Lettere inglesi/A Miladi N.N.

A Miladi N.N.

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Lettere inglesi L'Editore a chi legge
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A MILADI N.N.



QUeste lettere sono vostre, siccome il fu l’autor loro, che le scrisse quasi con voi, nè opinione o pensiero in queste espresse, cui non consultasse con voi come con giudice competente. Così v’avess’egli ascoltata, quando il focoso suo desiderio di nuove cognizioni lo spinse ad imbarcarsi su la flotta dell’ammiraglio Pocok, e il condusse a perire su quel vascello male avventurato, che i nostri inutili voti portava in America!

A me intanto par di salvare qualche reliquia di quel naufragio dando in luce le lettere d’un amico nostro sì caro, e non sento rimorso di pubblicarle, poichè voi stessa a ciò confortandomi le lettere m’offrite, ch’egli di Francia e d’Italia ne’ suoi viaggi vi scrisse. E così certo mostrate, o Miladi, di ben conoscere in vera amicizia, vendendo quanto si può ad un amico illustre la vita, e la [p. 138 modifica]cara ombra consolandone in parte, se alcun senso là giugne de’ nostri affetti, con questo segno di fedele memoria. A consolarla però vie più dolcemente mi permettete di un poco parlarvi a suo nome, com’egli sovente di voi mi parlava, e com’egli pensa fors’anco e m’ispira.

Io mi protesto, o Miladi, che il vostro nome non pongo in fronte di questo libro per farvi onore o piacere, nè temer voi dovete d’incontrar nelle lodi solite darsi all’altre donne in istampa, e di cui sentono vanità. Intendo solo di far onore al vostro sesso e al nostro secolo presso gli uomini che verranno, i quali avran certo le donne del tempo nostro in pochissimo pregio, dovendo essi stare alle storie pubbliche de’ costumi presenti col testimonio degli scrittori or galanti, ora scenici, che mettono il loro studio in dipingere e mordere i femminili difetti. Perchè quai memorie nel vero nei costor libri, se pur tanto vivranno, quai ritratti vedrà l’ottocento delle femmine d’oggidì? Una vita molle ed inutile, una vita sciocca e puerile, i corteggi, i serventi, i galanti, [p. 139 modifica]l’occupazioni perpetue della toletta, lo studio delle mode, le rivalità, le invidie, le maldicenze di tante, e infin la misera educazione, l’eterno ozio, l’ignoranza di tutte. Le quali pitture facendone poco onore presso i nostri nipoti, a credere gl’indurranno nè merito, nè virtù eservi stata in Europa nel settecento, poichè le donne signoreggiando debbon seco ad egual condizione trar gli uomini, e farli donne. Nel qual caso che mai diranno di noi? Diranno che questo secolo è stato di tutti il più infelice, perchè i secoli barbari e rusticani almen ebbero qualche virtù, o militare o civile di zelo patrio, di veracità, di valore e di costanza, e che i colti ed illuminati ebbero l’arti, l’urbanità, i comodi ed i piaceri; ma che questo nostro troppo gentile per godere i vantaggi della rozza semplicità e troppo ozioso per gustar i pregi dell’ingegno e dello studio non ne ha avuto nessuno: e sarà colpa sol delle donne, perchè sapranno che hanno regnato, e che noi siamo stati unicamente occupati a servirle, a sedurle, dopo averle educate per questo unicamente. [p. 140 modifica]

Or io voglio, che sappiano i nostri nipoti esser voi stata tra noi, e forse due o tre altre donne simili a voi nel secolo nostro infelice. Sapran per tanto che qualche donna ha vissuto tra noi non sempre assediata, benchè amabile e vezzosa, da’ giovani donzelletti e profumati; ma che sapeva distinguere tra un vero amico ed un cascante zerbino, nè misurava il merito delle persone dall’elegante capigliatura e dalla freschezza degli anni. E quello che più lor dee far maraviglia, sapranno che i miseri, i litiganti, gli oppressi ed ogni genere di sventurati aveano l’adito aperto alla protezion vostra, ed era questo il corteggio più assiduo dintorno a voi, talchè foste veduta talora lasciare il tavoliere e la toletta per ascoltare un miserabile con grave scandalo della compagnia più brillante. E di qua ne derivava quell’altro di trattare umanamente la vostra gente persin di livrea, come se fosse della medesima specie vostra. Meno allor stupiranno leggendo che gli artisti industriosi, e gli uomini di lettere anche senza essere titolati, non erano lasciati nell’anticamera [p. 141 modifica]vostra, e non eran posposti al ricco e al potente, benchè non altra commendazione avessero fuorchè il merito e la virtù. Per le quali cose si renderà loro credibile la cura presa da voi per ben educare la prole anche a pericolo di derogare al vostro rango, l’uso del quale è di sbrigarsi dei figli consegnandoli a mani venali per non perdere il tempo destinato ai doveri primari della nobiltà, il gioco, il teatro, la conversazione. Ma quantunque io voglia sperare che questi tratti saran veduti da un altro secolo di miglior occhio che non dal nostro, non so però se quello sarà tanto diverso da questo, che possa fargli sapere con onor vostro anche le sollecitudini economiche della famiglia, che non isdegnate, l’attento provvedimento alle domestiche piccolezze, i lavori delle vostre mani, la vostra aritmetica, le conferenze coi vostri ministri, e soprattutto la vostra impazienza di pagare i creditori. Parmi difficile una totale rivoluzione da una età all’altra, sicchè il non aver debiti sembri onorevol cosa a coloro, i padri dei quali tennero a gloria e magnificenza l’averne assai. [p. 142 modifica]Come poteva aver ella tempo per tutto questo, dimanderanno i posteri forse, sapendo che le altre donne oggi non ne san trovare abbastanza per vestirsi tra giorno? Volete voi, ch’io sia costretto di dar per iscusa un’accusa peggiore, cioè l’uso vostro sì strano di levarvi da letto di buon’ora, di avere una regola del vostro tempo, un ordine tra i vostri servi, e i loro uffici, l’ore assegnate ai doveri diversi di donna, di madre di famiglia, di dama, di padrona, e per fin di cristiana? Ciò sarà egli creduto?

Pure a renderlo meno incredibile io non tacerò i vostri difetti, come avrebbe fatto un panegirista. Dirò insomma, che con tante prerogative da rendervi singolare tra l’altre donne, voi non vi vergognate d’esser donna, avete la bontà naturale al vostro sesso, la semplicità delle maniere, una certa modestia spontanea, per cui talora arrossite pudicamente, come una donna del tempo antico. Non vi vergognate d’esser devota, non osate comparir erudita o nella storia o nella religione o nelle belle lettere, benchè lo siate più dell’ordinario, e vi guardate dal [p. 143 modifica]citare alcun testo, anche in cerchio di letterati, o d’Orazio o del Petrarca, e non volete decider mai le letterarie questioni, che si rimettono a voi spesso nella conversazione. Il che, a dirvi la verità, è al nostro tempo un’affettazione, come lo era il contrario in altri tempi. E questi difetti in voi si veggono anche al vestirvi, all’ornarvi, alle maniere, al suon della voce, agli argomenti de’ vostri discorsi, che tutti son relegati nella donnesca semplicità naturale de’ secoli non raffinati.

Con questa sincera confessione di questi e d’altri difetti vostri spero d’ottener fede presso i più increduli, e se molte donne sì fatte potessi io rammentare ai posteri nostri, giustificar presso loro potrei quell’ascendente, che sopra gli uomini han preso nel nostro secolo. E se i posteri opinassero per avventura (perchè chr può preveder le opinioni, la filosofia, il costume dell’ottocento?) contro il poter delle donne, vorrei convincerli, che non l’intendono, e che ben usandolo è questo un vero dono della natura, uno stromento principalissimo della comune [p. 144 modifica]felicità, una sorgente di tanti beni, quanti mali ne nacquero per l’abuso fattone insino ad ora. Perchè più efficaci insegnamenti e più forti esempli non ponno aversi quanto da tai maestri, che cominciano ad impadronirsi del cuore, e giungono in fondo all’anima per la via più sicura, e se è così scritto nel libro grande degli umani destini, che gli uomini debbano sempre essere quali vorran le donne che siano, avrem noi bel fare da padroni, da legislatori, da giudici, da magistrati, da capitani, da dottori e da tiranni; noi sarem sempre sotto i giudici e il comando e il saper delle femmine. Sicchè bisogna sperare o che nascano delle donne capaci di formare se stesse alla virtù, alla generosità, al bene, o educarle in guisa che sentano il pregio della virtù, della generosità, del bene oprare. E allora sarem noi pure uomini virtuosi, cittadini, padri di famiglia, soldati al bisogno, ed eroi senza più disputare a qual metà del genere umano tocchi il comando legittimo, a quale l’ubbidienza, la qual disputa sarà sempre indecisa, sinchè gli uomini contraddiranno a se stessi di qua con le [p. 145 modifica]leggi, di là coi costumi, come han fatto sinora.

Che se nulla ostante la posterità, presso cui d’ordinario poca fede e poco rispetto ottengono i trapassati, pur negasse credenza alle mie prove, allora, Miladi, non mi rimarrà scampo, fuorché citandole testimonj e malevadori de’ detti miei. Al qual passo arrivato io mi tengo sicuro della vittoria ogni incredulità, avendo a sostegno della mia causa non pure il fior più eletto della città, ma la nazione in gran parte e i personaggi più illustri di quella, e delle straniere eziandio. Non v’ ha forse alto signore, o principe, o capitano, o prelato, o magistrato distinto, che voi non abbia voluta vedere, o a cui non abbiate voi or per titolo di parentela, or per uffizio di gentilezza usate gran cortesie, e per dirlo con formola usata fatti gli onori del vostro paese. Quanti adunque non troverei negli ordini più autorevoli della nobiltà e del clero, e ancora delle accademie sicuri e sperimentati testificatori de’ meriti vostri? E ciò che farebbe non meno autorità, che sorpresa sarebber i milordi ottogenarj, che sempre [p. 146 modifica]ebbero presso voi buono accoglimento, maravigliando ogni persona non so qual più, o voi che potevate gustare d’una conversazione sì antica in sì giovane età, e preferire il serio e posato stile della prudenza al lusinghevole e grazioso della galanteria, o essi stessi, che conservavano ancora in tanta stanchezza degli organi un gusto un sentimento assai delicato per potere con esso assaporare le grazie e le finezze del vostro spirito, che quantunque si tenga nei confini del naturale e del sincero pensare, pur non è mai che non abbia un colore, un contorno, una certa aria di vivacità e d’ingegno fuor del volgare.

Ma voi siete impaziente di leggere non pure i pensieri e i sentimenti, come questi sono dell’amico nostro carissimo, ma le sue parole medesime. Io vi lascio con lui, o Miladi, e con le sue lettere assai contento che piacciano a voi, che le bramaste veder pubblicate, senza molto pensare a quel che il pubblico ne dirà, del qual sappiamo abbastanza se si debbano numerare o pesare i suffragi. Sono ec. ec.

4. Luglio 1766.