Lettere d'una viaggiatrice/Viaggio a Cosmopoli/Le donne
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LE DONNE
Montecarlo, marzo....
Il settanta per cento delle persone che riempiono il palazzo del giuoco, è fatto di donne. Sul piazzale fiorito, innanzi al Casino, e nel peristilio, tutto marmi grigi e rossi, al guardaroba, e nella sala di toilette per le signore, che è un salotto squisito, profumato all'iride bianca, nel vasto hall, cioè, quella sala dei passi perduti dove si digerisce la perdita o la vincita, e alla buvette, dove le fauci inaridite dalla febbre del giuoco si dissetano, nei due nuovi grandi caffè, nei saloni del giuoco, intorno alle tavole, sui divani, innanzi all'ufficio del cambio, in ogni cantuccio, le donne vanno, vengono, stanno, per lunghe ore, per giornate intere, in gruppi, in coppie, solitarie, raramente in compagnia di uomini, salvo quando sono accompagnate da un marito, da un fratello, da un flirteur. Giammai la umanità femminile assunse, come a Montecarlo, un aspetto così diverso, così complesso, così attraente nelle sue mille forme, così affascinante nelle sue forme belle, così curioso nelle sue forme grottesce, così divertente nelle sue forme orribili. La vecchia di settanta anni, magra, impresciuttita e rabbiosa, e la miss inglese di venti anni, alta, florida, fiera, la borghese di Francia, quarantenne, grassa, carica di gioie, e col borsellino pieno di danaro; e la signora viennese, fine, graziosa, prodiga, capace di perdere migliaia di lire, in un’ora; la gran signora inglese, che viene sempre di sera, vestita di ricchissime toilettes, col cappellino guarnito di rose, coperta di gioie, che chiacchiera vivamente, sempre, con un’amica; la piccola genovese che arriva col suo vestitino modesto, con la mano che tiene ferma la borsetta, quasi gliela dovessero rubare; la principessa tedesca, vestita male, quasi sempre, ma avendo spesso grand air, e circolando sovranamente nelle sale; e la sposina francese, elegantissima, briosissima, che viene a gittare nel giuoco, gli cheques donatile al suo partire, pel viaggio di nozze; la donna ignota, vestita semplicemente, che fa un giuoco d’inferno, senza turbarsi; e la ragazza sciocca che viene ad arrischiare un luigi, così in un minuto, per perderlo il secondo minuto, senz’altro; e tutte le donne infine, che, per gusto, per capriccio, per ozio, per speculazione, per curiosità, per malattia, sono venute sul littorale, o, specialmente, a Montecarlo; anche tutte le donne dagli aspetti più strani, le bellissime, fresche come fiori, le cui mani bianche toccano i napoleoni, come se le dita di una fata li sfiorassero, e le più brutte, tinti i capelli, tinti gli occhi, tinte le labbra, malgrado questo e per questo, forse, mostruose, donne naufragate nella vecchiaia, le cui mani che prendono, hanno qualche cosa di scheletrito; e le più espressive, quelle i cui occhi intenti, e le cui labbra mobili dimostrano la emozione di un incontro, di un guadagno, di una perdita; e quelle inespressive, la cui maschera muta rimane immobile, qualunque cosa loro accada; e tutte quante, infine, povere e ricche, vecchie e giovani, donne bionde e donne brune, donne tinte* color dell’uovo e donne tinte color del rame, prese da questa segreta ed anche palese passione del giuoco, prese per un minuto, per un’ora, per un giorno, per un anno, per una vita, ma prese, tutte, prese!
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Così sul tappeto verde, intorno ai rastrelli che vanno e vengono, intorno alle monete d’oro e d’argento, non si vedono, in gran parte, che agitarsi mani gemmate, alcune così zeppe di anelli, da smagliare: e nelle mani, strette, nascoste, coperte, le borsette di pelle, di seta, di marocchino, le borsette di maglia d’argento, di maglia d’oro, le borsette che sono il segnale caratteristico delle donne a Montecarlo, le borsette donde partono e dove arrivano le somme più umili, e le somme più folli. E, malgrado la loro squisita eleganza, malgrado la loro beltà, malgrado la loro grazia, malgrado ogni altra ragione muliebre, le donne, intorno a quei tavoli cadono in una distrazione, in un assorbimento profondo, e, immobili, taciturne, muovendo lievemente le loro mani scintillanti, con gli occhi fissi al tappeto, e appena appena levatisi a guardare la pallina bianca che salta, esse dimenticano la loro parte di donne, di mogli, di amanti, di seduttrici, completamente. Quante volte, ho visto battere sopra la spalla di una donna, dal padre, dal fratello, dall’innamorato, ed ella non accorgersene! Quante volte, le ho udite chiamare, sommessamente e replicatamente, ed esse non rispondere e non accorgersene! Quante volte le ho udite rispondere sotto voce, con una parola dura a chi voleva farle alzare, e continuare a occhi bassi il giuoco! Nel giuoco, tutto il multanime mondo femminile ha manifestazioni così radicalmente diverse, da stupire l’osservatore più largo e più minuzioso, da rinnovare continuamente la curiosità più acuta e più ardente: cioè, se tutte quante le donne venute a Montecarlo hanno il desiderio e la speranza di guadagni favolosi, se tutte quante hanno il loro progetto, talvolta puerile, talvolta grandioso, ognuna di loro finisce per obbedire al proprio temperamento, in una maniera fatale ed ineluttabile. E ne ho visto delle timide e audaci, insieme, perdere tutto quello che avevano portato, nella prima mezz’ora, e, dopo, guardando malinconicamente il giuoco altrui, pensare e indovinare colpi, che non potranno giuocare; ne ho visto delle sfrenate fare violentemente un giuoco formidabile, guadagnare moltissimo, perdere moltissimo, riguadagnare, riperdere, abbandonarsi ai salti mortali più pericolosi; e delle prudenti, meschine, arrischiar quasi nulla, guadagnar poco e paralizzarsi nella paura della perdita; e delle prudenti, sapienti, che aspettavano la vena, che si portavano via, mille, duemila franchi, alzandosi al primo colpo contrario, che indicava la fine della vena; e delle metafisiche del giuoco, diciamo così, che aspettavano un’ora, sedute, segnando sempre i numeri col loro lapis d’oro, prima di decidersi a giuocare; e, infine, quelle capricciose, incoerenti, ostinate, fortunatissime talvolta, sfortunatissime spesso, e per lo più tornanti a casa senza un napoleone, senza un pezzo da cinque franchi, quasi tutte, ahimè, dominate da un istinto, debbo dirlo, di profonda avidità; e quasi tutte, ahimè, incapaci di andarsene, dopo la vincita, desiderose di vincere ancora, e, quindi, deponendo di nuovo il danaro vinto e il proprio, alla banca del giuoco, irrimediabilmente. L’ora trascorre, la sera si avanza, alle nove di sera, quella folla feminile che giuoca, o che guarda il giuoco, si aumenta di un’altra folla, di dame, di grandi dame, di grandi impure, che vengono al Casino, a pavoneggiarsi, coperte di gemme, sotto i loro cappelli piumati, con le perle che discendono dal collo alle cinture, col corsage stellato di smeraldi, di zaffiri; e le più grandi dame, diciamolo, sono un pò meno imbellettate delle altre, sono talvolta, meno eleganti, e meno ingioiellate, ma bisogna osservarle bene, per vedere tutto questo, tanto Montecarlo assimila quanti sono ricchi e falsi ricchi, principi e falsi principi, nobili e false nobili! Le donne che arrivano alle nove, giuocano poco o niente: le grandi signore chiacchierano, passeggiano, flirtano; le altre si mostrano serie, indifferenti, simili a idoli carichi di pietre preziose, camminano, ondulando sui fianchi, nelle loro vesti molli e chiare, e non giuocano, ma senz’averne l’aria, perchè tutto ha l’aspetto correttissimo, a Montecarlo, cercano il grosso giuocatore, quello che ha molto vinto, e lo trovano, e fanno bene a profittarne subito, perchè il grosso giuocatore domani, perderà.
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Oh, quel treno della sera alle undici e venticinque, che riporta a Cannes, a Beaulieu, a Monaco, a Nizza, tutte le giuocatrici che non abitano a Montecarlo, quel treno della sera, dove, sulle toilettes chiare, fanno pompa i mantelli più ricchi e più carichi di merletti, di pellicce, di piume, quel treno della notte, dico, che raccoglie tutte queste donne belle e queste donne brutte, eccitate, depresse, alcune gaie come uccellini, altre tetre sotto i loro ermellini e sotto i loro Bruges profumati, quel treno ultimo, in cui tutti fanno mentalmente i loro conti e li fanno ad alta voce, e molti sonnecchiano — quelli che hanno perduto — e le donne stringono sempre le loro borsette, cariche di biglietti di banca o vuote anche di cinque lire, quel treno così bizzarro che sembra l’uscita di una grande festa, e che porta tanti esseri stanchi, abbrutiti, da dieci ore di febbre, quel treno, dove, a poco a poco, si fa il silenzio, e donde i viaggiatori escono, come trasognati da un sonno di stanchezza, da un sogno di felicità, quel treno di decavès e di giuocatori fortunati, quel treno odoroso d’iride, di violette, dove ancora scintillano le gemme, chi lo scorderà mai?