Memorie di un pulcino (1918)/Gastigo
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V.
Gastigo.
I miei lettori non dureranno fatica a figurarsi la disperazione in cui mi lanciò la fuga improvvisa del galletto.
Sul primo lo richiamai con quanto fiato avevo in gola, piansi, mi raccomandai, ma inutilmente; egli non mi poteva più sentire.
— Ohe fare, che fare? — dicevo fra me singhiozzando; — oh la mamma! —
Qui parrà ch’io,mi voglia lodare, ma confesso a onor del vero, che più della paura mi straziava il rimorso di aver disobbedito mia madre, la quale, poveretta, chi sa in quali angustie stava per cagion mia!
Feci di tutto per veder di raccapezzar la strada; non ci riuscii.
Dappertutto alberi, viottole, viti, e null’altro che potesse darmi qualche indizio del luogo in cui mi trovavo.
Almeno fosse durato il bel tempo! Ma nossignore, che in cielo, a giudicarne da’grossi nuvoloni e dall’aria umida e pesante, stava preparandosi un gran rovescio d’acqua.
— La vuol andar benino davvero: — dicevo fra me e me, guardando intanto se mi veniva fatto di trovare qualche posticino elevato dal suolo per potermi accomodare alla meglio a pollaio.
Ma sì! Ebbi un bel guardare in qua e in là; non vedevo nulla, assolutamente nulla, fuorché alberoni lunghi lunghi. Oi voleva altro che le mie scempiate ali di pulcino per salirvi!
— Camminiamo. —
Finalmente!... «Chi cerca trova e chi domanda intende.»
Io non domandai nulla, ma trovai qualcosa; una specie di palo, non troppo alto, legato a una vite e frastagliato da certe piccole cannucce, che facevano proprio al caso mio.
11 posto era buono, tanto più che era riparato da una specie di vecchia tettoia, la quale, se era opportuna lascio giudicare a tutti coloro che usciti di casa senza ombrello e sorpresi dal temporale, si sono trovati fradici mézzi da capo ai piedi.
Il posto era dunque buono; si trattava solamente di salirvi. Ma lì stava il busillis! Come v’invidiai in quel momento, agili uccelletti dallo svelto corpicciòlo e dalle piume leggiere!
Avevo una gran paura di fare un capitombolo e di rompermi una gambina; ma chi non risica non rosica, dice il proverbio, e io aprii le ali e mi slanciai....
Bru-tu-tum!
Cascai in terra.
Ahi! ahi! mi rialzai tutto indolito, e dato uno sguardo all’intorno per vedere se nessuno poteva ridere alle mie spalle, mi rifeci da capo.
Bru-tu-tum!
E ricascai.
Mi trovai profondamente avvilito, ma deciso, peraltro, a ritentar la prova.
Frattanto era cominciato a piovere dirottamente
Ero lì lì per accingermi di bel nuovo alla famosa ascensione, allorché un rumore insolito mi colpisce; era come uno stormir di foglie; mi fermai subito e mi messi in ascolto, ognuno pensi con che intrepidezza.
Non sentii più nulla.
— Eh di certo avrò sbagliato, — dissi allora.
Sono tanto pauroso! — Ricominciamo i nostri voli. —
E già mi slanciavo, già mi pareva di posar tranquillo sulla tanto sospirata cannuccia, quando.... Tremo ancora a rammentarlo! un bel gattone soriano sbucò improvvisamente da un ammasso di paglia, e si avviò alla mia vòlta.
Mi vide? Non lo so, non voglio saperlo! So unicamente che mi vennero i bordoni alla pelle e
Gambe mie, non è vergogna
Di scappar quando bisogna!
Quando credei che il gatto avesse perduta la mia traccia, mi fermai guardando sospettosamente da tutte le parti.
Non c’era più nessuno. Intanto l’acqua seguitava a venir giù a catinelle.
Fortuna che trovai una specie di capannuccia, ove i contadini stanno a badare all’uva! Mi vi accomodai alla meglio, tanto per aspettare che si facesse giorno.
Che nottata eterna!
La pioggia mi aveva bagnato fino alle ossa, e allorché il primo barlume dell’alba mi permise di guardarmi addosso, mi trovai irriconoscibile. Le penne erano tutte un fradiciume, le zampine mi si erano coperte di mota, e del bel nastrino rosso di cui tanto compiacevasi la gentile mia padroncina, non restava altro che un po’ di sfilaccicatura.
Quantunque al riapparir della luce mi si fosse allargato il cuore dalla contentezza, rimasi però molto male nel vedere in che stato lacrimevole mi aveva condotto la mia disobbedienza.
Stetti qualche minuto sopra pensiero. Che dire alla mamma! Che scusa trovarle! Alle bugie io non c’ero avvezzo, e il dirne una mi sarebbe costato un gran sacrifizio; eppoi, dicevo fra me, quand’anche un ripiego, alla meglio, mi riesca di trovarlo, chi mi assicura che sarò creduto?
E da quel maligno di galletto non c’è forse da aspettarsi qualunque tiro, anche quello d’essere sbugiardato in faccia a tutti! Già, riflettevo, se facesse così mi starebbe il dovere, perchè la verità deve andare avanti a ogni cosa, e io, non essendo sincero, mi do la scure su’piedi e aggravo sempre più il mio peccato. Dunque! Dunque, ne vada qualunque cosa, io vo’dir la verità.
La mamma e i padroni mi hanno sempre voluto bene; non mi vorranno mica ammazzare! Coraggio!
E presa questa bella risoluzione, il mio timido cuoricino si sentì subito meglio.
O sentite, ragazzi; io vi raccomando di far sempre a modo de’ genitori e di obbedirli in tutto e per tutto: è la via più sicura per esser contenti; ma se disgraziatamente vi venisse fatto di trascurare alcuno di questi doveri, non mettete tempo in mezzo; buttatevi a’loro ginocchi e confessate le vostre mancanze; sicuro, il viso lieto non ve lo faranno, e qualche rimprovero ci sarà dicerto; ma apprezzeranno la vostra sincerità, e finiranno col perdonarvi. Che consolazione allora!
Bambini miei, credetelo. Dopo la gioia di sentirsi buoni e innocenti, la più grande è quella di pentirsi e d’esser perdonati. Ve lo assicuro da pulcino onorato.
Il sole s’era levato, e una fresca brezzolina autunnale aveva spazzato il cielo di tutti que’ nuvoloni che la sera avanti mi avevan messo tanto sgomento; del tempaccio della notte non era restato nulla, fuorché i fiori bagnati e le pietruzze ancor fradicie, che brillavano al sole.
Mi messi in cammino a capo basso, tutto raumiliato e con la speranza di trovar qualcuno che m’insegnasse la strada.
Dopo una cinquantina di passi m’imbattei in un bel cane da pagliaio, che precedeva di poco due contadini vestiti da festa.
Io non sono mai stato entrante, anzi ho sempre badato al fatto mio, specialmente se mi sono trovato in compagnia di persone da più di me; ma quel giorno non c’era da badar troppo a siffatte convenienze. Ero solo, non sapevo la strada, e quel bel cane era certo in grado di darmi un consiglio.
Senza troppa vergogna e dopo avergli fatto un bell’inchino, che ci mancò poco non mi facesse andare a rotoloni, gli domandai con quel maggior garbo che mi fu possibile:
— Scusi tanto, signor cane, se mi piglio l’ardire di farle una domanda: ma lei è tanto gentile, che di certo mi compatirà....
— Oh di’ pure, — rispose cortesemente il nobile animale.
— La deve sapere, signor cane, che sono un pulcino molto disgraziato; ho passato la notte fuori di casa....
— Male, male, e ora?
— E ora, a dirla a lei, non mi riesce di trovar la via per ritornarvi. Il nostro padrone è Giampaolo, sa, quel contadino lungo, piuttosto secco....
— Ho capito, — disse il cane, e dopo aver annusato per l’aria, soggiunse: — seguiterai questa viottola fino in fondo, svolterai a sinistra, e dopo aver percorso tutta la salita, ti troverai di faccia alla chiesa; di lì a casa tua ci sono due salti.... desideri altro!
— Grazie e buona passeggiata, — risposi, salutandolo rispettosamente, e procurando di trottar più lesto che potevo: mi pareva mill’anni di riveder la mamma.
Come Dio volle, arrivai; e ognuno può immaginarsi com’io restassi nel veder quella povera creatura che sola, in mezzo a un gran quadrato di cavoli verzotti, girava gli sguardi da tutte le parti.
E la Maria? Cara bambina! anche lei era lì, inquieta e pensierosa; si vedeva chiaramente che essa pure mi cercava, dolendosi della mia scapataggine.
Correre incontro a tutt’e due e prorompere in un disperato pigolìo fu un punto solo.
Oh le feste che mi fece la padroncina!
Mi baciò, mi chiamò co’ più dolci nomi, e volle che subito mangiassi qualcosa; e mentre io col cuore pieno di gratitudine e di pentimento stavo beccando alcuni saporiti chicchi di grano, mi diceva amorevolmente:
— Cattivo! perchè ci hai fatto star tanto in pensiero? Dove l’hai passata questa nottataccia? Se tu sapessi quanto ti cercammo ieri sera all’avemmaria, allorché la povera gallina, col suo schiamazzare, ci ebbe avvisati che tu le mancavi! Girammo con la lanterna per tutto il podere! Invano mi sfiatavo a chiamare il mio pulcino! il cattivello non si ricordava più della sua padroncina, il cattivello era scappato; ci aveva lasciati!
Stanotte, poi, io non potevo pigliar sonno; sai a chi pensavo? a te, sempre a te; e quando la pioggia batteva contro i vetri della mia finestra e quando
il vento mugolava e faceva cascar le foglie dagli alberi, io dicevo: Chi sa a quest’ora dove sarà il mio pulcino! forse patirà il freddo, e forse si bagnerà tutto, forse morirà di languore! Appena si è fatto giorno sono corsa subito giù, e grazie a Dio sei ritornato! Poverino, poverino! —
E la cara fanciulletta dopo avermi baciato di nuovo, mi lasciò alle cure della mamma, perchè aveva fretta, diss’ella, di andare un po’ a ravviarsi.
La mamma anche lei non se ne stette; volle che mi finissi d’asciugare sotto le sue ali, e fu solamente dopo avermi visto un po’ riavuto, che mi domandò per qual ragione mi ero trattenuto un’intera notte fuori di casa.
Non le nascosi nulla, e finito il racconto, tutto addolorato le chiesi perdono.
— Volentieri, figliuol mio, — rispose essa — volentieri, purchè tu mi prometta che queste tristi cose non avverranno mai più, chè se avesse a succedermene un’altra, morirei di dolore.
— Oh per carità, mamma, non lo dica neanche per celia, — interruppi io tutto intenerito; stia tranquilla; da me dispiaceri non ne avrà più; voglio dar sempre retta a’ suoi consigli, e star con lei più che posso. È contenta?
— Sì, caro; e che Dio ti benedica. O senti: oggi c’è scialo in casa; arrivano i signori Dalvi, i padroni del podere,- col loro bambino, che è un po’ vispo, un po’ chiassone: ma in fondo buon ragazzo.
— Non mi farà dispetti eh, mamma? — esclamai impaurito.
— Non crederei: ma quand’anche si volesse divertire un tantino con te, ci vorrebbe pazienza: accetta quel po’ di male come espiazione del tuo fallo, bricconcello. —
E la mamma sorrise amorosa. Procurai d’imitarla, ma non mi riuscì. I miei lettori si saranno avvisti da un pezzo che in me non c’era davvero nessuna disposizione per divenire un eroe.
— Dunque, — proseguì mia madre ritornando seria — oggi c’è scialo; faranno pranzo e non sarà difficile che tirino anche il collo a qualcuno di casa, di casa nostra s’intende. Ma perchè cominci a tremare, grullerello? Te non ti ammazzano di certo; sei troppo piccino e per conseguenza troppo scipito; me neppure, perchè mi vogliono piuttosto bene; eppoi io sono la più vecchia, fo l’uova e non c’è caso che ne abbia mai bevuto uno. Sai chi ammazzeranno! La Mimì, quella gallinetta bianca e nera che il signor Giampaolo portò tempo fa di fuori via....
— Poverina! — esclamai commosso — mi dispiace. Avrei preferito che ammazzassero il galletto della Lena....
— Perchè? — interruppe mia madre, guardandomi fissa.
— Perchè? — ripetei un po’ confuso. — Oh bella! perchè è cattivo, perchè mi ha fatto del male.
— Ah! ne convieni! Vedi se avevo ragione allorchè ti consigliavo a non stringere con esso troppa intimità? Ma ora che il male è senza rimedio, bisogna perdonargli e desiderare che diventi buono: e tu invece gli desideri la morte! Bravo davvero!
— Mamma!
— O allora dimmi un po’, con che coraggio lo rimproveravi di beccare i semi della Teresina, quando anche tu sapevi che nel caso stesso avresti fatto come lui e forse peggio?
— Ma, mamma, — diss’io con voce lacrimosa — il galletto si vendicava da sè, e io invece....
— E tu, invece, aspetti che altri te ne risparmi la fatica. Vergogna! Figlio mio, non basta astenersi dalla vendetta, bisogna perdonare, perdonar sempre, perdonar di tutto cuore e augurare ogni bene a’ nemici nostri.
― Oh mamma, cara mamma! — risposi tutto pentito ― quanto mi vergogno d’aver buttato fuori quelle parolacce, e come debbo esser contento d’avere una madre sì affettuosa e sì buona!
― Via, via, non parliamo di me, che non mette conto; vorrei vederti buono, e basta.
― Non dubiti, sarà pensier mio. Ora mi dica un po’: il galletto, ieri sera tornò presto o tardi? Se la passò liscia?
― Proprio liscia; avrà tardato poco più d’una mezz’ora e quando tornò al pollaio trovò la porticina aperta; i padroni non erano ancora tornati dal lavoro, e io giravo qua e là inquietissima del fatto tuo. Allorchè visto che tutte le ricerche erano vane rientrai in casa tutta piangente, mi dette subito nell’occhio il galletto, che appollaiato sulla sua cannuccia, stava guardandomi con i suoi occhietti maligni. «Di dove vieni?» gli dissi subito; «hai veduto il mio figliuolo?» ― «Io? neanche per idea; sono stato a passeggiar per le viottole, e anzi mi ha fatto specie di non averlo visto punto. Fatevi coraggio, però, egli tornerà, tornerà.»
Immàginati come rimasi e con quali angosce aspettai che si facesse giorno per venire a cercarti. Il buon Dio non permise che io soffrissi più a lungo, e ora, grazie a Lui, ti stringo nuovamente al mio seno.
― Povera mamma, grazie della sua bontà. Ma guardi, ecco la Marietta che si avvicina. ―