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esclamai con disperata energia, e mi detti a una fuga, a una fuga così precipitosa, che ci mancò un ètte non mi si schiantasse il cuore.

Quando credei che il gatto avesse perduta la mia traccia, mi fermai guardando sospettosamente da tutte le parti.

Non c’era più nessuno. Intanto l’acqua seguitava a venir giù a catinelle.

Fortuna che trovai una specie di capannuccia, ove i contadini stanno a badare all’uva! Mi vi accomodai alla meglio, tanto per aspettare che si facesse giorno.

Che nottata eterna!

La pioggia mi aveva bagnato fino alle ossa, e allorché il primo barlume dell’alba mi permise di guardarmi addosso, mi trovai irriconoscibile. Le penne erano tutte un fradiciume, le zampine mi si erano coperte di mota, e del bel nastrino rosso di cui tanto compiacevasi la gentile mia padroncina, non restava altro che un po’ di sfilaccicatura.

Quantunque al riapparir della luce mi si fosse allargato il cuore dalla contentezza, rimasi però molto male nel vedere in che stato lacrimevole mi aveva condotto la mia disobbedienza.

Stetti qualche minuto sopra pensiero. Che dire alla mamma! Che scusa trovarle! Alle bugie io non c’ero avvezzo, e il dirne una mi sarebbe costato un gran sacrifizio; eppoi, dicevo fra me, quand’anche un ripiego, alla meglio, mi riesca di trovarlo, chi mi assicura che sarò creduto?

E da quel maligno di galletto non c’è forse da aspettarsi qualunque tiro, anche quello d’essere sbugiardato in faccia a tutti! Già, riflettevo, se facesse