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ch’egli d’altronde non poteva stimare. G. Leopardi accudi con ardore agli studi in cui fece rapidissimi progressi. Giunse però l’età che reca ad ognuno nuovi desiderii, nuovi pensieri, nuovi affetti, e nuove sorti, e giunsero i desiderii, i pensieri, gli affetti, ma non le sorti, chè niuna donna nè lo amò, nè consenti tampoco ad essere da lui amata. In altri paesi la vanagloria di essere unita ad un gran poeta gli avrebbe procurato una compagna, e forse l’anima sarebbe stata una volta abbellimento al corpo, e una donna avrebbe amato l’anima ed il corpo come sua veste. Non così in Italia. Ivi l’amore non va disgiunto dalla bellezza e almeno da certo vezzo delle forme che può essere inteso per bellezza. Nel Leopardi si ammirava l’ingegno, si compiangeva il destino, ma le donne non consideravano ch’ei fosse uomo, e potesse nonchè amare, essere amato. Crebbe allora l’umor tetro, crebbero i patemi, scemò la fiducia in Dio, negli uomini, in se medesimo; ma si svolse e grandeggiò mirabilmente quel genio desolato. Egli si mostra perseguitato da un aspro pensiero: perchè nasciamo? perchè si vive? perchè la morte? E perchè si piange sui cari estinti mentre la vita sarebbe stata cagione di pianto a loro stessi? Sovente quando ci parla d’amore, sembra raccontare i sogni della febbre, piuttosto che le agitazioni della vita. Ma quanto egli fosse propenso all’amore e con quanta propensione fosse destinato ad amare, il provano a parer mio le tante incantevoli strofe che pari non hanno se non nel Petrarca. Tenerezza di sensi, sublimità di pensieri, meravigliosa maestria d’arte, tali sono i pregi che fanno del Leo-