccine dimostravano cogli atti ingenui di attendere tutto da lui, per cui sentiva di dover esser loro ad un tempo padre, madre, asilo, sicurezza, fede.
E per quante gioie gli avessero date le sue estasi mistiche, per quanto, portando la fiaccola della carità in mezzo ai fratelli, egli avesse raccolto a volte soddisfazioni e compensi, questa nuova fase della sua vita gli appariva la più completa.
Le sue preghiere, per essere più brevi, non erano meno intense. Egli continuava lo spirito della preghiera nella occupazione materiale di ammanire il cibo, di accendere il fuoco per riscaldare le piccine, di rispondere ai loro gridi e ai loro pianti con parole dolci, che a volte erano ricordi del linguaggio materno, a volte versetti della Bibbia, a volte ritornelli di nenie e di canzoni popolari.
Infilava l’ago per preparare alle innocenti caldi panni ritagliati dalle sue sottane; fasciava i loro piedini con pelli di animali, e metteva il pelo all’interno, perchè la delicata epidermide si trovasse meglio riparata.
Nei giorni peggiori, ricorreva a cento invenzioni ingegnose per trattenere le due bimbe nella baita. Dei fuscelli, una montagna di sassolini, vecchi bottoni delle sue tonache, tutto era convertito in trastullo, tutto serviva a giuochi, celie e risa. Ma appena spuntava un raggio di sole, via colle bimbe in collo, dentro la neve, attraverso i boschi, addestrandole alla ginnastica dell’aria frizzante, alla vista degli immensi orizzonti puri.
E raccattando lungo la via erbe e radici, ne teneva deposito per combattere le effimere febbri infantili, per poter allestire all’occasione una bibita salutare alle sue dilette, per dar loro un ristoro nelle lunghe notti invernali, mentre fuori fischiava e gemeva il rovaio, e dentro alla baita il focherello delle betulle e dei pini diffondeva un tiepido calore di nido...⁂
Una grande bellezza fu l’estate in cui le bimbe entrarono nel loro settimo anno. L’età della ragione! pensava il solitario, tutto compreso dei nuovi doveri che gli incombevano, mentre aumentava in lui quel senso di rispetto per le creature che Dio gli aveva mandate, onde non procedeva a nessun divisamento senza essersi prima consultato colla propria coscienza.
Crescerle nell’amore di Dio e della natura, sviluppare contemporaneamente la maggiore forza fisica e la più alta potenza ideale. Questo il còmpito.
Sotto i boschi densi d’ombra sostavano negli ardenti meriggi, e come le piccolette si divertivano a rincorrere le farfalle ed a snidare i grilli, egli ne prendeva argomento per spiegare le leggi dell’amore universale, per istillare nei giovani cuori la pietà, la dolcezza, la comprensione sensibile di ogni sofferenza e di ogni tripudio, riportandoli alla cagione unica del tutto.
Egli le obbligava a guardare ed a riconoscere i mille mondi che si agitavano intorno a loro nel raggio di sole e nella gocciola d’acqua, nell’erba, nelle piante, nell’aria. Del mondo propriamente detto non parlava mai; esse potevano credere che finisse ai piedi della loro montagna. Ma quel dominio assoluto e libero e puro, quella ignoranza altera di tutto ciò che non fosse semplice e casto come esse, le cresceva in una nobile fierezza, in una limitazione regale di idee e di affetti.
Il prete parlava loro di Dio come di un padre pieno d’amore e di magnificenza; dipingeva le gioie del paradiso con colori smaglianti, le cantava con strofe poetiche, ma giammai parlò dell’inferno. Esse non conobbero neppure il nome dei peccati, neppure la parola peccato. Similmente virtù, che anche di rado usciva dalla bocca del prete, aveva per esse un significato complesso di bellezza, che non le conduceva a nessuna antitesi brutale, che era semplicemente ciò che doveva essere.
Perchè rivelare la colpa in quell’Eden? Chi avrebbe osato, chi avrebbe potuto introdurvela? L’asceta si esaltava in tale concetto di purità assoluta; gli sembrava di vedere alla falda della montagna un arcangelo colla spada fiammeggiante nell’attitudine di difenderla. Il suo sogno si mutava in realtà. Un mondo nuovo sorgeva dai ruderi della civiltà imputridita, Jehova lo permetteva. Egli aveva parlato, dal sangue di Cristo spuntava finalmente il fiore del perdono. Gli uomini potevano rialzarsi. Ecco la novella!
In una di queste ore d’estasi, mentre fremevano per l’aria i pollini divelti dai rododendri in fiore, egli tuffò le mani negli aromi sparsi, e, imponendole sul capo delle gemelle, mormorò nel colmo dell’ardore, quasi improvvisando: — Ti segno col segno della croce, ti confermo col crisma della salute, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Una lagrima di immensa tenerezza scese dagli occhi del prete, ed egli la posò sulle fronti riunite delle due bimbe. Sorrisero esse, e dissero:
— Padre, quanto ci ami!
Crescendo l’età, crescendo le domande e le risposte, e sviluppandosi in ognuna delle gemelle una personalità propria e distinta, un sol nome per entrambe non bastò più, e quasi senza accorgersene, senza un ragionamento voluto, egli incominciò a chiamare la prima Mària; restando alla seconda, per una impercettibile gradazione di tenerezza, il nome intatto di Maria.
Si somigliavano, ma Maria era un po’ più gracile della sorella, e l’anima sua sensibilissima era meglio portata a interpretare la invisibile malinconia delle cose. Meno viva, meno inquieta, ella stava volentieri accanto al prete, assorta in un muto rapimento, intanto che Mària colla foga di un giovane capriolo correva su e giù per i sentieri, lanciando sassi, strappando rami, inerpicandosi sulle alture più difficili e pericolose.
Mària cantava, cantava per un bisogno irresistibile di sfogo. Non conoscendo nessun motivo musicale, ignorando anche che cosa volesse al giusto dir musica, modulava in cento toni diversi il suo nome e quello della sorella, onde la valle echeggiava a lungo dei due nomi: Mària, Maria! Mària, Maria! che si ripercotevano sulle montagne circostanti con una cadenza strana di canzone selvaggia.
⁂
Ella amava pure i turbini e le tempeste.
Quando la raffica soffiava violenta e le punte dei ghiacciai si illuminavano al bagliore dei lampi, Mària provava una gioia strana, tumultuosa. Intanto che la dolce sorella, chiusa nella capanna, accompagnava il prete nel recitare le litanie della Vergine, ella correva ad esporsi nella lotta cogli elementi, a ricevere attraverso il corpo le sferzate del vento, affrontandolo arditamente e sfidandolo colla testa alta, mentre esso le scioglieva i capelli, le strappava le vesti, la mordeva e la flagellava, costringendola tutta palpitante a ridosso di un albero, senza respiro, senza voce, col volto che si velava dalle chiome scomposte, e le labbra aperte, rivolte in alto a bevere i primi goccioloni della pioggia.
Tutto ciò che fosse battaglia la attirava, e la sua giovanile immaginazione prestava anima e volontà a qualunque oggetto.
Aveva scelto per residenza favorita un picco, il più sporgente nell’abisso, dal quale dominava da regina, piacendosi al tetro rumore del torrente che muggiva in fondo. Vi aveva spesso invitato la dolce sorella, che timida e paurosa non ardiva seguirla, onde ella restavasene sola, affascinata dal nero vuoto, dove i suoi occhi si fissavano con un’ansia inquieta di ricerche; e quando la vertigine incominciava a prenderla, quando le si mozzava il fiato, quando il battito del cuore le si arrestava improvvisamente come sotto la stretta di una mano misteriosa, gettava un lungo urlo pieno di voluttà e di terrore. Si allontanava allora pallida e muta.
D’estate, nelle ore in cui il sole percuoteva la montagna, seduta a testa nuda sul suo picco, si tuffava in un bagno di raggi, piacendosi a sentire i morsi del calore, resistendovi con una sensazione di dilatamento nella pelle, di immedesimazione, quasi, che somigliava ad una conquista.⁂
Calma e semplice era Maria. Ella viveva in uno stato continuo di tenerezza e di pace profonda.
Più che il correre, preferiva l’andare tranquillo lungo i sentieri, e tra i sentieri preferiva i più verdi, i più teneri, quelli dove spuntavano fiori.
Amava i fogliami vaporosi, le chiazze di luce tra albero ed albero; si compiaceva del canto degli uccelli, del volo delle farfalle, dell’umile ed operosa vita degli insetti. I fiori l’attiravano dolcemente: ella si guardava bene del calpestarne qualcuno, chinandosi a raddrizzarlo, se lo aveva urtato, seguendone lo sviluppo con sguardo amoroso; oggi appena una gemma, domani un bocciolo, poi il fiore. Maravigliata sempre e commossa davanti a questo mistero, diceva talvolta: — Padre, io penso che i fiori hanno un’anima.
— L’ho pensato tante volte anch’io; tutto ciò che è uscito dalle mani del Signore ha un’anima di certo.
Ella diceva ancora:
— Padre, i piccoli grilli, le formiche e le lucertoline sanno essi che io li amo?
— Credo che lo sapranno. Noi sappiamo bene che i grandi alberi ci amano.
— Oh! sì; ci amano! — esclamava Maria piena di un ardore mistico — e ci ama pure la montagna, l’alta montagna buona, che ci protegge come una madre, sui cui fianchi noi ci appoggiamo, e le dormiamo in grembo.⁂
L’idea di questo amore universale la cullava in una specie di estasi, come nell’abbandono di una bontà sconfinata, dove non sorgeva mai neppure la più lieve ombra di dubbio o di paura. Sorella dei fiori, delle erbe, degli insetti, degli uccelli, viveva della loro pace profonda nella assoluta ignoranza del male.
Una lontana e confusa immagine della società le appariva a tratti nella lettura del Vangelo e nelle spiegazioni che il solitario ne faceva; ma tutto ciò si presentava alla fanciulla come una visione, come l’evocazione di un mondo spento, non invidiabile, nè desiderabile; e, nella sua anima straordinariamente portata alle oscurità del mondo soprasensibile, i fatti, i nomi, tutta quella storia misteriosa dell’Antico e del Nuovo Testamento si mescevano nel simbolismo di un sogno prolungato ed infinitamente soave. Le sembrava, a volte, di aver vissuto in quella terra fatale di Galilea, di aver udita la voce di Gesù, di averne seguito i passi, di essere stata sotto la croce a beverne il sangue, e per l’amore di Lui essere risorta a questa nuova vita di intera purezza, di luce imperitura.
Una grande fantasia poetica era in lei, per cui respirava in un’atmosfera di luce, e stava in rapporti ideali con una quantità di persone e di cose, confondendole soavemente per una ripugnanza innata delle verità materiali, onde spesso le stelle e gli Angeli, una rosa e la Madonna, il sole e Dio si identificavano nel suo pensiero, formavano quella catena di splendori e di gioie sante entro cui si moveva la sua anima.
Alcune parole, alcune frasi dei libri sacri la trasportavano in un delirio di ammirazione; per esempio, tutti i simboli relativi a Maria Vergine, che, dopo di essere stata paragonata all’aurora foriera del sole, venne ancora ravvisata nell’Arca dell’alleanza, fabbricata di legno incorruttibile, nel roveto di Mosè, che arde tutto e pure non si consuma, nella verga di Aronne, che lungi dall’insterilire mette fiori, nel vello di Gedeone, che solo rimane molle e coperto di rugiada mentre la terra intorno è bruciata; nell’orto chiuso, d’onde emanano profumi di paradiso, e nella rosa di Gerico, nel cedro del Libano, nel cipresso di Sionne, nella palma di Cades, nel pallido ulivo dei campi, nel leggiadro platano che costeggia i torrenti.
Su queste parole misteriose, su queste similitudini ignote, piene di una occulta e sublime poesia, la dolce fanciulla spargeva lagrime di una commozione così intensa che le si accresceva per esse l’infinita felicità di vivere.
⁂
La piccola baita, dal giorno in cui il prete l’aveva scelta per sua dimora, si era venuta man mano dirozzando per la presenza delle due fanciulle.
All’unica cameretta il solitario ne aveva aggiunta un’altra, lavorando a quest’uopo un inverno intero; prima per abbattere gli abeti e poi per tagliarli e piallarli rozzamente, tanto che potessero connessi insieme formare le tre pareti che occorrevano al nuovo edificio.
Le gemelle lo avevano aiutato con ardore, e non avendo mai visto nè fabbriche, nè operai, nè cosa alcuna al mondo, esultavano ad ogni scoperta, ad ogni felice risultato, così divertite dalla nuova occupazione che non videro fuggire l’inverno. Piene di zelo, portavano legni, limavano chiodi, foravano, ammucchiavano, docili all’insegnamento del loro buon padre; mentre Maria trovava modo di unire anche a questa occupazione materiale le sue visioni grandiose e poetiche e pensava che così avevano lavorato gli uomini primitivi per edificare il tempio di Salomone, dove si cantavano le glorie di Dio.
All’olezzante cedro del Libano ella sostituiva, con eguale trasporto di poesia e di gratitudine, il pino silvestre dal forte profumo resinoso.
— Come odora buono! — diceva. — Tanto buono e tanto forte!
E già amava quelle brune pareti, dove scorgeva, come in tutto il resto del creato, una catena ininterrotta di benefizi; le toccava con amore, con devozione. Non poteva neanche dire di essere felice: perchè la felicità per lei era lo stato naturale di tutti gli esseri viventi; ma tale intima sensazione la esprimeva nell’irradiamento di tutto il volto e in un crescendo di vitalità, per cui le accadeva di serrarsi stretta la sorella fra le braccia, quasi il suo cuore non fosse abbastanza grande per contenere tanta gioia.
Alla famiglia di pastori che avevano allevate le due piccine un’altra famiglia era subentrata, e nuovi rapporti di una o due volte l’anno recavano ai solitari della baita gli oggetti di prima necessità: volontario tributo che quella buona gente offriva al Santo. Ognuna di queste visite era un tale avvenimento per le gemelle che solamente l’aspettarle e il rammentarle bastava a riempire il loro isolamento. Non erano che rozzi pastori, ma erano anche i soli esseri umani che giungessero fin lassù.
Quando la cameretta nuova fu compita, misurò quattro passi in largo e cinque in lungo, e, per suggerimento dei pastori, venne confitta ad una delle pareti, la meglio riparata, una specie di alcova, molto simile ai lettucci delle cabine nei bastimenti e precisamente eguale a quelle che usano molti montanari, sia per economia di spazio, sia per tenersi più caldi. In questa nicchia, sopra un saccone ripieno di foglie bene asciutte, le gemelle dormirono per la prima volta al soffio dei venti di marzo, che urlavano nelle gole alpine; ma tenendosi abbracciate, sognarono insieme che le nevi erano già scomparse, che i sentieri si coprivano di rose . . .