Lezioni sulla Divina Commedia/Secondo Corso tenuto a Torino nel 1855/VIII. Concezione del purgatorio e sua poesia
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Lezione VIII (XXX)
[CONCEZIONE DEL PURGATORIO E SUA POESIA]
Il Purgatorio è poco letto e meno studiato; e con questa impressione concorda l’opinione generale de’ critici, secondo i quali il Purgatorio sottostá di bellezza all’Inferno. Il che per naturale reazione ha suscitato altri, nonché a difendere, ma ad esaltare il Purgatorio sull’Inferno: e tra questi è degno di speziai menzione Cesare Balbo, la cui Vita di Dante è un lavoro coscienzioso, che rimarrá. Egli cerca dimostrare che Dante non è poi quel terribile uomo che altri si creda, e che anzi in lui prevale la bontá e soavitá dell’animo, e poiché queste qualitá spiccano ancora di piú nel Purgatorio, era da logica necessitá indotto a preporlo all’Inferno. Si può egli porre la questione in tal modo? Possiamo oggi accettare questa critica di paragoni? La è proprio della giovinezza: e ben mi ricordo come nelle scuole noi ci appassionavamo per definire quale fosse maggior capitano, Cesare o Napoleone, e quale miglior letteratura, se la francese o l’italiana: ed oggi m’incontra spesso d’udirmi fare di tali domande: — Quale miglior poeta, Omero o Dante, Manzoni o Leopardi? — Domande ingenue, le quali mi ricordano certe altre, che noi sogliamo fare a’ bimbi per vezzo: — A quale vuoi tu piú bene, a papá o a mammá? — A questa critica giovanile corrisponde il primo stadio della scienza, quando in luogo di determinare le qualitá specifiche di ciascun poeta, la si contenta di paragonare l’un poeta con l’altro. Il che ha avuto un funesto potere non pure sulla scienza ma sull’artista: e lo sa il povero Tasso, il quale, in un tempo che era moda paragonare i lavori poetici ad un solo modello immutabile, nella sua Gerusalemme Conquistata per voler troppo rassomigliare ad Omero cessò di rassomigliare a se stesso e fece un aborto. Merito principale della scienza odierna è d’aver proscritto questa critica di paralleli, che incadaverisce l’arte. Un lavoro è come un individuo, che ha la sua anima, il suo pensiero, la sua personalitá, e se in luogo di comprendere la sua natura, voi vi contentate di paragonarmelo con un altro lavoro, voi spogliate amendue di quello che ciascuno ha in sé di proprio e d’incomunicabile, in che è la sua vita, e vedete in esso qualitá comuni svelte dal concreto in cui si differenziano, e perciò mere astrazioni: non sono piú due poesie, sono due esseri mutilati, due cadaveri che voi mi ponete accanto. E da questo astrarre il comune dal concreto, in cui [un’opera] vive, sono nati i luoghi comuni e le regole astratte ed i modelli immutabili, che fanno dell’arte un mestiere un meccanismo, e che sono il fondamento delle grammatiche delle rettoriche e delle poetiche, che anche oggi s’insegnano nelle nostre scuole. Paragonarmi e discutere della preminenza tra Purgatorio ed Inferno è piú assurdo forse che le celebri contese intorno all’Orlando e la Gerusalemme: poiché tra questi è almeno alcuna comunanza, uno stesso fondo cavalleresco, lá dove tra quelli non è alcuna attinenza, e sono proprio due mondi diversi essenzialmente di fondo e di forma. Maravigliarsi dunque che nel Purgatorio non si trovino le stesse bellezze dell’Inferno, gli è come maravigliarsi che il purgatorio sia purgatorio e non inferno. E se vogliamo maravigliarci di qualche cosa, maravigliamoci piuttosto che il poeta abbia qui saputo dimenticare cosí compiutamente l’antico se stesso. Un artista, quando si pone ad un lungo lavoro, contrae certi abiti che diventano la sua maniera, un certo modo di concepire, di disporre, di colorire. Nei romanzi del Guerrazzi, differentissimi di situazione, trovi lo stesso stile, lo stesso stampo, un continuo ripetere e copiare se stesso. Ma Dante s’immedesima in modo nella sua nuova situazione che vi ribattezza e ricrea il suo ingegno, e si fa un altr’uomo, e questo senza sforzo, con una spontaneitá, che par non se ne accorga: obblio dell’anima nella cosa, in che è posta la cima e la perfezione dell’arte.
E in che consiste questa nuova situazione? L’inferno è il regno del male o della carne, che scende con costante regresso infino al suo estremo, infino a Lucifero. Il purgatorio è lo spirito che si sviluppa dalla carne, e che con costante progresso sale di grado in grado fino al paradiso, al sommo bene; è l’anima che, caduta nel profondo del male, nell’ultima miseria, si riscuote e si risente, e mediante l’espiazione ed il pentimento giunge a salute. Onde con senso profondo il purgatorio dantesco esce dall’ultima bolgia infernale; e Lucifero, principe delle tenebre, è quello stesso per le spalle del quale Dante salendo esce a rivedere le stelle. Concezione che non rimane inerte in mano ad un uomo si serio come Dante, e che fecondata si sviluppa in tutte le sue parti. E innanzi tutto che cosa nel purgatorio diviene il peccato, le passioni, la cui vivace dipintura ammirammo nell’inferno?
Il dannato ricorda il peccato; anche l’anima purgante lo ricorda; ma nell’inferno è piú che una ricordanza, è un fatto presente; il peccatore in vita è ancora peccatore nell’inferno, le passioni vivono ancora nel suo cuore; per l’anima purgante è una semplice ricordanza, una ricordanza dolorosa che cerca allontanare da sé e nella quale ritorna pur sempre e vi pensa, come un salutare ricordo dell’abisso in cui era caduta ed uno stimolo a perseverare nel bene. Quindi l’infinita differenza. Nell’inferno l’anima ricorda le sue passioni, passionata ancora; nel purgatorio ricorda passioni che non sono piú sue, a cui è fatta straniera, calma come un buon vecchio, che, stato nelle vicende tumultuose della vita, le racconti a’ giovani per cavarne ammaestramento. La poesia perciò nell’inferno è drammatica, nel purgatorio descrittivo-didattica: descrittiva, perché le passioni sono un fatto estraneo al personaggio, che le rappresenta come semplice spettatore: didattica, perché il personaggio vi aggiunge osservazioni ed ammestramenti. In che modo è sviluppata la parte descrittiva? Essendo le passioni un fatto estrinseco, elle si riducono ad esempli storici, che le ombre si raccontano tra loro per sentire piú orrore del male, come fanno di notte tempo gli avari, secondo narra Ugo Capeto.
Ma Dante non può contentarsi di nudi fatti storici, de’ quali si contenta facilmente il Petrarca ne’ suoi Trionfi, i quali talora mi sembrano anzi un calendario di nomi che vivaci pitture poetiche. Dante non può esser contento che le passioni, cosí terribili nell’inferno, sieno qui una mera erudizione, e con l’istinto d’artista va cercando di dar loro un corpo. Nell’inferno elleno hanno un corpo, ed è inganno, in cui si manifestano; nel purgatorio, non essendo piú realtá, ma semplici memorie, il poeta ricorre alla scultura ed alla pittura, e le rende visibili e corporali, mostrandole intagliate e figurate sulle pareti, come sono le figure de’ superbi ed altrettali. Vi è dunque l’inferno in purgatorio, ma in pittura; non sono i dannati che vivono in mezzo alle passioni; sono uomini calmi, che le veggono in ritratto; non sono i guerrieri che con tanta ansietá combattono sotto Sebastopoli; siamo noi, che sotto i portici contempliamo una Sebastopoli dipinta e vi facciamo su le nostre osservazioni. Indi è che il descrittivo entra nel didattico. Quali sono le impressioni che quegli esempli e quelle pitture fanno sulle anime purganti? Talora indegnazione contro i colpevoli, come in quello «Accusiam col marito Safira», dove il fatto è congiunto con l’impressione; talora dolore e pentimento, perché anch’elle sono cadute in quei falli: doppia impressione che si manifesta in vivaci apostrofi ora per bocca loro, ora per bocca del poeta. Ma piú spesso le anime sono si calme, che non sanno appassionarsi, e stannosi contente al semplice ragionamento. Quindi la parte didattica, che non consta d’osservazioni staccate ed appiccate a pompa ed a lusso, che è parte integrale di tutta la concezione: nell’inferno si sentono le passioni; nel purgatorio si ragiona sulle passioni, perché elle son vinte, e non sono piú dentro di noi, ma un oggetto esterno che noi contempliamo e giudichiamo. La parte didattica è d’un’alta poesia, non solo per il contenuto, ma ancora per il sentimento che vi si nasconde al disotto. E quanto al contenuto, ella non versa giá intorno a questa o a quella questione peculiare, di mera curiositá, ma intorno a questioni radicali, che in sé comprendono tutte le altre, che hanno virtú di appassionare tutte le umane generazioni, come l’ultima destinazione dell’uomo, l’origine del male, l’accordo tra la necessitá e la libertá, quistioni, che rinchiudono in sé tutto l’enigma della vita, che in certi momenti difficili dell’esistenza ci rendono serri e pensosi, che sono il fondamento de’ poemi teologici orientali e biblici, e del dramma greco, e che oggi, restituita. la poesia nella sua prisca dignitá e divinitá, si agitano e fervono sotto la marmorea poesia di Goethe e nella musica malinconica di Giacomo Leopardi. E quanto al sentimento, le anime sono come vecchi venerabili, che stati bielle tempeste della vita dopo lunghe esperienze e il disinganno sopravvenuto ne ragionano riposatamente e non ricordano le passioni terrene se non per esclamare con Salomone: «Vanitas vanitatum». E una nuova specie di sublime, il sublime cristiano de’ Santi Padri e di Bossuet, che consiste nel mostrare il nulla di quello che in terra si chiama grandezza, come è ciò che dice della gloria Oderisi.
Tale è lo stato delle anime per rispetto al passato, per rispetto all’inferno; quale è il loro stato presente? L’anima giunge a salute mediante l’espiazione ed il pentimento: il suo stato presente è dunque fisicamente l’espiazione, moralmente il pentimento. Il pentimento è poetico, quando tu me lo cogli nel punto che l’anima cerca svilupparsi dalla carne: onde nasce il contrasto tra il primo e il secondo «egli», tra l’antico e il nuovo Adamo, che il Manzoni rappresenta con tanta veritá nell’Innominato, ed il poeta con tanto affetto nella sua confessione. La poesia è qui drammatica come nell’inferno; il presente dell’inferno è il peccato, il presente del purgatorio è il pentimento; epperciò il drammatico dell’inferno è nel peccato, nella rappresentazione delle passioni; il drammatico del purgatorio è nel pentimento, come nella confessione di Dante, il vero dramma, la piú splendida poesia del purgatorio. Ma non è il medesimo nelle anime purganti nelle quali il pentimento non è un fatto attuale, come in Dante e nell’Innominato, ma un fatto passato da tempo: nella loro anima è finito ogni contrasto; il loro dolore è raddolcito dalla speranza del cielo; esse sentono giá in sé il paradiso. Cosi il pentimento di papa Adriano, patetico quando succede, quando le passioni fervono ancora, è per lui, vincitore giá di quelle passioni, una ricordanza lontana che non vale a turbarlo dalla sua calma e dal suo paradiso: la pace dell’anima si trasfonde ancora nelle sue parole.
L’inferno sta nel purgatorio non in realtá, ma in ricordanza; il paradiso parimente vi sta non in realtá, ma in desiderio; la stessa situazione genera la stessa poesia. Come l’inferno ricomparisce nel purgatorio per via d’esempli e di pitture, cosí il paradiso vi è prenunziato per via d’esempli e di pitture. Gli avari ricordano esempli di povertá, ricordano Maria e Fabrizio. I superbi veggono scolpiti esempli d’umiltá, figure ammirabili di delicatezza, e d’evidenza. Ma il paradiso non vi sta solo in pittura, perché, giá iniziato nelle anime purganti, vi sta come desiderio che scalda il cuore, permane nell’anima e vi diviene qualitá o stato morale. Il qual fervore interno si manifesta nell’amore che stringe le anime insieme e ne fa quasi una sola famiglia. Quando una schiera d’anime s’avviene in un’altra, elle si baciano e fannosi festa, congaudendo, secondo la bella espressione di Dante. Il Purgatorio è perciò sparso di tratti delicatissimi, e di gentili affetti, che invano cercate nell’Purgatorio; come l’amicizia di Dante e Casella, la reverente maraviglia di Stazio, quando riconosce Virgilio, e l’impeto di sublime affetto, con che Sordello si gitta tra le braccia di Virgilio, quando riconosce in lui un suo concittadino. In tanta pace sembra che Dante stesso abbia dimenticato per poco i dolori dell’esilio e gli odii di parte, e levatosi nella regione serena dell’arte siasi fatta una corona di artisti, Buonagiunta da Lucca, Oderisi, Sordello, Casella, Guido Guinicelli, Arnaldo Daniello, co’ quali s’intrattiene in cari ragionamenti, o talora intorno all’arte. Ma questi affetti non sono tempestose passioni come nell’inferno, che turbino il senso e l’immaginativa, non tolgono la calma; il desiderio amoroso del paradiso vi è senza ansietá, senza inquietudine, accompagnato colla sicurezza d’essere soddisfatto un giorno. Quindi quella pace interiore, che dá un non so che di mite e di temperato a quegli affetti e che Dante rappresenta si bene in quell’anima estatica, che tien gli occhi fitti verso l’oriente, assorta in Dio. La poesia qui dunque è lirica effusione di soavi affetti che ha la sua ultima espressione nel canto. Il canto è l’ultima idealitá del purgatorio, la parola che si scioglie nella musica, l’immagine che si fonde nel suono, l’anima individuale che vanisce nell’anima universale. I sentimenti delle anime purganti non sono del tale e del tale; sono un comune affetto, in cui s’incentrano tutti gli affetti particolari: la coscienza individuale si obblia in uno stesso spirito di caritá e d’amore. Quindi, in luogo delle «favelle orribili» che ci spaventano nell’inferno, il purgatorio risuona di salmodie: sono le diverse corde d’un solo strumento, che rendono un medesimo suono. Nell’inferno vi sono grandi individualitá, ma non vi sono cori; l’odio è solitario. Nel purgatorio non ci ha grandi individualitá, ma invece vi son cori: l’amore è simpatia, dualitá, un’anima che cerca un’altra anima. In quei canti niente di subbiettivo e di particolare: sono aspirazioni musicali, impeti di estasi, sfoghi di amore. La poesia a questa altezza accenna giá alla poesia del paradiso tutta musicale, nella quale, spoglia l’idea d’ogni veste terrena, l’immagine si evapora a poco a poco e vanisce nel sentimento. E giá una visione di paradiso hanno le anime nelle apparizioni degli angeli, che non parlano, né hanno niente di subbiettivo, forme volubili, eteree, che sorvechiano il senso: forme fluttuanti, tremolanti, come i sogni e le visioni, come vibrazioni sonore tremanti per l’aria, che ci dicono tante cose senza esprimerne alcuna.
Il purgatorio, come vedete, è un misto d’inferno e di paradiso, di dolore e di gioia, mezze tinte che sono ancor nelle pene e nel luogo. Le pene ora sono rappresentazione del peccato, ed ora della virtú a lui contraria. Il luogo è una montagna ripida, che quanto si monta piú su e piú si fa agevole e va a terminare nel paradiso terrestre, dove l’anima giunge rifatta bella, nello stato antico d’innocenza. E come le anime piangono e cantano, cosí la montagna è svariata di luoghi alpestri e di fiorite piagge.
Potete ora voi, 0 signori, paragonare piú il Purgatorio con l’Inferno? Non sentite che siete in un altro mondo, in una nuova situazione e quindi in una nuova poesia? Della quale vi ho mostrato gli elementi interiori, riserbandomi di esplicarveli parte a parte nelle altre lezioni.