Misteri di polizia/XI. Gli Ospiti illustri. Carlo Alberto in Toscana

XI. Gli Ospiti illustri. Carlo Alberto in Toscana

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XI. Gli Ospiti illustri. Carlo Alberto in Toscana
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CAPITOLO XI.

Gli ospiti illustri.

Carlo Alberto in Toscana.

L’occhio scrutatore della Polizia segreta non s’arrestava nemmeno dinanzi alla maestà del trono. I principi reali e i sovrani che di quando in quando capitavano a Firenze per ragione di svago o di salute, o vi venivano in esilio più meno fastoso, erano sorvegliati e spiati come se fossero dei semplici mortali. Dinanzi alla così detta alta polizia non c’eran disuguaglianze sociali: tutti erano uguali dinanzi al Bargello. Per quest’ultimo, tanto valeva la corona d’un re o d’un imperatore, quanto il berretto d’un becero. Qui, come vede il signor lettore, i birri dei governi che vivevano all’ombra della Santa Alleanza e gli scamiciati del 1793 che tagliavano la testa a Luigi Capeto, prole di re, e a Camillo Desmoulins, figlio del popolo, si davano la mano. Gli estremi si toccano.

Naturalmente, sotto il mite cielo toscano, trattandosi di pezzi grossi che avevano ricevuto sulle tempia il sacro crisma o erano più o meno alla vigilia di riceverlo, la polizia faceva le cose da gran signora. Non badava nè a spese, nè a fatiche, e dietro a re e a principi sguinzagliava i migliori segugi, i quali, nel loro inseguimento sapiente, non sempre si limitavano a tenere a rispettosa distanza dalle costole degl’illustri pedinati i borsaiuoli e i settarii, ma spingevano il loro sguardo plebeo un po’ dappertutto, sin nell’alcova delle bellezze maggiormente in voga, dove, non di rado, per rendere omaggio al piccolo e paffutello Dio dell’amore, si recava più d’uno di quegli augusti personaggi sorvegliati in un incognito, che non nascondeva il reale don Giovanni nè agli occhi della polizia, nè a quelli del pubblico. [p. 79 modifica]

Era quindi naturale che la mattina del 18 marzo 1821, i bracchi dell’illustrissimo signor cavaliere Aurelio Puccini, presidente del Buon Governo, fossero tutti in moto per l'arrivo di S. A. R. Carlo Alberto principe di Carignano, anche perchè questo benedetto principe, che nessuno s’aspettava di veder capitare in quei giorni a Firenze, vi arrivava non da touriste, da innamorato del bel cielo toscano e dei capolavori d’arte antica e moderna che popolano la gentile città dell’Arno, ma vi cascava addirittura all’improvviso, come un bolide, all’indomani di quel po’ po’ di casa del diavolo ch’era avvenuto in Piemonte, ove egli, il principe, aveva rappresentato una parte, se non chiara e ben definita, certamente rumorosa, chiedendo al suocero Granduca un’ospitalità, non si sapeva bene se in veste da carbonaro o da principe, da proscritto o da erede presuntivo della corona Sabauda, da rinnegato o da vittima.

La Polizia, che in quel tempo dava la caccia (ma sempre colla tradizionale svogliatezza toscana) ai Carbonari e in ogni cittadino non professante le più schiette massime del vangelo del sanfedismo vedeva o le pareva di vedere un capo-vendita o per lo meno un cugino, doveva trovarsi, poveretta, parecchio impacciata dinanzi a quel giovine e cavalleresco signore, che i codini non amavano e i liberali coprivano di contumelie, ma che essa aveva l’obbligo, in pubblico, di cerimoniosamente ossequiare, e, in segreto, di spiare, sia per impedire ch’egli ripetesse, riveduta e corretta, l'impresa di Piemonte ove mai il suo ravvedimento fosse da burla, sia perchè un carbonaro non gli piantasse, fra una costola e l’altra, la punta d'un pugnale, ove per avventura la sètta avesse deciso di mandare all’altro mondo colui che già cominciava ad essere l’esecrato Carignano. Imperocchè, in quei giorni, quel principe (e chi poteva allora prevedere e lo Statuto largito con magnanimità di re ed affetto di padre, e il sole glorioso di Goito e di Pastrengo, e la notte angosciosa di Novara, e il dramma straziante d’Oporto?) era divenuto increscioso a tutti, ai sanfedisti e ai rivoluzionari, alla Santa Alleanza e alla Carboneria.

Insomma, Carlo Alberto cominciava allora a [p. 80 modifica]rappresentare quella parte di sfinge, che ancora non ha trovato il suo Edipo, benchè di quando in quando qualcuno gridi: ecco trovato Edipo! E se l’Edipo autentico, il definitivo, s’aspetta ancora, si figuri il signor lettore se poteva dirsi bello e nato e capace di sciogliere indovinelli e sciarade il giorno in cui la polizia toscana apprese che Carlo Alberto, insieme alla sua famiglia, era arrivato nella dominante dei felicissimi Stati di S. A. I. e R. il granduca Ferdinando III!

Essa, la polizia, tanto l’alta quanto la bassa, invece di mettersi a decifrare quel rebus incarnato in un principe che codini e liberali odiavano, perdette addirittura la testa; quella testa che ogni vero poliziotto non dovrebbe mai perdere, sino al punto che lo stesso signor presidente del Buon Governo, quando mise il visto sul passaporto di Carlo Alberto presentatogli dal marchese Costa di Beauregard, non seppe leggere correttamente il nome sotto il quale viaggiava (diciamo viaggiare così per dire) l’augusto personaggio.

Difatti, per tutta quella giornata, il cavaliere Puccini nel minutare da sè stesso le note riguardanti l’ex-reggente degli Stati Sardi (sissignori, allora i ministri di polizia trovavano il tempo di minutare di tutto loro pugno il loro carteggio riservato) quel nome gli uscì sempre dalla penna assai malconcio: ora era un Burgos, ora un Burges, tal’altra (non bisogna poi sapergliene male, al signor presidente del Buon Governo; chi dice che lei, mio signor lettore, che in questo momento se la ride sotto i baffi, nei panni di quel galantuomo non avrebbe fatto lo stesso?) tal’altra, diciamo, era Bruges; e l’imbarazzo, diciamo ortografico, del signor Presidente si comunicò al ministro dell’interno, S. E. il signor consigliere don Neri Corsini, il quale, sulle prime, ebbe a credere di trattarsi d’un conte di Bruges.

All’indomani, quando il signor presidente Puccini e S. E. Corsini ripresero il loro sangue freddo e al momentaneo scompiglio ebbe a far seguito la fiaccona propria degli uomini di Stato toscani, si venne a sapere che il genero dell’Augusto Padrone (stile del tempo) viaggiava sotto il nome di conte di Barges. [p. 81 modifica]

Intanto, il 2 aprile, il presidente del Buon Governo dirigeva ai governatori di Pisa e di Livorno la seguente nota riservatissima, dalla quale si rileva come l’ospitalità che il granduca Ferdinando accordava al genero non fosse che una prigionia appena larvata dalla ossequiosità dei modi e del linguaggio dei funzionari dello Stato.

„È arrivato a Firenze S. A. Serenissima il principe di Carignano. Ha alloggiato da Schneiderff ed ha preso subito un visto al dipartimento sotto il nome di conte di Barges. Insieme ad esso ha preso il visto alla stessa direzione il suo scudiero marchese Costa.

„Debbo, di commissione superiore, prevenire segretamente V. E. che, non essendo affatto impossibile che le solite seduzioni si adoperino per indurre questo principe a partirsene di Toscana senza prima combinare dei regolari concerti, questa sua partenza non combinata vorrebbe impedirsi. Ciò dico per Lei unicamente e per sola norma delle direzioni che crederà fare per assicurare che ciò non segua; l'oggetto della misura deve essere ad ogni altro ignoto. A mesto effetto procurerà che nessuno possa uscire dalle porti senza d’un passaporto portante il visto del dipartimento estero, di V. E., o d’un governatore di città; ed ove si presentasse persona col passaporto di conte di Barges, che è già stato munito di questo visto, la persona deve essere, rinviata indietro riguardando il visto come di nessun valore. Le istruzioni in quest’ultima parte converrebbe darle colla massima cautela perchè il segreto non fosse penetrato.

„Questa istruzione sarà data anche a Piombino; a Pietrasanta sarà bene trasmetterla subito con un espresso, bene inteso tacendo in questi luoghi il nome del principe.„

Nello stesso giorno il cavaliere Puccini rendeva conto a S. E. don Neri delle disposizioni prese per impedire che Carlo Alberto uscisse dalla Toscana, la quale, come si vede, dal re Carlo Felice e dal principe di Metternich gli era stata scelta a prigione; e in un poscritto aggiungeva:

„Stasera mi verrebbe riferito che il principe si prepari alla partenza.„

Ma la notizia, per quanto soffiata all’orecchio d’un [p. 82 modifica]prefetto di polizia da uno zelante informatore, non era esatta, e il Corsini si affrettava a restituire all’illustrissimo signor cavaliere Presidente la calma, colle seguenti parole d’un biglietto privato.

„È combinato che il principe rimanga qui. Egli spedisce a Nizza e Marsiglia, per la via di Livorno, il suo scudiero Costa.

„Questo scudiero ha un passaporto della Legazione sarda col visto del dipartimento degli affari esteri, ma a scanso d’equivoci e per il dubbio che il Costa, nominato nel passaporto fatto al principe col nome di Barges si volesse vedere compreso nella proibizione, incarico la S. V. Ill.ma di mandare per espresso una lettera al governatore di Livorno per autorizzarlo a lasciar partire questo Costa ed a facilitare il suo imbarco.„

Naturalmente, a Firenze, non poteva passare inosservato il soggiorno d’un principe che in quei giorni aveva fatto tanto parlare di sè; e delle ciarle come delle passioni del tempo troviamo ricordo in un rapporto riservato che l’ispettore di polizia della città, Giovanni Chiarini, in data dell’8 luglio 1821, dirigeva al presidente del Buon Governo:

„Si parla in diverse società della capitale che S. A. Serenissima il principe di Carignano è dominato da qualche tempo da uno spirito profondamente melanconico, e se ne attribuisce la causa a diverse lettere replicatamente pervenutegli dal Piemonte contenenti fiere minaccie personali per parte dei liberali, che si qualificano compromessi avanti il legittimo sovrano per la condotta del prefato principe nelle ultime turbolenze di quel paese.

„Si pretende di articolare dei fatti a prova di questa pretesa tristezza, fra i quali ecco il più rimarchevole. Si narra dunque che la sera del 29 o del 30 del perduto mese restituitosi il principe al Real Palazzo Pitti assai tardi, si ritirò immediatamente nel proprio quartiere e chiese al cameriere le pistole; che questo fece qualche rispettosa rimostranza, dicendo che siccome si ritirava non [p. 83 modifica]abbisognavano armi; ma rendendosi inutile ogni industrioso pretesto, dovè cedere sotto l’espressa intimazione avuta.

„Ma che contemporaneamente avvertì l’aiutante di campo e la principessa sposa di quanto accadeva; i quali accorsi, lo ritrovarono immerso in una cupa fissazione, e molto ci volle ad entrambi per distornelo e ricondurlo alla calma; che saputosi questo fatto nella Corte vi fu un certo sconvolgimento; che da quel tempo in poi il menzionato principe vive in una tetra meditazione, non pronunzia che tronchi versi dai quali rivelasi un vivo rammarico del contegno tenuto prima di partire da Torino dicendo „che ha tradito sè, la consorte, gli amici, metà dei futuri sudditi e che non può essere che odioso a tutti.„

„Fra i liberali, facendosi l’applicazione a questo sconcerto d’animo del principe, si dice che nell’uragano rivoluzionario che sovrasta, egli sarà una delle prime vittime e che gli sono noti i progressi che fa lo spirito di sedizione nei popoli, ciò che ingerisce tanto turbamento nel di lui spirito e non, gli lascia riposo.„

Oh, come par di sentire attraverso la povera prosa burocratica dell’ispettore di polizia il sibilo terribile della imprecazione di Giovanni Berchet e il cachinno dei giambi di Giuseppe Giusti! Ma nè l’ispettore Chiarini, che sotto la torma rispettosa dei si pretende e dei si dice faceva la cronaca dolorosa dell’anima di Carlo Alberto, nè il presidente Puccini a cui il rapporto era diretto, nè i Carbonari che in quei giorni da ogni parte della penisola agitata dal vento della rivoluzione scagliavano il loro anatema sul capo del giovine principe sabaudo, potevano mai immaginarsi che da lì a non molti anni il figlio di colui che in una certa notte del giugno di quell’anno sciagurato chiedeva con insistenza al suo cameriere le pistole per mettere fine ad una vita divenuta a sè come agli altri incresciosa, sarebbe stato salutato re d’Italia, e che al grido di tutto un popolo festante per la ricuperata libertà, dalla tomba di Superga avrebbero mandato un fremito di santa gioia le ossa del maledetto del ventuno! [p. 84 modifica]

Ma a poco a poco la sorveglianza cominciò a farsi meno insistente. Dissipato il timore che il giovine principe potesse fare una seconda edizione riveduta e corretta della sua scappata costituzionale di Torino, gli si permise d’uscire fuori della sua prigione dorata di Firenze e di fare una escursione in Maremma e all’Isola dell’Elba. Probabilmente una corsa nelle tristi campagne del grossetano doveva presentare più d’una misteriosa e melanconica attrattiva all’animo d’un principe, che già, cominciava ad offrire tanti punti di contatto colla figura del giovine principe di Danimarca della tragedia dello Shakespeare, ma più ancora ne doveva presentare al cuore di lui una gita nell’isola in cui per breve tempo venne tenuto prigioniero colui che per un momento sognò l’unità d’Italia, sogno o ambizione che fosse, che a lui travagliò tutta la vita, non escluse forse le ore desolate dell’agonia passate in mezzo ad uno scoglio dell’Atlantico.

Naturalmente, le autorità toscane avevano ricevuto l’ordine d’invigilare strettamente il principe, e il vicario regio di Piombino, sotto il giorno 6 febbraio 1822, scriveva al presidente del Buon Governo:

„Alle ore 7 1/2 di questa sera, nel più grande incognito, è giunto in questa città S. A. R. il Principe di Carignano accompagnato da un ristrettissimo seguito. Smontata appena l’A. S. all’albergo di Bernardino Gasparri, mi sono portato avanti di essa per offrirle la mia servitù, obbedienza e il mio quartiere, men peggio al certo di quello elettosi. Egli con piena dolcezza ha rifiutato l’invito dicendo che viaggiava da privato. Quindi si è degnato interrogarmi sul clima, sui monumenti antichi che potevano essere a Piombino e sui ricordi della principessa Elisa. A tutto ciò ho dato sfogo in risposte relative ed egli particolarmente ha mostrato piacere nello intendere che questo soggiorno, attesa la vicinanza del mare dà un bel vivere nelle stagioni invernale ed estiva. Di sua soddisfazione è stata principalmente la situazione della piccola ma ridente e pulita città. Congedandomi, mi ha detto che viaggiando sempre a [p. 85 modifica]cavallo contava l’indomani di vedere le ferriere di Follonica.„

L’indomani, condottosi il principe a Follonica, vi si trattenne tre ore. Poi visitò Volterra; poscia ritornando a Piombino insieme al conte di Beauregard che l’accompagnava, sopra un piccolo ma sicuro legno, fece vela per l’isola d’Elba. All’atto dell’imbarco, tutte le autorità toscane del luogo fecero omaggio al principe. Chi s’astenne da quell’atto di doveroso ossequio (osservava con certa amarezza il buon vicario di Piombino) fu il vice-console di S. M. il Re di Sardegna. L’altezzoso dispetto di re Carlo Felice raggiungeva Carlo Alberto sino laggiù!

Giunse il principe sotto le mura dell’ufficio di sanità di Portoferraio la sera dell’8 febbraio verso le ore dieci. A mezzanotte entrò in città, ove andò ad alloggiare presso un certo Grossi. La mattina seguente, di buon’ora, si recò alle miniere di Rio e il giorno successivo visitò i forti di Portolongone. Anche a Portoferraio il console sardo si astenne di far visita al principe.

Di ritorno in terraferma, andò Carlo Alberto a caccia nella tenuta di San Rossore. Durante la caccia, una delle guardie che cavalcava al fianco del Principe, cadde, riportando una ferita, mentre il cavallo restò ucciso sul colpo. Il principe pagò il cavallo e soccorse generosamente il ferito.



Nei principi di casa di Savoia, la galanteria è tradizionale, come nelle principesse della stessa casa è tradizionale la illibatezza del costume. Se non sempre, certo quasi sempre, quando si gratta un principe di questa illustre casa vi si trova sotto un Francesco I, o un Enrico IV. Nè Carlo Alberto poteva sottrarsi alle tradizioni di galanteria della sua famiglia, e nei rapporti segreti della polizia toscana più d’un aneddoto di carattere tenero, e in cui il principe rappresenta la parte di Romeo, è registrata. Si [p. 86 modifica]parlò sopratutto d’un certo romanzo dove la parte di Giulietta sarebbe stata recitata da una bionda e bella signora russa, e se ne parlò tanto sin da richiamarvi su l’attenzione dello stesso presidente del Buon Governo, che ne fece un rapporto al ministro dell’interno. Ma poscia il silenzio si fece intorno a quell’intrigo galante, incominciato e finito tra una passeggiata alle Cascine e una festa da ballo ai Pitti, e le avventure più o meno autentiche del giovine principe, mormorate nei crocchi delle belle signore, commentate nei palchi della Pergola fra un atto e l’altro dell’opera, ingigantite nei caffè sino a trasformare il futuro soldato del Trocadero in un don Giovanni Tenorio o in un Lovelace riveduto e corretto, finirono col diventare uno dei luoghi comuni della cronaca fiorentina di quel tempo.



Firenze non rimase indifferente dinanzi a quel giovine principe che per un momento parve realizzare il sogno dell’unità e dell’indipendenza d’Italia. Anche quando per ingraziarsi Carlo Felice, che nell’intimità della sua coscienza reazionaria pensava con orrore che un giorno la monarchia di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele II avrebbe potuto avere per suo rappresentante un carbonaro scomunicato, partì per la Spagna per combattere i liberali, la città continuò ad occuparsi di lui. In un rapporto del 29 aprile 1823, l’Ispettore di polizia di Firenze scriveva: „In ora assai tarda della scorsa sera, fu assai parlato nel Caffè del Bottegone della subitanea partenza da Firenze, fatta da S. A. il principe di Carignano per l’armata francese per servire in Ispagna come aiutante del duca d’Angouléme. Fu detto essere stata richiesta questa mossa dal Re di Torino (sic), per dargli occasione di redimere l’estimazione perduta negli avvenimenti rivoluzionari del Piemonte. II marchese Pietro Torrigiani e l’avv. P. Del Rosso motteggiarono assai questo principe e poscia prendendo un tuono di gravità, si [p. 87 modifica]espressero che la misura deve piuttosto appartenere al gabinetto d’Austria nello scopo d’aggiungere ai tanti dei nuovi intrighi per conservare il fuoco in Ispagna e tenere in freno i francesi con un principe di sua aderenza, che non è austriaco, vicino al supremo comando dell’armata; ovvero (si vede che nei caffè la politica si fa sempre allo stesso modo!) per disfarsi dello stesso principe poco amato dai suoi futuri sudditi e che forma ostacolo alla successione del trono. Fecero quindi un’infinità di digressioni a provare che la missione del principe non emana da uno spirito diritto e naturale, ma parte da segreto maneggio politico.„

Sempre intorno alle ciarle che si facevano sul principe, ecco quanto scriveva lo stesso Ispettore di polizia sotto il dì 19 luglio: „Si sparse la notizia della prigionia del principe di Carignano (la notizia era falsa) e al teatro degli Immobili si parlava ieri sera generalmente di questa nuova. In un circolo ivi composto del conte Girolamo Bardi, Gino Capponi, Lorenzo Niccolini, ed altro non conosciuto, parlando della prigionìa del principe, il Niccolini si espresse: „La Corte manca questa sera al teatro e si vede che son dispiacenti di tal fatto.„ Rispose il Capponi: „Menochè alla moglie, per gli altri sarà indifferente; e chi sa che non tramassero di toglierlo di mezzo!„ Il Bardi in aria ironica soggiunse: „Pur troppo è vero; ma non mancano al teatro per questo. Gli è che non vogliono sentire massime di Alfieri che scorticano un po’ troppo le orecchie dei principi; epperò è certo, che quando si rappresenta roba di questo grand’uomo, la Corte non viene.„ Quella sera si rappresentava l’Agamennone.

Infine, il capo squadra di San Sepolcro, il 1 agosto, riferiva: „Si fa circolare in questa città la notizia che il principe di Carignano, dopo essere stato fatto prigioniero da una squadriglia costituzionale, in Ispagna, e nella quale trovavansi alcuni rifugiati piemontesi, questi, per vendetta. lo abbiano fucilato.„

Era la stessa notizia che circolava a Firenze; solo, avviandosi verso San Sepolcro, per istrada, era stata allungata con po’ po’ di frangia, ch’era la fucilazione.