Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/LXXVIII

LXXVIII. A Marianna Brighenti - A Forlì

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LXXVIII.

A MARIANNA BRIGHENTI

a Forlì

.... Aprile (1840)

               Cara Marianna,

Oggi ho ricevuto la tua cara, dolcissima lettera, che tu chiami bibbia ed a cui io do un più caro nome; ed oggi (martedì santo) incomincio a risponderti, sotto l’impressione ch’essa mi ha destato. Prima di leggerla ho baciato e ribaciato quei finissimi capelli che abbelliscono il tuo capo [p. 218 modifica]e quello di Ninì, dall’amore di voi, mie care anime, donati a me che li serberò fra le più care memorie.

Troppo mi duole della tua indebolita salute, e del caro tuo pettorello (frase di mamà) offeso dal troppo cantare, e più me ne duole perchè ti vedo disposta al canto di nuovo. Io sperava che di teatro non se ne parlasse più, e però vedeva i tuoi affari andar benissimo e riposarti poi dai tuoi viaggi e dalle tue fatiche nella villa presso Modena. Mi fanno pena i travagli che soffre la cara tua famiglia per la malizia degli uomini, e il nome solo di lite mi spaventa; spavento lasciato in noi giustamente da tante che ne hanno i miei sostenute. Spero però che la tua avrà buon fine e lo desidero ardentemente, ma già essa ti fa danno obbligandoti a ricalcare quei luoghi ove ti verrà cinta la fronte di nuovi allori, ma che ti costeranno senza dubbio fatiche e pene.

Non vado però affatto d’accordo con te e colla tua massima di non scrivermi quando non hai che cose tristi da narrare. Non sai ch’io faccio parte di tua famiglia, e che solo per caso siamo divise, ma i nostri cuori stan sempre insieme? Non ti serva dunque mai più per iscusa un simile motivo, che esso quasi mi fa torto. La nostra Cleofe bacia teneramente te e Ninì, e ti ringrazia delle care tue parole colle quali cerchi di confortarla a soffrire con coraggio i mali presenti alla vista di quel bene che spera. Questa cara figlia già ha passato il periodo più doloroso (meno quello del parto), ed ora si trova meglio, e non facciamo che parlare della piccola Virginia ch’essa spera [p. 219 modifica]dare alla luce, e ci par quasi di averla tra noi, tanto già le vogliamo bene. Così Iddio le accordi un parto felice, al quale io non posso pensare senza pianto, riflettendo quello che Dio disse alla prima nostra genitrice. Va bene che Nini si consoli della perdita del Menestrello1; egli non era degno di lei, e ciò le mostri quanto è triste la condizione nostra, che ci espone a soffrire, solamente a soffrire. Pare ch’essa se ne consoli con Petrarca, ma chi consolerà la mia Marianna, la quale ora sta sotto l’impero dell’illusione e della speranza? dico speranza di non essersi ingannata nella conoscenza di quegli che ha saputo inspirarle tanto amore.

Ma ricordati, Marianna mia, quanti falsi giudizi hai fatto di tanti ai quali la tua viva immaginazione, il tuo cuore sensibilissimo avean fatto dono di brillanti e care qualità che essi non avevano punto, ricordati dei castelli che hai fatto nella Spagna, e poi sta in guardia più che puoi, e Nini ti consoli e ti consigli, essa che ha la mente fredda e il cuore pieno di amore per te. Oh! Non fidarti degli uomini, Marianna mia, non è questo, tempo per anime come le nostre. Divagati, fa ritratti (ma non già il suo) allontana il pensiero di lui quanto puoi, e parti presto da Forli; io voglio saperti consolata e désillusionnée. E poi aspettami a sentire Donzelli; non è vero ch’io vengo? Non è vero, come dici, che il viaggiare. [p. 220 modifica]conviene ai signori? Non è vero che il vederti sarebbe la suprema mia felicità, quella oltre la quale non ne spero nè ne bramo alcun’altra in questo mondo? Si, Marianna mia, tutto questo è vero, e pure io non vengo. Nella mia famiglia (cioè in che ne regge il freno) vi è tale antipatia al viaggiare, che più non puole essere; sicchè tanto è dire di fare un viaggio, quanto è dire a un asino che voli per la spaziosa via dell’aere. Mio fratello sarebbe lietissimo di conoscerti, e parleresti con lui di cose artistiche, chè egli si è fatto entusiasta di opere antiche e moderne di incisioni, disegnatori ecc., ed ammirerebbe i lavori tuoi e quelli di Ninì, e sopratutto ammirerebbe le rare vostre qualità, o care anime. Sempre egli si duole della vostra assenza da Bologna, nel suo soggiorno colà. Nulla io sapeva della lettera di Giordani2, anzi neppur sapeva s’ei fosse più vivo. Pur troppo conosceva l’ingiuria fatta al nostro diletto Giacomo, e lagrime di sdegno e di dolore mi piovevano dagli occhi a quella dolorosa lettura. Non dico di bramar di leggere quella risposta, sarebbe indiscretezza il pregarti a copiarla di nuovo; ma certo è stato un balsamo salutare il sapere che pur qualcuno ha saputo vendicar l’ingiuria fatta a chi ha tanto onore recato all’Italia ed è un italiano che scrisse quei fogli! Il di lui nome mi produce sempre un fremito d’indignazione impossibile a descrivere. Addio, cara, carissima. Guarda l’azzurro del cielo, e li trova conforto; non val più sperarlo su questa terra. Abbracciami ed amami, [p. 221 modifica]già io ti amerò sempre, sempre. E Papà perchè non mi abbraccia? forse egli sta troppo immerso negli affari e si è scrodato di benedire la figlia sua. Addio, cara Nini; oh, come mi hai fatta lieta pel diletto tuo dono!



  1. Probabilmente è il poeta Antonio Peretti, che era stato amante di Annetta, e che così soleva firmarsi nelle sue lettere amorose.
  2. La lettera a Felice Carrone.