Lettere di Virgilio e Inglesi/Al lettore
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INGLESI. |
Ad esempio di que’ due inconsolabili, che innalzarono al tempo una statua coll’iscrizione a colui che consola, io gli ne vorrei ergere un’altra col’moto a colui che disinganna, or che rimetto alle stampe le lettere di Virgilio sotto il mio nome. E con ciò solo risponderei alle accuse moltissime uscite contro di quelle, quasi un sì lieve scherzo poetico un tanto onore si meritasse, e sarei grato ad un tempo al favor loro usato da non pochi cortesi animi non prevenuti. Nulla dunque più giova o il compiangerle o il giustificarle, poichè trent'anni o poco meno han fatto l’ufficio opportuno di porre in obblivione e in silenzio per una parte le varie
scritture dettate dalla passione, e per altra
di comprovare l’utilità delle mie critiche
in prò de’ giovin guariti per esse da molte
superstizioni.
Che se divennero alcuni tra noi verseggiatori francesi o tedeschi o inglesi in luogo di que' danteschi e petrarcheschi, bembeschi viziosi, cadendo nell’altro estremo, come sin dai tempi d’Orazio s’usava, ciò veramente non deve a mia colpa recarsi, nè per l’autorità mia, che sempre pochissima fu, nè per avere io mai per bocca di Virgilio pure rammentati gli Ossian e i Pope, gli Akensidi, gl’Young e gli Arvei, o i Klopstoch, i Zaccaria, i Gesner, i Ghellert, mostrando egli anzi in più luoghi non grande amore per le poesie de’ galli, non che de’ britanni, allor che grandissimo ci l’avea per Dante e per Petrarca eziandio censurandoli. Non era ancor venuta la moda del poetare straniero tra noi a tal segno allor ch’egli dettavami quelle lettere, nè l’avrei fatto io parlar mai de’ nostri padri diversamente da me medesimo, che già anni avanti avea fatta la profession mia solenne in buon gusto ed in poesia tentando la prima volta, e sempre in tuono scherzevole di purgare il nostro parnaso di molti inganni e pregiudicj.1
Che se pur piacesse ad alcuno vedere le mie difese, poichè i gusti son vari, nè tutti fanno del pari economia del tempo vegga le mie lettere inglesi da me scritte in gran parte a tal fine assai tempo dopo le virgiliane, e in istile esse pure di piacevolezza e di bizzaria, sebben più liberamente senza studio e per compiacenza ed amicizia. Ma poichè intervenne ancor qui, come suol nel ruzzare e scherzare, dicea colui, che l’uno batte per ciancia, e l’altro riceve la battitura per villania, e di scherzo fanno zuffa, io che per indole abborro e per professione checchè sappia d’ingiurioso ed anche sol di beffardo, eziandio se innocente e non volontario quelle inglesi appena registro fra l’opere mie, nè le ristampo per mia volontà. Misero me se una volta sola per mio fallo alcun prendesse cruccio e dolore contro a quell’intenzion mia e proponimento invariabile d’uom costumato, di procacciarmi scrivendo d’essere ben voluto ed avuto caro da’ bennati giovani principalmente in pro de’ quali ogni mio studio rivolsi. Ma se in quella vece l’utilità ognor delle lettere, e della patria a mio scopo sol mi proposi,2 se tra limiti letterarj mi tenni, se più caldo e volonteroso a lodar fui che non a riprendere, se di buon grado i consigli, e in pace mi presi l’altrui censure, e l’odio insino, e le sconce vendette già non avronne rimordimento e vergogna.
Seguirò intanto a dir libero il parer mio, come ne presi a principio licenza, e poco omai rimanendo di vita a’ miei studi ed a me, alla posterità già vicina m’appello, che tra poco deciderà se l’aver io preso errore scolpa altrui degli error suoi, se il chiamarmi mordace giustifica il mal gusto, se l’accusarmi d’invidia, o di falso zelo è pruova di buono stile, e che certuni scrivono acconciamente, che non cadono in barbarismi, che non ignorano la lor lingua, che non adulterano i buoni esemplari antichi imitando gli oltramontani e gli oltramarini. Sì, facciano quanto sanno e in verso, e in prosa pur mai non cessino dal tribolare il patrio genio e buon gusto, io me ne richiamo al giudizio pubblico, s’egli esiste in Italia, poichè esso ben fu rassomigliato ad un fiume, che oqnor correndo e posando suo lezzo rende l’acque purgate col tempo, le quali fannosi per tal modo specchio fedele onde prendon consiglio sicuro l’arti e gl’ingegni. Che se un tal giudice è più difficile a ritrovarsi tra noi, che nell’altre nazioni unite ad un centro, e così ad un tribunale, quell’altro non manca de’ posteri somigliante all’antico spartano de’ vecchi assistenti agli esercizi de’ giovani combattitori immune di parzialità, di gelosia, d’imprudenza, sembrandomi sempre i contemporanei troppo suggetti a cotai passioni e vizj più giovanili. Così parmi d’essere esente dal nojoso impegno di far un tomo d’apologie su la mia critica, e su l’altrui troppo inutilmente.
A maggiore utilità piuttosto augurar voglio alla prossima età ch’ella sia meglio disposta a gustare la buona critica letteraria quando sia urbana, senz’astio e senz’audacia, e per solo amor del buon gusto e dell'onor delle lettere care ad ogni benfatto animo e ingegno. Nè per altre mani fuor che per quelle d’una tal critica non giugneremo giammai ad eccellente letteratura, al discernimento del buono e del bello, e soprattutto dell’utile e dell’onesto tra tanta confusione e tumulto di libri3 e d’autori, che inondano d’ogni parte, e incalzansi, e fuggono senza dar tempo appena di leggerne i frontespizi, di scorrerne le prime pagine, di ricordarne i nomi degli scrittori. I giornali poi letterari d’ogni titolo e forma, a’ quali spetta por freno al torrente, e dar regola e corso e purgamento a tant’acque, gonfiano in vece ancor più le correnti, e sommergono il buono e il malvagio o il pongono a caso qua e là per la miglior parte. Come dunque procede e discernesi la nostra letteratura, qualluogo daremo ai migliori, chi sarà giudice competente, e punitore de’ rei, quando alla fine avrem legittimi tribunali di sottil critica saggia incorrotta, come sembrano averla ottenuta alcune nazioni?
Dopo che io celebrai molti pregj d’Italia senza parzialità debbo del par confessare, che ci superarono in ciò i francesi, e giunsero al più alto segno dopo cent’anni e più di tentativi e di gare nella critica letteratura sì necessaria e proficua ad ogni studio e lavoro. Dagli antichi lor primi giornali des Savans, di Bayle, de’ Trevolziani, e del Mercurio scendendo a quelli dei Desfontaines, dei Freron, e d’altri tali, qual eccellenza in que’ di Boüillon, prima si disse di Brusselles, poi si disse di Parigi, e nel proseguimento istancabile d’un secolo e più di quel de’ Savans? Oh i lieti momenti che mi fanno passar questi tre con istruirmi ad un tempo mirabilmente! Pur mentre scrivo ancor piena ho l’anima di que’ bellissimi articoli sopra una nuova edizione de la Bruyere4, e sopra due elogi del duca di Montausier5. Non sono essi tai giornalisti degni emoli degli autori che prendono a esame, e non trovo io due scrittori eccellenti in vece d’un solo, e un piacer duplicato in sì nobil gara delle pene più dilicate e più ingegnose? Che grazia di scrivere, che profondità di pensare? Quanto discreta censura, quai lodi pesate, quale autorevole gravità unita a moderazione, ed amenità, onde m’illumino, e mi diletto squisitamente!
Tornami allora in memoria un’epoca fortunata, e gloriosa all’Italia e al principio del nostro secolo, nella quale incontraronsi felicemente i più grand’uomini stretti tra loro in amicizia, e in quell’ardua impresa costanti pel corso di quaranta volumi, quai furono i Vallisnieri, i Maffei, gli Zeno, i Morgagni, e tant’altri autori immortali dell’immortale giornal d’Italia. Nè sì lontani da questo reputo io già del nostro tempo que’ di Pisa, di Modena, di Cesena, e tal altro per varj articoli dotti saggi e ben ordinati. Ma dicano i valorosi reggitori di questi se non perdon la lena tra mille ritardi e inciampi, tra spese e fallacie tipografiche che, quale isfinimento e quanti cruccj da’ lor socj non hanno, e dai letterati, onde languiscono poco a poco, e trovano morte e tomba tanti giornali, come assai ne ho veduti perire nascendo, o a mezzo corso della lor vita negli ultimi trenta o quarant’anni solo in Venezia. Quel ch’io proposi a’ romani6 approvato in Italia da molti siccome utilissimo, e necessario, parve in Roma, scrissemi alcuno, fuor d’ogni opportunità; sebben non vo’ disperare che non venga un buon pensiero quando che sia in mente ad un principe ad un cardinale, poichè vediam de’ pensieri ancor più inaspettati venir in quell’aria ai gran signori.7
Ah sì speriam non lontana quella stagione, che l’arti e gli studi siano in conto tenuti di veri servigi alla patria, e non quai mestieri, e che i letterari giudici incoraggiscano l’anime oneste con gare amichevoli in vece d’esporle a’ rabbiosi duelli. Povera Italia e non potrai dunque veder quel tempo, in cui s’ascolti la verità senza offesa dai letterati, e che siano essi le più belle anime e i cuor più generosi scrivendo con entusiasmo d’amore in verso della virtù e dei talenti? Oh Dio! sarebbe mai vero, che cotali anime a scrivere più ritrose dell’altre sagge, modeste, pacifiche fossero impaurite dalle audaci e prosontuose nella carriera de’ buoni studj? Ah nò dee venir quel momento che trionfino su le carte il buon gusto e giudicio ancorchè severo nelle cose d’ingegno, onde troviamo nella lettura una parte di felicità, e d’innocente delizia a sollievo di tante noje e ci ristoriam con un libro alla mano su retta bilancia pesato nell’ore nostre di solitudine e di quiete dagl’incomodi dell’ignoranza o della malignità. Allor senza collera udrassi il vero, e dirassi. Dal popolo allora de’ scrittori e scrittor mediocri sarà distinto il drappello de’ buon poeti, e letterati, e allor ricordati ch’io tel predissi, e tentai di concorrere a sì bell’impresa. Possibile che quattro versi o un periodo biasimato, che l’interesse meschin d’un sonetto, un libero esame d’un tristo libretto a produr abbiano sempre guerre ed ingiurie, e che i pregiudicj d’un abito, e d’un istituto influir sempre debbano nella stima o nel disprezzo dell’opere e delle intenzion dell’autore? E se vero è pur troppo che dopo lunghe fatiche tutto finisce anche in letteratura a compiangerne la vanità, deh possa l’uom di lettere almeno farsi conoscere nel suo scrivere e nel suo pensare dotato d’indole onesta e piacevole, d’un cuor ardente e leale in verso a’ suoi concittadini per renderli costumati pacifici virtuosi; vero oggetto ed unico de’ suoi studj sì faticosi, benchè non senza lusinga di qualche lode lontana e tarda, che possa agli amici superstiti ed ai parenti un giorno esser cara; giacchè sa ben egli, che i fiori sparsi su la tomba saran senza odore per lui, e che il più bell’elogio non sarà da lui ascoltato.
Dissi a renderli virtuosi, perchè poi bisogna amare un po’ la virtù, e sentire zelo per lei assecondando certi risentimenti vivaci, certa energia senza cui non correggesi alcuno, e restano eterni i pregiudici, oppressa la verità, e disprezzato il letterato modesto, il candido e buon poeta, lo storico saggio e morale, mentre levan la fronte protetti dall’ignara e potente ricchezza il vile adulatore, l’impostor temerario, il verseggiatore impudico o satirico. Siccome certi spiriti gonfi di vanità, secchi e duri per indole, audaci ed ostinati in false opinioni maligne tradisconsi da se stessi scrivendo, e son però smascherati per poco davanti il buon critico, che traspirar ne vede il moral carattere attraverso il loro stile, così gli umani discreti sinceri fansi conoscere in certi tratti spontanei, in que’ voli, e trasporti non istudiati di lor passion generosa per l’utile verità, per l’innocenza tradita, per l’orrore della calunnia, e della satira infame. Per alcun tempo la bassa invidia, l’orgogliosa ignoranza, e la sciocca credulità seducon la moltitudine a disprezzare i veri talenti,e l’opere più pregevoli della nazione, e molto più veggiam sussistere le ingiuriose opinioni ad oscurare li fama degli uomini illustri che non i giusti giudicj, e il disinganno. Ma vedrem pure ancor noi l’amor del vero, la libertà saggia, infin l’ufficio della critica illuminata ispirar rispetto e prender dominio col gusto universale del bello del grande del vero e dell’onesto nella repubblica letteraria.
Ogni giorno andiamo aprendo gli occhi su gli errori de’ padri nostri per beneficio e favor della critica nelle storie moderne, chi ben le considera, e sentomi spesso il cuor gioire per quelle, che van salvando la fama de’ calunniati ed oltraggiati per tanti secoli con autentici monumenti, con raziocinio severo, con bilancia imparziale. Quant’obbligo non abbiamo al Muratori, che purgò la storia di tante calunnie, o diffamazion popolari, come, a dir questo solo, dalle viltà ingiuriose di Federico I. e d’Alessandro III. in quel loro colloquio a Venezia! E non è un delitto di meno la falsità per lui mostrata di quel veleno, e di quella morte d’Alessandro VI? Qual conforto non è veder giustificato nella storia del Tiraboschi e s. gorio il grande dall’accusa già invalsa d’aver lui dare al fuoco l’opere di Tito Livio e d’altri antichi, e Alberto Pio dalla taccia di raggiratore ed uomo di mala fede, e Marcantonio Flaminio da quella d’eretico, e il Testi ed altri molti d’altre non poche? Nè men gode ogni buon italiano di veder poste a miglior lume nella storia8 recente de' Medici le due regine di Francia Caterina e Maria, il Concini e la moglie infamati da tante storie francesi al pari del Cardinal Mazarini, che ha trovato anch’esso alla fine de’ riparatori del nome suo9. Vero è che anche in istoria fan dominare la moda i francesi, e or alto or basso, or al cielo ed or all’inferno secondo i tempi mettono le persone. E’ un fanatismo, un torrente, un furor che rapisce, e allor salva chi può, guai a chi parla d’esame e di criterio. Sino a mill’anni han dato il nome e l’accusa di fainèans ad alcuni loro re: finalmente l’abate Velli è venuto a risarcirne la fama10; s’idolatra Enrico Quarto dopo un secolo e mezzo di non curanza, e atterrasi il colosso inalzato a Luigi XIV. col titol di grande a lui concesso, come io vidi negletto l’ultimo Delfino in vita, che poi trovossi da tanti scrittori divinizzato dopo la morte con fortuna contraria a quella del padre suo Luigi XV. Quante colpe a questi anni gli storici francesi e inglesi non hanno tolte a Cristina di Svezia, a Maria di Scozia, ai cattolici d’Inghilterra?11 Chi sa che qualche spagnuolo non abbia alfin pietà, se la merita, di Filippo II., del duca d’Alba, d’altri tali messi in obbrobrio e in orrore in tante storie moderne, poichè l’han sentita di Cortes, di Pizzarro, e de’ loro conquistatori d’America esaminando con giusta critica e discoprendo gli abbagli presi dal sì celebrato las Casas, e que’ de’ Robertson, de’ Rainal, de’ Marmontel, de’ Voltaire, e di cent’altri? Se dopo quattro cent’anni han ricoverato l’onore per la storia del signor Dupuis gli antichi templari saran più di lor infelici i moderni12 perchè più innocenti? Lo stesso amore di verità e di giustizia porrà nel luogo ben meritato i libri, e gli autori contro a’ capricci della fortuna anche in letteratura ingiusta spesso e cieca, e confronterà senza passione le due storie dei concilio di Trento, l’impiego del denaro13 del marchese Maffei co’ suoi censori or trionfanti, la storia ecclesiastica del Fleury con quella del cardinal Orsi, le vere lettere di Clemente XIV. colle stampate dal marchese Caraccioli, ed altri senza numero antichi e moderni sin ora mal collocati, e mal letti. Quella encicopledia sì vantata per filosofica imparzialità vergognerassi un giorno dell’articolo cronologico Jesuites degno de’ tempi della lega, e dei nuovi Garasse i signori de la Chalotais, Monclar, e cent’altri fanatici (parlo con certa scienza e coscienza di cose domestiche) in mezzo al secolo detto della filosofia. Ma troppo avrei a dire del titolo profanato ogni giorno da tai filosofi, che saranno dai posteri o tosto o tardi riconosciuti se la buona critica un dì prevalga.
Mi son lasciato portar alquanto dal grave argomento in tai materie gravissime dipartendomi forse troppo dalle più lievi trattate nelle lettere di Virgilio e nelle inglesi, benchè non lievi ingiustizie, e persecuzioni abbian queste sofferte, e torno a sperare che gl’italiani sapran divertirsi di tali scherzi, come fan da gran tempo inglesi e francesi. Sì sì, miei cari italiani, ravviserete un giorno gli autori di cosiffatte piacevolezze di critica letteraria quali uomini dabbene ed amichevoli, persuadendovi, che essi non hanno la mira di pungere, non astio, non invidia o gelosia. Insino all’elogio fatto a una dama con qualche destra ironia su i donneschi costumi affin di togliere da una dedica l’usanza scipita d’un panegirico, no nol terrete per una satira contro quelle d’una città o famiglia, e ne rideranno esse pure le nostre dame riconoscendovi come usano quelle di Francia o d’Inghilterra quel critico sale de’ libri piacevoli14 e del teatro sui vezzi femminei da tutta Italia ed Europa sparso a man piena. E molto più sorrider vedrannosi i letterati sulle mie critiche di Petrarca o di Dante alla infingardaggine contrapposte de’ comentatori e de’ visionari, de’ quali per caso un mi venne sott’occhio testè15 principale, e diran col Tassoni nella sua tenda rossa, che cotali censure non son contro il Petrarca ma sopra di lui, e contro de’ mali imitatori, onde cadono le derisioni su que’ tristi, che le cose men buone si prendono del gran poeta, aggiugnendo alla fine, che quando il grano è mischiato di loglio in maniera che possan patirne i semplici è poi una prudenza e carità il vagliarlo non per vendere il loglio qual cosa buona, ma per mostrare che è cibo da bestie, e per sequestrarlo dal puro grano, che è cibo da uomini.
Note
- ↑ Nel poemetto delle raccolte si legge c. 3. n. 60.
Il cantor immortale d’Ugolino.
È cigno in Elicon; chi nol riseppe? ec. e c. 4. n. 17.
Con lunga barba e con rugosa faccia
Primo appariva il gran padre Alighiero &c. Così per le critiche de'suoi cattivi imitatori ivi son chiare
Ma Dante che ogni verso ha d'or fino &c. e lo stesso si vede in varie note al poemetto. - ↑ Le virgiliane ponno esser utili in ogni tempo, come alcuno in Italia sentenziò, e come sembrano comprovare due traduttori francesi a me ignoti, un de’ quali credè utili anche l’Inglesi accoppiandole colle prime in un suo libro intitolato: Lettres sur la litterature e la poesie italiennes traduites de l’italien par M. de P . . . a Florence & se trouvent a Paris: chez Cailleau &c. 1778. in 8. L’altre s’intitolarono: Lettres de Virgile aux Arcades: Paris 1759. in 16. e furon tradotte pure in tedesco, o trasformate.
- ↑ Sembra pur vero, che non avrem dove abitare tra poco per l’inondazione de’ libri, ma sembra ad altri, che l’equilibrio si sostiene per opera de’ droghieri, speziali, pescivendoli, formaggiari, legatori, scatolaj &c. che struggono tante stampe. Le pergamene più rare ed autentiche sono state in lor mano trovate.
- ↑ Esprit des Journaux — Fevrier — 1782
- ↑ Journal des Sçavans - Mars - 1782.
- ↑ Entusiasmo — Nota XXIX.
- ↑ Era in viaggio il Papa per Vienna.
- ↑ Così avesse il sig. Galluzzi addotte le pruove di tanti aggravj, ch’egli il primo a gran personaggi ha fatti. Questo è dover facro della storia, niun pretesto o ragione può mai esentarne chicchessia.
- ↑ Il sig. Molter bibliotecario di Carlsrouhe con lettere originali. V. Esprit des Journaux — Dicembre 1780. pag. 387., e il sig. Gaillard nell’estratto degli elogi del duca di Montausier sopraccitato. La moda è in Francia di denigrare i papi, e specialmente Gregorio VIII., gl’imperadori Costantino, Giustiniano ed altri, esaltar Giuliano come eroe filosofo, inorridir al nome d’apostata, scusare i re della vita in adulteri trascorsa, accusarli di fanatismo se religiosi &c. Tutto in alcuni è reità, tutto in altri è virtù, o lieve difetto.
- ↑ Journal enciclopedique — Juin 1777. pag. 253.
- ↑ Vedi Hume, Robertson, Gilbert, Stuart, p. Griffet preuves de l’histoire.
- ↑ Gesuiti oppressi come quelli, e di più senza processo alcuno.
- ↑ Debbo anch’io risarcire a questo proposito la fama degl’italiani chiamati usuraj nel mio decimo tomo pag. 119, che furon forse poco diversi dai banchieri moderni di tutta l’Europa esaminando le circostante diverse.
- ↑ vedi Lettre a una dame anglaise nelle bagatelles morales de l’abbé Coier, e la dedica delle mie lettere inglesi già in Verona sì mal intese.
- ↑ Animadversiones in editionem s. Zenonis &c. 1773. Verona in 4. chi crederà che in tal libro si pubblichi al tempo nostro un comento di Dante, che strano sarebbe paruto ne’ secoli 14. 15.