Lydia/XIII
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XIII.
— Ma è sul serio che non vuol prendere marito?
— È sul serio che me lo domanda?
Si guardarono in faccia, Lydia e l’avvocato Calmi, al pallido chiaror della lucerna posata sul tavolino e velata da un fazzoletto di trine.
Ella aveva fatto in quel giorno molte corse; era stanca, non aveva neppure pranzato. Il salotto gelido e vuoto non l’attirava; quando le annunciarono Calmi, fece uno sforzo per sollevarsi dalla poltroncina, ma trovò che non ne valeva la pena. Nulla valeva la pena di nulla; se c’era qualche cosa di buono nella sua vita, questo consisteva in una sconfinata libertà. La pagava abbastanza cara, perchè avesse almeno da approfittarne.
Stava dunque sprofondata nella sua poltroncina, coi piedi sopra uno sgabello imbottito, bene appoggiati, incrociati l’uno sull’altro, in calze di seta grigia e scarpe di pelle nera ricamate con perline d’argento. Aveva un abito di velluto rosso antico, orlato colla pelliccia alla moda, chiamata volpe azzurra, in realtà di un delicatissimo bigio sfumato. Sui polsi, lasciati scoperti dalla manica, molti giri di perle additavano, senza vincerlo, il candore della manina aristocratica.
— Sul serio? — fece; e la noia, l’implacabile compagna della sua vita, le schiuse le labbra a un leggero sbadiglio.
— Lo confessa lei stessa che è stanca.
— Sì; ma non voglio fare come i congiurati di Madame Angot...
Calmi sorrise. In quegli anni di frequente vicinanza si erano giudicati meglio. Avevano lo spirito fatto per comprendersi; solo si somigliavano troppo, e da questa somiglianza nasceva piuttosto un urto che una simpatia. Per lunghissimo tempo erano rimasti l’uno di fronte all’altra in attitudine di sfida, guardandosi sospettosamente, entrambi scettici e orgogliosi.
Lydia aveva accolto senza inventario tutto quanto si diceva a proposito di lui. Lui si era sempre mischiato a quelli che sparlavano di Lydia. Eppure avvenne che, conoscendosi, tutto quel materiale di sprezzo ammucchiato a furia di sarcasmi, cedesse lentamente e, quasi specchiandosi a vicenda, si compatissero.
— Lei, Calmi, è scettico; deve dunque credermi quando le assicuro che non ho più fede in nulla.
— Se le credessi farei già una concessione al mio scetticismo... Tuttavia, le voglio credere ora.
— Perchè solamente ora?
— Lei ha incominciato troppo presto, come il fanciullo che gridava al lupo prima che il lupo ci fosse; e per questo dico, ora.
— ... che il lupo c’è!
Tacquero un momento. Lydia riprese, gingillandosi con un tagliacarte:
— È l’amore che l’ha fatta diventar scettico, lei?
— No.
— Come me. Non ho mai amato.
— Io neppure.
Il silenzio li riprese: un silenzio calmo, senza imbarazzo, di persone avvezze a star insieme. Lydia restava seminascosta all’ombra delle trine che coprivano la lucerna; la sua mano sola usciva tutta bianca, nella luce, facendo scintillare gli smalti del tagliacarte. L’avvocato pizzicava una sigaretta spenta, errando cogli occhi sulle pareti della camera.
— Sono stata a veglione, sa?
— A veglione? — Egli fece un brusco movimento colle spalle. — Quando?
— Mercoledì.
— Ah! E s’è divertita?
— Molto.
Ella disse questa parola con accento asciutto, sarcastico.
— Si meraviglia?
— Io no!... Con don Leopoldo?
— Colla baronessa von Stern; è una donnina amabilissima. Non la vedevo da parecchi anni; è stata tutto questo tempo a Vienna...
— Assomiglia a sua madre?
— Sì, e no. È più distinta, più simpatica.
Lydia depose il tagliacarte e incrociando le mani sui ginocchi, riprese:
— Dica il vero; lei è meravigliato e un tantino choqué per il fatto che una signorina è andata a veglione.
— Ma si figuri! A che cosa non ci hanno abituati le signorine? Le giuro che non mi meraviglio mai di nulla.
— Benissimo. Ritrovo il mio Calmi in questo accento ironico. Ella deve pensare che sono un mostro di pervertimento. Dopo tutto, non lo nego, mi piace a conoscere le acque in cui navigo. Capirà che è una sciocchezza continuare a credere questo, questo e questo, quando in realtà è quello, quello e quello!
— E s’è divertita a veglione?
— Ma sì, gliel’ho già detto, moltissimo. Mi pareva di essere in un pandemonio. Dimenticare affatto quello che si è, inebriarsi al punto da non capire più nulla e girare in tondo, forse, è il segreto della felicità.
Calmi la fissava col suo freddo sguardo da osservatore. Ella seguitò esaltandosi leggermente:
— Ho veduto gli uomini più gravi: magistrati, insegnanti, persone serie che mi guardano per solito d’alto in basso, schiamazzare come pagliacci e...
Si arrestò, volgendo la faccia da un lato per sfuggire lo sguardo di Calmi.
— ... le donne, sopratutto, mi hanno interessata.
L’avvocato continuava a tacere. Lydia lo interrogò, abbassando la voce, che tremava.
— Mi dica, quelle donne, sono proprio le donne che loro amano?
— Che gliene importa, dal momento ch’ella non vuole amare?
Lydia non si aspettava una risposta simile, ma le fece piacere. Guai s’egli avesse protestato, come fanno tutti! Epperò è mai possibile conoscere esattamente ciò che pensano gli uomini su questo argomento?
Si rovesciò sulla poltroncina, colla testa appoggiata molto indietro, così che la sua faccia appariva di scorcio, mostrando la bianchezza della gola sull’abito di velluto rosso.
Calmi pensava, guardandola, che ad onta dei suoi trent’anni si conservava abbastanza bene, e che avrebbe potuto sposare un qualche nobiluccio spiantato, tanto per non essere chiamata la regina vergine, come Elisabetta d’Inghilterra. A questo punto dei suoi pensieri un maligno sorriso gli increspò le labbra. Lydia se ne accorse e gli domandò:
— Che pensa?
— Nulla.
— Non è vero.
Egli non persistette a negare.
— Forse riflette alla bizzarria della nostra reciproca posizione; una donna non ancora vecchia, un uomo giovane, dieci ore della sera, solitudine perfetta... che bel campo per la maldicenza!
— Infatti — mormorò Calmi, distratto dalle ombre cupe che ravvolgevano quasi tutta la camera, al di là del paravento. — Infatti... — e si alzò.
Il gesto, un lieve battito di palpebre, fecero sorgere in Lydia la memoria esatta del colloquio ch’ella aveva avuto con Calmi, tanti anni prima, sopra un terrazzo, nella stessa notte in cui sua madre doveva morire, e si sentì invadere da un improvviso bisogno di tenerezza.
— Calmi — ella disse — mi sarà sempre amico? Sa che all’amicizia ci credo.
— Procurerò di non toglierle anche questa illusione.
La sua voce era grave, ma dolce.
Si accarezzava la barba, in piedi, fissando nel vuoto que’ suoi occhi acuti e freddi. A un tratto si avvicinò alla parete dove alcune fotografie nuove biancheggiavano fra le pieghe della tappezzeria. Erano ritratti di donne bellissime, ballerine, artiste, che Lydia aveva comperate per il suo grande amore al bello e che sembravano rizzarsi, nell’orgoglio delle loro forme adorate, dominando quella strana camera di fanciulla.
— Come è seducente questa, nevvero? Che spalle! Oh esser bella così!...
— Che ne farebbe?
— Forse amerei. Sì, io avrei bisogno di essere la prima di tutte le donne per poter fare, col mio amore, un dono completo e così grande, così meraviglioso che non potesse mai venire a quell’uomo il pensiero di confrontarmi con un’altra. Ma giungere in frotta, mettermi in fila, numerizzarmi, essere la quinta, la sesta o la ventesima; sapere che non mi si amerà più di quanto furono amate le altre; sapere che non posso dare più di quanto fu già dato e che sarà nuovamente offerto... ah! Calmi, non arriverò mai a spiegare quello che io sento qui.
Si pose una mano sul cuore; e apparve nel volto così prostrata, così improvvisamente disfatta che le si disegnò lungo la guancia, accanto alla bocca, una contrazione dolorosa somigliante a una ruga.
— Io penso qualche volta — si era alzata anche lei, tenendosi appoggiata colla vita al paravento — se l’amore non mi fosse passato accanto senza ch’io me ne sia accorta...
Calmi scosse il capo.
— Non crede che ciò possa accadere?
— No.
Lydia abbassò gli occhi, e per qualche minuto il silenzio li dominò entrambi, palpitante di memorie.
— È sicuro — mormorò Lydia, tenendo sempre gli occhi sul tappeto — che a lei questo non sia mai successo?
L’avvocato rispose:
— Son sicuro.
— Ricaddero nel silenzio.
La lucerna, di sotto le trine, mandava un bagliore intermittente, di fiamma a cui l’olio manchi. Nel breve cerchio di quella luce, le fotografie delle bellissime donne sorridevano, vittoriose, sbucando dalla parete col candore dei seni, colla grazia delle testine avvezze a dominare. Una celebre mima in costume di dea della guerra, gambe nude, braccia nude, un corsaletto d’acciaio sui fianchi, un alato cimiero in testa sembrava la sfida vivente della bellezza femminile ai sensi dell’uomo. Luccicavano le lame damascate; il rewolver dal suo nido di velluto, mandava tetri bagliori sopra il paravento, dove le dame incipriate e rosee restavano immobili, nei loro atteggiamenti aggraziati, come se la bacchetta di un mago le avesse stregate sotto quegli alberi di un verde tenero, nelle delicate trasparenze della seta imitante il cielo.
Lydia, senza parlare, accese i candelabri della specchiera, e la luce si riversò nella parete buia della camera, dando rilievo alle pesanti cortine del letto, punteggiando con piccoli raggi luminosi le tede della coperta.
— Sono indiscreto — disse Calmi. — La nostra vecchia amicizia è la sola scusa che posso addurre.
Lydia sorrise con una tristezza misteriosa, e gli porse la mano; ma la stretta fu così energica che ruppe il filo delle perline legate a’ suoi polsi, sparpagliandole sul tappeto.
— Non è nulla — esclamò prontamente, impedendo all’avvocato di raccattarle. — C’è un pensiero filosofico nella caduta di queste perle, me lo lasci meditare.
La sua voce aveva ripresa l’intonazione squillante del sarcasmo, temendo di mostrarsi sentimentale.
— Felice notte — disse Calmi, sulla soglia dell’uscio.
— Sempre felici le mie notti! Dormo come un ghiro.
Lasciò ricadere la portiera, e tornò a passi lenti nel suo cantuccio.
Tutte le sere veniva per lei quel momento fatale della solitudine; quando, automa smontato, si lasciava cadere nella poltroncina, colle membra rotte e floscie, la faccia lunga, i muscoli del viso stirati, stanchi.
L’ampio letto la chiamava inutilmente. Ella aspirava nell’aria chiusa, mista d’odor di fiori e di sigari, l’ultimo suono che aveva dato l’apparenza di vita alla sua triste vegetazione. Una poltrona sgualcita, un giornale spiegazzato, un pizzico di cenere in una conchiglia, ecco tutto ciò che le avanzava dalla sua giornata; — e le voci d’uomo rimaste, come un’eco, nei drappeggi e, talora, una impronta polverosa sul tappeto. Non altro.
I romanzi di Daudet e di Flaubert — qualche volta anche quelli di Belot — si trascinavano sui mobili, presi, abbandonati, ripresi, avidamente percorsi e poi gettati con immenso sconforto. Quanto amore intorno a lei, nei libri, negli oggetti d’arte, nei pensieri, nei sottintesi! Che lungo, insistente invito al godere!
Tutte le sere, spogliandosi, in mezzo alle fotografie di quelle donne belle ed amate, sotto il baldacchino viola, trattenuto alla testiera del letto coi nodi azzurri d’amore, davanti allo specchio che rifletteva la sua pallidezza sofferente di vergine di trent’anni, Lydia pensava che nessun uomo l’aveva baciata mai! Tanto compromessa, tanto scettica, tanto iniziata ai misteri della galanteria, e così pura che entrando finalmente nel suo letto tremava sempre un poco, rannicchiandosi coi ginocchi dentro la camicia e le mani incrociate sul seno, presa da un brivido.