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CAPITOLO XI.

Gli ospiti illustri.

Carlo Alberto in Toscana.

L’occhio scrutatore della Polizia segreta non s’arrestava nemmeno dinanzi alla maestà del trono. I principi reali e i sovrani che di quando in quando capitavano a Firenze per ragione di svago o di salute, o vi venivano in esilio più meno fastoso, erano sorvegliati e spiati come se fossero dei semplici mortali. Dinanzi alla così detta alta polizia non c’eran disuguaglianze sociali: tutti erano uguali dinanzi al Bargello. Per quest’ultimo, tanto valeva la corona d’un re o d’un imperatore, quanto il berretto d’un becero. Qui, come vede il signor lettore, i birri dei governi che vivevano all’ombra della Santa Alleanza e gli scamiciati del 1793 che tagliavano la testa a Luigi Capeto, prole di re, e a Camillo Desmoulins, figlio del popolo, si davano la mano. Gli estremi si toccano.

Naturalmente, sotto il mite cielo toscano, trattandosi di pezzi grossi che avevano ricevuto sulle tempia il sacro crisma o erano più o meno alla vigilia di riceverlo, la polizia faceva le cose da gran signora. Non badava nè a spese, nè a fatiche, e dietro a re e a principi sguinzagliava i migliori segugi, i quali, nel loro inseguimento sapiente, non sempre si limitavano a tenere a rispettosa distanza dalle costole degl’illustri pedinati i borsaiuoli e i settarii, ma spingevano il loro sguardo plebeo un po’ dappertutto, sin nell’alcova delle bellezze maggiormente in voga, dove, non di rado, per rendere omaggio al piccolo e paffutello Dio dell’amore, si recava più d’uno di quegli augusti personaggi sorvegliati in un incognito, che non nascondeva il reale don Giovanni nè agli occhi della polizia, nè a quelli del pubblico.