Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/LXXVII

LXXVII. Ad Anna Brighenti - A Forlì

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LXXVII.

AD ANNA BRIGHENTI

a Forlì

Martedì di Pasqua (1840)

               Cara Nina

Peccato che la tua lettera non mi sia giunta ieri, sabato santo, che almeno sarebbe venuta al suono delle campane, e allo sparo dei mortai, degno ricevimento di una lettera attesa da anni ed anni! Se anch’io non mi sentissi non leggermente tocca dall’istesso tuo male, oh allora non valerebbe la distanza che ne separa a smorzare la mia collera, e a non farti sentire i miei ruggiti (!) Ma... non posso parlare, e convien bene che mi freni nel giusto mio sdegno perchè anch’io ho bisogno di molta e molta indulgenza. E poi, non è vero che da qui a due giorni io debbo prender Pasqua, [p. 214 modifica]vale a dire, non ho da avere nel cuore il menomo risentimento secondo quanto ne avea detto il nostro predicatore nella predica della dilezione degli inimici? Dunque, ecco ch’io ti abbraccio, o cara Nina, e ti ringrazio della tua amorosa lettera, e della memoria che hai di me, e dell’amore che mi porti. Il quale amore già sai che viene pagato con altrettanto amore, e le vostre lettere giungonmi sempre grate e carissime.

Ti ringrazio poi assai della nuova che mi hai data di quanto dice il padre Curci, e dici bene che quelle sue benedette parole son fatte per riempirci di consolazione. Noi ne avemmo nuova da uno con cui parlammo reduce da Napoli, che portò di là questo libro, e poi l’abbiamo cercato a Roma e il padre Roothaan ne ha fatto dono di una copia. E siccome credo che Brighenti non l’abbia avuto in mano, e sperando gli faccia piacere il sentire quelle sue parole, le quali (mi pare) non son quelle precisamente che scrive Viani, qui a piedi le copierò, e copierò pure quel brano dal foglio di Parigi che parla di Giacomo, di cui Marianna si mostrò desiderosa. Essa capirà quanto dolore mi costa il ripetere e il leggere quelle parole, e mi compiangerà, ne sono sicura. — La Poesia in ItaliaGazz, ital. N.° 78.

..... Ma il poeta di cui volli parlare quasi per ultimo perchè il tengo come il primo, egli è G. Leopardi. Contemporaneo di Tommaseo, esso non gli è affatto dissimile. Ma non è cristiano il Leopardi e perciò si abbandona senza contrasti, alle melanconiche sue dottrine. Giovinetto, è già di malferma salute..... infelice, perchè non amato dal padre [p. 215 modifica]ch’egli d’altronde non poteva stimare. G. Leopardi accudi con ardore agli studi in cui fece rapidissimi progressi. Giunse però l’età che reca ad ognuno nuovi desiderii, nuovi pensieri, nuovi affetti, e nuove sorti, e giunsero i desiderii, i pensieri, gli affetti, ma non le sorti, chè niuna donna nè lo amò, nè consenti tampoco ad essere da lui amata. In altri paesi la vanagloria di essere unita ad un gran poeta gli avrebbe procurato una compagna, e forse l’anima sarebbe stata una volta abbellimento al corpo, e una donna avrebbe amato l’anima ed il corpo come sua veste. Non così in Italia. Ivi l’amore non va disgiunto dalla bellezza e almeno da certo vezzo delle forme che può essere inteso per bellezza. Nel Leopardi si ammirava l’ingegno, si compiangeva il destino, ma le donne non consideravano ch’ei fosse uomo, e potesse nonchè amare, essere amato. Crebbe allora l’umor tetro, crebbero i patemi, scemò la fiducia in Dio, negli uomini, in se medesimo; ma si svolse e grandeggiò mirabilmente quel genio desolato. Egli si mostra perseguitato da un aspro pensiero: perchè nasciamo? perchè si vive? perchè la morte? E perchè si piange sui cari estinti mentre la vita sarebbe stata cagione di pianto a loro stessi? Sovente quando ci parla d’amore, sembra raccontare i sogni della febbre, piuttosto che le agitazioni della vita. Ma quanto egli fosse propenso all’amore e con quanta propensione fosse destinato ad amare, il provano a parer mio le tante incantevoli strofe che pari non hanno se non nel Petrarca. Tenerezza di sensi, sublimità di pensieri, meravigliosa maestria d’arte, tali sono i pregi che fanno del [p. 216 modifica]Leopardi il primo di tutta la schiera dei lirici poeti... Il Reumontha capito a meraviglia il divario che corre fra la lirica armoniosa, pura, celeste, tra la speranza, tra la soavità del Manzoni, e la poesia sconsolata, tetra, disperante e tutta desolazione del Leopardi. Dalle sue canzoni tutta appare la di lui anima nobile e generosa, ma vinta dal dubbio, atterrata dal dolore ed oppressa dalla sventura.

Ed ecco le parole del padre Curci: - Vo’ darvi una notizia, Signor Gioberti, la quale vi sarà carissima certamente. Giacomo Leopardi da voi si altamente ammirato come l’ultima scintilla del genio italo-greco; e compianto non meno perchè orbo quasi al tutto di religione, infermossi a Napoli, come sapete, e venne a morte. A quel termine il Signore gli ebbe pietà, domandò per confessarsi ed ebbe un prete Gesuita, e gli morì fra le braccia. Ho voluto toccare questo fatto si per confortarvi di quella perdita, sì per supplire alla dimenticanza di chi scrivendone la vita, trascurò questa parte che sicuramente non ignorava, non per la qualità del ministro, chè certo non ci entrava, ma sibbene pel ricevuto sagramento: circostanza che in uomo vissuto senza religione, come era il Leopardi, era di qualche momento.

Ecco, Nina cara, quanto in mezzo alle lagrime di dolore e di consolazione ho scritto per compiacere Marianna che mi aveva chiesto l’articolo del foglio parigino, e per far vedere la poco unità o esattezza sulle righe scritte da Viani dalle quali trapela una mal celata ironia. In sostanza è da benedire e ringraziare Iddio che ha inspirato al [p. 217 modifica]Curci di pubblicare quelle parole che hanno riempito di giubilo l’addolorato cuore dei genitori di Giacomo e di noi tutti. Dopo di avere scritto, fin qui ho letto la cara lettera del padre Curci diretta al Rettore del Collegio di Loreto, in cui ripete quanto ha pubblicato in istampa, e che Ranieri ha voluto tener celato. Di nuovo ringrazio te e i tuoi di tanto amore. Oh! Come vorrei che gli affari vostri prendessero buona piega! Addio, addio! Mille saluti alla mia Marianna e tante cose al papà. Virginia bacia le due sorelle e al genitore non dice nulla per vergogna.

(Martedi di Pasqua). Nel foglietto di Bologna ho veduto la lettera di Brighenti ed ecco che nascono le ire di Giordani, il quale sta per iscrivere un nuovo poemio alla ristampa degli Studi giovanili.