Melmoth o l'uomo errante/Volume III/Capitolo V
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CAPITOLO V.
storia degli amanti.
In una provincia di quella parte dell’Inghilterra che si chiama Shropschire era situato il castello di Mortimer, dimora di una famiglia, che riportava la sua nobiltà fino al tempo della conquista de’ Normanni, e che pel suo potere il suo ascendente, le sue immense ricchezze ed il suo spirito indipendente, erasi di mano in mano renduta formidabile a tutti i partiti, che avevano posseduta o agognata la sovranità d’Inghilterra. All’epoca della riforma il signor Ruggero Mortimer, discendente di questa famiglia illustre, abbracció vivamente la causa de’ riformatori. Durante il breve regno di Edoardo la sua famiglia fu protetta ed accarezzata; ma sotto quello di Maria fu minacciata ed oppressa, ed il pietoso signor Edmondo successor di Ruggero dopo aver veduti due de’ suoi domestici perire sul rogo, potè a mala pena salvare la vita, che non serbò a lungo però: le scene terribili, delle quali era stato testimone, gli fecero deteriorare estremamente la salute, e ritirossi nel suo castello di Mortimer, dove morì obbliato. Il suo successore difese acremente, sotto il regno di Elisabetta, i diritti de’ riformatori. Sotto Giacomo primo i Mortimer ebbero una influenza anco maggiore. Il partito de’ Puritani aumentando di giorno in giorno, il signor Arturo partecipava dell’odio, che essi ispiravano al re, ed andava prevedendo i torbidi, cui darebbe luogo questa setta, quantunque non vivesse tanto da vedere realizzati i suoi timori. Ruggero Mortimer di lui figlio era inflessibile tanto nell’orgoglio quanto ne’ suoi principii. Quando scoppiò la guerra tra il re ed il parlamento, Ruggero abbracciò di vero cuore la causa del re, e cinquecento dei suoi vassalli, equipaggiati a sue spese, assisterono alle battaglie di Edgehill e di Marston-moor.
A Ruggero era morta la consorte, ma sua sorella madamigella Anna Mortimer era rimasta alla direzione del castello. Rimarchevole essa per la sua bellezza, spirito e degnità di carattere, non era inferiore al fratello nell’attaccamento alla causa del re e della corte, della quale un tempo era stata il più bell’ornamento, ed alla quale aveva renduti de’ grandi servigii co’ suoi talenti, attività e coraggio. Ma finalmente arrivò il tempo in cui tutti gli sforzi del volere, del rango, della fedeltà e della bellezza doveano vani riuscire. Dei cinquecento prodi, che Ruggero aveva fatti entrare in campo, non ricondusse al castello che trenta veterani feriti e mutilati, e ciò dopo che il re Carlo si decise a mettersi in mano degli Scozzesi, i quali lo vendettero al parlamento per esser pagati dell’arretrato de’ loro stipendii.
Il regno della ribellione non tardò ad incominciare, e Ruggero realista distinto ebbe a provarne personalmente tutto il gravame. Sequestri e imposizioni, ammende imposte per malavolenza, ed imprestiti forzati per una causa, che egli detestava, vuotarono il tesoro, ed abbatterono il coraggio del vecchio realista; a tutte queste calamità si aggiunsero non pochi dispiaceri domestici. Aveva egli tre figli; il primogenito che era perito combattendo pel suo re alla battaglia di Newbury lasciò una figlia in tenera età, la quale fino d’allora era riguardata come l’erede di immense fortune: il secondo aveva abbracciata la causa de’ Puritani, e cadendo di errore in errore aveva terminato con sposare la figlia di un independente della quale avendo adottata la credenza, secondo il costume di quei tempi, il giorno combatteva alla testa del suo reggimento e la notte predicava. Ma questo duplice esercizio della spada e della cattedra sorpassò le di lui forze; conciosiachè un giorno al termine di un combattimento, nel quale era sì molto affaticato, volle fare un discorso all’aria aperta, il quale durò più di due ore, e questo gli cagionò una pleuritide, che lo portò via in tre giorni, ed ancor esso lasciò superstite una figlia, che rimase presso la sua genitrice.
Il dolore che Ruggero provò per la morte de’ due figli andò a poco a poco cessando, ma per differente ragione. La causa che aveva costata la vita al primo gli offriva un’ampia consolazione, mentre quella, che aveva abbracciata il secondo, cui non dava altro nome, che quello di apostata, non gli permise di sentire un molto vivo dolore. Allorchè i suoi amici gli significavano il loro rincrescimento per la perdita che aveva egli fatta del suo primogenito, rispondeva loro: non è desso, ma l’altro, che merita di esser compianto. Le lagrime però, che egli spargeva in quel tempo avevano un’altra sorgente ancora. A lui non era rimasta, che una figlia, che non ostante la vigilanza di madamigella Anna, erasi lasciata adescare da una famiglia di Puritani del vicinato, ad assistere ai sermoni di un predicante independente chiamato Sandal. Questi era sergente nel reggimento del colonnello Pride, e negli intervalli de’ suoi militari esercizii recitava i suoi sermoni in un magazzino da ripor biade. Egli aveva una natural disposizione nel fare i sermoni e molto entusiasmo. Secondo il costume del suo secolo aveva presa per suo cognome una frase intiera, e facevasi denominare: Tu non-sei-degno-disciogliere-i-lacci-delle-sue-scarpe-Sandal.
Fu questo il testo, che egli premise al suo sermone quando la figlia di Ruggero lo sentì per la prima volta predicare, e l’eloquenza di esso fece tanto effetto sopra di lei, che non ostante la nobiltà della sua nascita e il realismo della sua famiglia, ella unì la sua sorte a quella di cotest’uomo di bassa e vile condizione. Nè egli però fu stabile nelle sue opinioni religiose; chè anzi abbracciò l’una dopo l’altra tutte le sette, che vigevano a quell’epoca in Inghilterra. Egli fu seguace del celebre Ugo Peters; lo abbandonò quindi per abbracciare la setta degli antinomiani; ci fece quindi millenario; in seguito cameroniano, traendo seco dappertutto la sua moglie, fino a tanto che morì lasciando un unico figlio. Ruggero annunziò a sua figlia di essere irrevocabilmente risoluto di non più vederla; ma le promise di prendersi cura del figlio di lei, se voluto glielo avesse confidare, al che acconsenti la vedova Sandal.
Per tal modo i tre nipoti di Ruggero nati sotto tanto differenti auspicii si trovarono nella loro tenera età riuniti nel castello di Mortimer. Margherita Mortimer, figlia del primogenito, bella, spiritosa, coraggiosa, aveva ereditata tutta la fierezza, principii aristocratici e tutte le ricchezze, che rimanevano alla famiglia. Eleonora Mortimer, figlia dell’apostata, era piuttosto tollerata, che accolta nel castello; dessa era stata educata nelle massime le più severe de’ suoi genitori independenti: finalmente Giovanni Sandal figlio della figlia ripudiata non era stato ammesso nel castello, se non a condizione, che si attaccherebbe alla fortuna della famiglia reale, allora bandita e perseguitata. In conseguenza il suo avolo gli fece ottenere un posto nella milizia, che si stava formando in Olanda, per difendere il re e la sua causa.
Tale era la posizione degli abitanti del castello allorchè ricevettero la notizia de’ felici sforzi di Monk in favore della famiglia reale. Rapido ne fu il successo; la restaurazione seguì pochi giorni appresso, e tanta era la considerazione, che godeva la famiglia Mortimer, che fu spedito da Londra un espresso per portarne la nuova. Il primo corriere arrivò nel tempo che Ruggero stava leggendo una preghiera alla sua famiglia. Il vecchio realista sentendo il ritorno ed il ristabilimento di Carlo II si alzò in piedi, e cambiando ad un tratto il tuono supplichevole, intuonò ad alta voce il cantico «Nunc dimittis» e quando ebbe terminato di recitarlo cadde sul cuscino di velluto, che madamigella Anna gli aveva collocato sotto le ginocchia. I suoi nipoti si alzarono per sostenerlo; era troppo tardi: lo spirito si era dipartito da lui al profferire l’ultimo versetto. La nuova, che fu la cagione della morte di Ruggero, fu ancora il segnale del ristabilimento di questa antica famiglia ne’ suoi onori e nelle sue ricchezze. Favori, con donazioni di emmende, restituzione di terre e di effetti, offerte di pensioni, ricompense vennero a piovere su questa famiglia fedele con maggior prontezza ancora delle ammende, delle confische e de’ sequestri che aveva dovuto soffrire sotto il regno dell’usurpatore.
In conseguenza di ciò madamigella Margherita Mortimer fu di nuovo conosciuta in qualità di nobile e ricca ereditaria del castello. Dessa ricevette de’ replicati inviti di recarsi alla corte, ma rigettò tutto dicendo a sua zia: Dalla sommità di queste torri mio zio condusse i suoi vassalli al soccorso del suo re; verso queste torri medesime ricondusse i pochi superstiti al momento che la causa del re sembrava disperata; qui egli visse e morì pel suo sovrano; qui voglio ancor io vivere, qui voglio morire. Quando fu deciso, che madamigella Margherita non andrebbe a Londra, la famiglia riprese le sue antiche abitudini, quali si convenivano ad una antica, nobile ed illustre famiglia; alla testa di lei trovavasi una giovane persona, che ne rendeva la regolarità senza rigore e senza apatia.
Ruggero aveva nel corso della sua vita coltivato ugualmente le lettere e le armi; le sue nipoti, della cui educazione erasi incaricato egli stesso, intendevano a sufficienza il latino ed il francese, e conoscevano a fondo la letteratura di queste due lingue, come pure quella della loro lingua materna. Madamigella Anna Mortimer serviva di commentario vivente a tutto ciò che esse leggevano ed a tutte le loro conversazioni. La sua mente ricca di aneddoti, e forse un poco troppo minuta, elevasi fino alla più alta eloquenza quando entrava ne’ racconti de’ tempi trascorsi, e le sue nipoti riscontravano in essi riunita l’eloquenza con la poesia. I suoi discorsi però divenivano più interessanti quando parlava degli avvenimenti de’ quali era stata ella stessa testimone.
Madamigella Anna Mortimer era in grado di raccontare molte cose e raccontava con grazia. Ella dipingeva coi più vivaci colori tutti i fatti della guerra civile. Parlava del giorno in cui ella montò in groppa dietro suo fratello Ruggero per andare incontro al re a Shrewsbury, e ripeteva quasi le grida, che risuonarono in quella fedele città, quando fu veduto il vasellame, che l’università di Oxford inviò alla zecca per esser consacrato in servizio del re. Di tutti gli anedotti però che raccontava madamigella Anna, dove poneva maggiore interesse erano quelli, che avevano rapporto alla sua propria famiglia. Parlava della virtù e del valore di suo fratello Ruggero con una unzione, che comunicavasi ai suoi uditori, ed Eleonora medesima non ostante il Puritanismo, in cui era stata educata, piangeva nell’ascoltarla. Il fatto però che ella più d’ogni altro compiacevasi di ripetere era quello della notte, che il re aveva passata nel castello di Mortimer. Ruggero era assente. Essa vi era sola in compagnia di sua madre in età di settantaquattro anni. Il re arrivò travestito. La signora Mortimer fece il meglio che potè per accoglierlo condegnamente. Ma una banda di fanatici dopo avere spogliata una vicina chiesa arrivò al castello andando in cerca dell’uomo! Ella si portò all’arsenale, distribui a’ suoi domestici le armi, che in esso trovò, e formandone un corpo di difesa, pregò un giovane uffiziale francese che serviva nel corpo del principe Roberto e che era da parecchi giorni alloggiato nel castello, di assumere il comando. Questo giovane militare, che non aveva più di diciassette anni, fece de’ prodigii di valore, ma non avendo potuto impedire, che il nemico entrasse nel vestibolo, venne a morire ai piedi della signora Mortimer esclamando: io ho fatto il mio dovere! In questo intervallo il re si era salvato sul miglior cavallo della scuderia della signora Mortimer. I ribelli dopo aver percorso il castello, non trovando il principe, che cercavano, montarono in tanto furore, che fecero trasportare un pezzo di cannone nel vestibolo, minacciando di dargli fuoco, lo che avrebbe atterrata la maggior parte del castello. La signora Mortimer finora aveva conservata tutta la sua presenza di spirito, ma essendosi avveduta per caso, che il cannone era stato precisamente puntato contro la porta per la quale il re si era salvato, mettendosi avanti la bocca del cannone, esclamò: no, no, verso questa parte voi non farete fuoco! e nel profferire queste parole stramazzò in terra priva di vita.
Tale era la gloriosa e commovente relazione, che faceva madamigella Anna, indicando con la mano i differenti luoghi, ove ciascun fatto era seguito, e che traeva costantemente le lagrime dagli occhi degli ascoltatori. Ma non limitavasi ai soli racconti guerrieri, che talvolta dipingeva ancora le feste della corte, e nominava le principali bellezze, ma in modo da far comprendere, che la sua non aveva meno delle altre figurato. Margherita ed Eleonora ascoltavano la zia con un interesse uguale, quantunque avessero sentimenti ben differenti. Margherita, bella, vivace, orgogliosa e generosa rassomigliava tanto nel fisico che nel carattere a suo avo ed a sua zia: il realismo e la chiesa anglicana erano per lei le condizioni indispensabili del giusto e dell’onesto. Eleonora all’incontro educata in seno alle discussioni popolari, erasi accostumata di buon’ora a vivere fra persone di differenti opinioni e principii opposti. Ma dopo la sua ammissione al castello aveva acquistata più umiltà e pazienza. Non ostante l’influenza della sua primitiva educazione, sapeva apprezzare i vantaggi della residenza nel castello degli avi suoi. Amava la letteratura e la poesia; aveva della immaginazione e dell’entusiasmo, e vi si immergeva con libertà, sia che percorrer volesse le scene pittoresche della natura nelle circostanti compagne, sia che porgesse l’orecchio ai cavallereschi racconti degli abitanti del castello.
Il genere della bellezza di Eleonora, quantunque differente da quello di sua cugina, era nondimeno molto rimarchevole. Quella di Margherita era nobile e trionfante; ognuno dei movimenti di lei offriva una grazia, della quale ella sembrava interiormente convinta: ciascuno sguardo esigeva un omaggio, che all’istante medesimo otteneva. Eleonora era pallida, meditabonda e commovente; avea i capelli neri al pari dell’ebano, o quando girava lo sguardo, le sue pupille sembravano due stelle, che in mezzo alla oscurità della notte i loro tremoli e scintillanti raggi tramandano. Dessa era riccamente vestita, perchè tale era il desiderio di madamigella Anna, la quale anco in mezzo alle avversità, cui fu sottoposta la famiglia, avrebbe creduto disonorare la illustre prosapia se si se presentata una volta senza esser vestita di velluto o di seta.
Nel soave accordo della bellezza e de’ moti di Eleonora, scorgevasi una certa tendenza naturale alla dolcezza ed alla sommissione; nel suo sorriso una malinconia piena di grazie; finalmente fuoco che brillava nei suoi sguardi era un mistero per lei medesima; ella sentiva, ma non sarebbe stata in grado di dire ciò, che sentiva. Rammemoravasi che alle prime visite, che ella fece al castello suo avo e sua zia non potendo porre in dimenticanza la bassa estrazione ed i principii fanatici del genitore di lei, l’avevano trattata con una specie di severa alterigia, e che il suo cugino Giovanni Sandal era stato il solo, che le avesse parlato con affabilità e rivoltole uno sguardo di compassione; come pure, che egli l’avea aiutata ne’ suoi studii e preso parte in tutte le ricreazioni di lei.
Giovanni Sandal, che era di un aspetto avvenente, aveva voluto prender servizio nella marina, ed in conseguenza era partito molto giovane dal castello nẻ vi era più ritornato. Al tempo del ristabilimento del governo, l’influenza della famiglia di Mortimer unita ai talenti e al coraggio del giovane, gli procurarono un pronto avanzamento; ed allora la di lui importanza aumentò agli occhi della sua famiglia, nella quale finora era stato solamente tollerato. Madamigella Anna Mortimer stessa cominciò a desiderare di ricever notizie del suo bravo nipote Giovanni Sandal, di cui si raccontavan prodigi nella memorabil guerra contro l’Olanda, nella quale il nome del capitano Sandal erasi distinto fra quelli degli uffiziali destinati a quella campagna. Madamigella Anna, avvezza da lungo tempo a sentir pronunziare il nome degl’individui di sua famiglia annesso a de’ fatti storici, provò di nuovo quella elevatezza di spirito, che un tempo aveva risentita; ma questa volta accompagnata da’ più felici presagii. La generosa Margherita partecipando di quell’entusiasmo, che le faceva soffocare ogni personale risentimento, quando trattavasi della gloria della sua famiglia e del suo paese, sentiva parlare dei pericoli, ai quali si esponeva suo cugino, del quale ella conservava appena la rimembranza, con una orgogliosa presunzione, la quale le facea credere, che ella medesima incontrati gli avrebbe coraggiosa, se fosse stata l’ultimo rampollo maschile della famiglia Mortimer. Eleonora piangeva e tremava, e quando trovavasi sola non faceva che pregare con fervore.
Al momento in cui nel castello si divulgò la notizia della partenza della flotta sotto gli ordini del duca di Jork l’espettazione di un accrescimento di gloria ne’ fasti della famiglia si risvegliò nel petto di Margherita e di madamigella Anna; ma il cuore di Eleonora si riempiè di una profonda e dolorosa emozione. Finalmente però giunse al castello di Mortimer un espresso inviato dello stesso re Carlo: questo annunziò che la vittoria era stata completa, e che il capitano Giovanni Sandal si era ricoperto d’onore. Nel più caldo della mischia esso era stato latore di un dispaccio di lord Sandwich al duca di Jork; le palle gli fischiavano di intorno, e molti uffiziali, anco veterani, non avevano voluto incaricarsi di quella commissione. Quando il vascello ammiraglio olandese saltò in aria, Giovanni si era gettato in mezzo alla esplosione onde salvare gl’infelici che si trovavano a lottare contro l’acqua ed il fuoco. Pochi momenti dopo si slanciò avanti le palle, che mandavano i nemici, e che dopo aver minacciati i giorni del duca tronco in un sol punto quelli del conte di Falmouth, di lord Muskerry e del signor Boyle, e quindi con mano ferma rasciugò le vesti del principe tutte intrise del sangue de’ suoi amici. Madamigella Anna a tale annunzio esclamò: è un eroe! Eleonora disse a bassa voce: è un cristiano!
Le particolarità di un simile avvenimento formarono un’epoca gloriosa in una famiglia eroica e piena di immaginazione. La lettera scritta di mano del re fu letta e riletta a più riprese, e seguitò ad essere il soggetto de’ discorsi comuni degli abitanti del castello, e quello delle solitarie riflessioni di ogni individuo. Margherita pensando al valore di suo cugino, s’immaginava di esser presente all’esplosione del vascello d’Opdam; Eleonora lo vedeva sempre slanciarsi in mezzo alle fiamme ed ai vortici di fumo per salvare la vita de’ vinti nemici. Incominciando dal giorno del ricevimento della lettera del re si vide potentemente un cambiamento significante nelle maniere di Eleonora. Questo era prodotto dal contrasto che regnava tra la sua reminiscenza ed i discorsi che presentemente ella sentiva. La prima le rappresentava suo cugino avvenente ed amabile, pieno di grazie e di dolcezza, gli altri invece sotto l’aspetto di un guerriero coperto di sangue e compiacentesi di tutti gli orrori di un combattimento. Finora ella erasi fatta un piacere di pensare al tempo in cui rivedrebbe l’amico della sua infanzia, ed involontariamente lo rivedeva quale lo aveva veduto partire. Cotesta illusione però era ormai divenuta impossibile, ed il dolore che ne provava, l’aveva fatta divenire pensierosa e malinconica, e sembrava quasi facesse della impressione sulla di lei ragione.
Tale era la situazione di Eleonora quando una persona, che da molto tempo non erasi lasciata vedere nelle vicinanze del castello, venne a stabilire la sua dimora in que’ dintorni, ciò che cagionò una grande sensazione negli abitanti di esso. La vedova Sandal madre del giovane capitano, che fino a quel tempo aveva vissuto nella oscurità e nella solitudine, e sostentatasi con la scarsa pensione assegnatale da Ruggero, a condizione che non si lasciasse mai vedere nel castello, arrivò ad un tratto a Shrewsbury, che non ne era distante più di un miglio, ed annunziò l’intenzione di quivi stabilire la sua residenza. Quando al castello di Mortimer fu ricevuto l’avviso di questa singolare risoluzione della vedova Sandal si tenne una specie di capitolo. Durante la consultazione dell’affare il cuore di Eleonora palpitò vivamente, ma ritornò in calma quando fu deciso, che l’effetto della sentenza severa di Ruggero non doveva estendersi al di là della vita di lui, e che un discendente della famiglia Mortimer non doveva vivere trascurato e negletto all’ombra delle sue mura. Fu dunque renduta una visita con cerimonia ed accolta con riconoscenza. Madamigella Anna dimostrò molta affabilità e cortesia a sua nipote, e questa dimostrò l’umiltà è la tristezza convenienti al suo stato: elleno si separarono soddisfatte l’una dell’altra.
La lega, che era stata recentemente formata, fu da Eleonora con molta cura proseguita. Sul principio ella faceva alla zia una visita rispettosa per settimana, ma quindi guidata dall’abitudine e dall’amicizia terminò con andarvi tutti i giorni. L’oggetto de’ pensieri di ambedue non era frattanto, che il soggetto de’ discorsi di una sola. La relazione delle imprese di suo cugino, la descrizione della sua persona formavano soggetti ben pericolosi per quella che li ascoltava, poichè il solo rammentarne il nome le cagionava una emozione, che ella provava della pena a superare. Nè la frequenza di coteste visite diminuì quando cominciò a spargersi la nuova, che il capitano Sandal progettava un viaggio alle vicinanze del castello.
Una sera d’autunno Eleonora uscì dal castello accompagnata da una cameriera ed un domestico per recarsi al villaggio, ove la vedova Sandal sua zia dimorava. Arrivata alla abitazione di lei sentì che era sortita per andare a passar la serata presso una delle sue amiche. Eleonora esitò un momento; ma quindi riflettendo che quest’amica era la vedova di un guerriero di Cromwell, ricca e di una condotta irreprensibile, rispettata generalmente, e che non l’era incognita, risolvette di quivi seguire la sua parente. Entrando nella sala restò maravigliata per aver trovata una società più numerosa, che non si sarebbe aspettata. Alcuni erano seduti, ma la maggior parte delle persone stavano riunite vicino ad una finestra, ed Eleonora vi distinse una giovine di circa diciott’anni, che teneva fra le braccia un grazioso fanciullo che egli fratellevolmente carezzava. La madre del fanciullo orgogliosa dell’attenzioni, che venivano a lui prodigate, faceva nulladimeno le scuse di usanza, esprimendo il timore che non gli fosse importuno. Importuno! esclamò il giovane con un tuono di voce il più seducente; oh! no: se sapeste quanto io amo i bambini! Quanto tempo è, che io non ho avuto il piacere di carezzarne! e quanto ne scorrerà prima che io... Egli allora rivolse indietro il capo per fissare di nuovo lo sguardo verso il fanciullo. Eleonora che si era tenuta in distanza vide allora i lineamenti che il suo cuore aveva già conosciuti prima degli occhi. Desso era vestito da uffiziale di marina, riccamente gallonato, e decorato della croce di un ordine straniero. Il fanciullo scherzava con la brillante decorazione, e quindi alzava gli occhi come per riposarli nel sorriso del suo giovane amico. Ad Eleonora parve di vedere l’angelo della pace, che riposava sul seno del valore, e che gli annunziasse, le sue fatiche esser cessate. Ella rimaneva fisa in quel pensiero quando ne fu distratta dalla zia, che le disse: Mia nipote, ecco il vostro cugino Giovanni Sandal.
Eleonora trasalì, e quando suo cugino, che le era stato presentato in una maniera sì istantanea, si avanzỏ per abbracciarla, ella provò una emozione, che la privò, per vero dire, di tutte quelle grazie del contegno, con le quali avrebbe dovuto accogliere un forestiere sì distinto ma che invece l’adornò di tutte quelle del pudore. Giovanni se le assise al fianco, ed al termine di pochi istanti la melodia dei suoi accenti, la naturalezza delle sue maniere, il sorriso incantatore che gli si dipingeva ora negli occhi, ora nella labbra, terminarono di guadagnarsela intieramente. Ella avrebbe voluto parlare, ma se ne stava tacita per ascoltare, e beveva il veleno per tutti i suoi sentimenti. Suo cugino parlando erasi permesso di prenderla per la mano, ed ella non se ne era accorta. Egli parlava molto; ma i suoi discorsi non si aggiravano già sulla guerra o sulle scene delle quali esso era stato testimone; non faceva menzione, che del suo ritorno in famiglia, della gioia che provava nel rivedere la sua genitrice, e della speranza, che aveva di vedersi bene accolto al castello. Le dimandò con una tenera affezione le nuove di Margherita, e s’informo rispettosamente della salute di madamigella Anna. Eleonora avrebbe potuto ascoltare eternamente; ma la serata, che avanzava, le richiamò alla mente la necessità di ritornare al castello. Giovanni avendole offerto di accompagnarla, ella non lo ricusò. Quando arrivarono era già notte. Ma damigella Anna accolse il suo giovane nipote con una cordialità grave ed una tenerezza non del tutto priva del naturale orgoglio di lei; Margherita lo accolse come un eroe piuttosto che come un congiunto. Giovanni dopo i primi complimenti si rivolse dal lato di Eleonora per riposarsi nel di lei sorriso. Essi erano entrati al momento, che il cappellano erasi presentato per leggere la preghiera della sera, il qual costume era tanto rigidamente custodito nel castello, che l’arrivo di qualsivoglia forestiere non avrebbe potuto frapporvi ostacolo. Eleonora attendeva questo momento con una quietudine particolare. Dessa aveva un profondo sentimento per la religione, e non ostante la grande sensibilità, che aveva spiegata il giovane eroe, ella temeva che la divozione non si fosse dipartita dal cuore del giovane marinaio. Ma i suoi timori si dissiparono ben presto, quando osservò il raccoglimento col quale Giovanni fece la sua preghiera in comune con la sua famiglia.
Terminata la preghiera madamigella Anna non potè a meno di esprimere la sua soddisfazione per la divozione, che egli aveva dimostrata; ma nel fargli il complimento ci mescolò una certa incredulità sulla sincerità de’ sentimenti religiosi in un uomo accostumato ai pericoli ed alle fatiche. Giovanni fece una riverenza rispettosa alla parte lusinghiera del discorso di sua zia; quindi arrossendo aggiunse. Perchè volete pensare, che quelli, i quali più hanno bisogno dell’Onnipotente, lo vogliamo dispregiare? Quelli che solcano il mare sopra di un fragile legno sentono più degli altri, che i venti e le tempeste non fanno che eseguire la volontà divina. Una persona di mare senza fede e senza speranza in Dio, è più infelice di quel piloto che ha smarrita la bussola. Egli parlò con quella eloquenza, che porta seco il convincimento; madamigella Anna gli porse la sua mano rugosa, perchè egli vi imprimesse un bacio. Margherita fece altrettanto ed in quella guisa che una eroina potrebbe fare al suo cavaliere. Eleonora rivolse indietro il capo e versò delle lagrime di consolazione.
La vedova Sandal dopo l’arrivo di suo figlio pareva agitata da una inquietudine, di cui nessuno conosceva la causa. Dessa frequentava il castello, nè poteva ignorare il vicendevole attaccamento di Giovanni e di Eleonora, e la sua mira era d’impedire un’unione contraria agl’interessi di suo figlio e che avrebbe diminuita la sua propria importanza. Aveva ella per vie indirette avuta cognizione delle ultime volontà di Ruggero, e tutte le forze dell’anima di lei, più astuta che energica, si dirigevano verso la realizzazione delle speranze che aveva incominciate a concepire. Il testamento di Ruggero era singolare: malgrado la sua indignazione contro la sua nipote egli aveva stipulato, che Giovanni Sandal se sposata avesse la sua cugina Margherita, avrebbe ereditati tutti i suoi beni; se si fosse unito con Eleonora, non avrebbe dovuto ricevere sulla sua successione che cinquemila lire di sterlini; e nel caso che non avesse sposata nessuna delle due cugine, Ruggero lasciava la sua eredità, ad un parente lontano dal nome Mortimer.
Madamigella Anna prevedendo lo effetto che potrebbe avere sulla famiglia cotesta opposizione dell’amore con l’interesse, avrebbe voluto, che il testamento fosse rimasto celato; ma la vedova Sandal ne era stata informata da un domestico del castello, e da quel momento incominciò seco stessa a divisare come mandare a vuoto il progetto de’ due amanti. Quello che unicamente a ciò la sospingeva era l’ambizione di una madre, che rifletteva, dalla scelta di lui dipendere o il possesso di una ricca e vistosa eredità, o il rimanere in una mediocre fortuna; ella dunque risoluta di arrivare ai suoi fini, ebbe poco scrupolo riguardo ai mezzi di pervenirvi. Il bisogno e l’invidia avevano in lei ispirato un desiderio insaziabile di onorificenza, e le false religioni che aveva di mano in mano abbracciate, le avevano somministrati tutti i ripieghi della ipocrisia. In una vita piena di vicissitudini ella aveva conosciuto il bene e scelto il male. La vedova Sandal risolvette dunque di opporre un ostacolo insormontabile all’unione dei due cugini.
Intanto madamigella Anna lusingavasi che il testamento di Ruggero non fosse conosciuto. Ella accorgevasi del sentimento profondo, che sembrava unire i cuori di Giovanni e di Eleonora, e con delle idee parte generose, parte romanzesche, non opinava che la loro felicità potesse esser sensibilmente alterata per la perdita delle terre, di ricchezze immense e degli antichi titoli della famiglia Mortimer. Non già che ella non ammettesse alcun pregio a coteste distinzioni care a tutte le anime elevate; ma ne ammetteva un maggiore alla unione simpatica di due cuori, che vanno in traccia della felicità, ponendosi sotto i piedi i tesori.
Era stato già fissato il giorno pel matrimonio di Giovanni e di Eleonora; preparati gli abiti delle nozze; invitati i nobili, e numerosi amici della famiglia; la gran sala del castello decorata con lusso e magnificenza madamigella Anna tirò fuori con le sue mani da un armario di ebano una veste di velluto, guarnita di seta, che ella aveva portata il giorno del matrimonio della principessa Elisabetta figlia di Giacomo primo col principe Palatino. L’ereditiera comparve ancor essa superbamente vestita; ma fu rimarcato che le sue guancie erano più pallide ancora della futura sposa, ed il sorriso, che pel corso di tutta la mattina non abbandonò mai le labbra di lei, pareva più presto uno sforzo di coraggio che un contrassegno di contentezza. La vedova Sandal si era fatta vedere molto agitata ed era sortita di buon’ora dal castello. Lo sposo non erasi ancora lasciato vedere, e la comitiva dopo averlo per qualche tempo atteso invano, si mise in cammino per recarsi alla chiesa, non dubitando che egli non l’avesse preceduta. Il corteggio fu magnifico e numeroso. La maggior parte, non eccettuate le femmine, erano a cavallo. La futura sposa fu aiutata a salire sopra un palafreno di due pari del regno. Margherita veniva dopo di lei con un corteggio galante, e Madamigella Anna compariva da ultimo: si sarebbe detto, lei esser retroceduta al giorno dello sposalizio della principessa Palatina.
Arrivano alla chiesa. La futura sposa, i parenti, la nobile comitiva, il pastore, i vassalli, tutti vi si trovavano.... eccetto lo sposo. Vi fu un lungo e penoso silenzio. Alcuni gentiluomini sortirono, e prendendo diverse direzioni, andarono ad incontrarlo. Eleonora oppressa dal caldo e dalla inquietudine dimanda il permesso di ritirarsi per brevi istanti nella sacristia. Madamigella Anna guidò i passi mal fermi della sposa e la condusse verso una finestra aperta. Eleonora si approssima per respirare un poco di aria libera. Ad un tratto ode il calpestio di un cavallo, che corre di galoppo; alza macchinalmente gli occhi: è Sandal; egli getta uno sguardo di orrore verso di lei, sprona il cavallo, e dispare in un momento.