Lettere d'una viaggiatrice/Viaggio a Cosmopoli/Il denaro

Il denaro

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IL DENARO

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Montecarlo, marzo....


Fallacia delle cose da lungi immaginate, sopra le favole di coloro che ve le narrarono! Udendo parlare di questo paese sorto pel giuoco e dal giuoco, di questo ricchissimo palazzo — ricco, sontuoso, bello — innalzato solo perchè vi si giuochi, ogni giorno, per dodici ore al giorno, udendo che qui si perdono delle fortune e delle fortune si guadagnano, che vi è chi porta via due milioni e non vi ritorna più, mentre vi è chi giuoca, quì, l’ultima risorsa della sua vita, udendo tutto questo e altro ancora, voi pensate a non so quale bolgia di dannati dove, sui volti e nelle persone, nelle parole e negli atti, si traduca un costante [p. 202 modifica]spasimo interno, di dolore o di piacere. Voi vi aspettate a un’assemblea di convulsionarii da cui si distacchi, ogni tanto, fuggendo, colui che va lontano con l’oro strappato ai rastrelli dei croupiers, colui che va, lontano o vicino, in una stanza dell’albergo o nei giardini, a tirarsi un colpo di rivoltella. Errore! Anzi tutto, entrando nel maestoso salone da giuoco tutto marmi e stucchi e oro, vi colpisce il perfetto silenzio in cui si tiene, correttamente, quella grande folla di giuocatori, assiepata intorno alle nove lunghe tavole della roulette: e, adesso, negli ultimi tre anni, tre nuove sale da giuoco, ampie, sono state costruite armoniosamente al resto del magnifico edificio, dall’architetto Schmidt, e sono sale egualmente affollate. Un silenzio assoluto di voci umane che esprimano un sentimento, un’idea, un pensiero, una sensazione: un silenzio profondo, per cui l’amico non parla all’amico che ha accanto, per cui il marito non risponde alla moglie che lo avverte, all’orecchio, dell’ora che passa, per cui la donna non risponde all’amante che l’ha fornita di grioielli e di danaro, e che vorrebbe [p. 203 modifica]suggerirle una giuocata o condurla a pranzo. Salvo qualche ordine di giuocata, anch’esso detto sommessamente e con quell’eterno s’il vous plaìt, che è il ritornello gentile delle frase più brutali e delle preghiere più umili: salvo la voce anche tranquilla del croupier che annunzia il numero, il colore, il dispari o pari, e la serie, null’altro si ode, non un’esclamazione, non un sospiro. Quelle labbra di uomini, di donne sono suggellate, prima di tutto, nella previsione, e nel calcolo, e nell’aspettativa; sono suggellate nella delusione, nella soddisfazione, in ogni caso della fortuna, quando il numero è uscito. Io non ho visto neppure un sorriso di amarezza o di gioia delinearsi su quelle bocche taciturne, ai colpi più rovinosi o più inebbrianti: io non ho visto tremare nessuna di quelle belle mani feminili cariche di gemme, gittando il denaro o accogliendolo, e se le gemme onde erano cariche scintillavano ai lumi, le dita prendevano o davano leggermente l’oro, come se staccassero una rosa da un mazzolino. Ed ho visto, in tutte le ore, intorno a quei tavoli, si giuocassero trecento lire o ven[p. 204 modifica]timila lire, vi fossero dei giuocatori di poveri scudi da cinque lire, o giuocatori da pezzi di cento lire in oro, regnare l'impassibilità più grande, voluta, imposta, forse, ma sorgente, forse, dal medesimo segreto ardore del giuoco. Impassibili, gli uomini di tutte le nazioni, di tutte le età, di tutte le condizioni: impassibili le donne, dalle più giovani alle più vecchie, dalle più brutte alle più belle, dalle più ricche alle più povere, impassibili, esse, che sono così nervose, che amano tanto il danaro, che adorano il giuoco, e che, in fondo all’anima loro, si disperano di perdere e si esaltano nel vincere; impassibili, lasciando passare il soffio del destino sulle loro teste, senza sorridere e senza impallidire.



Ma se tace la voce umana, continuo, continuo, in tutti gli angoli, in tutti i vani, presso ai tavoli e lontano dai tavoli, è il tintinnio del denaro, quel tintinnio cristallino e metallico. Gli scudi d’argento vanno, vengono, saltano [p. 205 modifica]lievemente, rotolano, fuggono sotto i rastrelli, ritornano: le monetine d’oro, biondamente rilucono, in piccole pile, in forti pile, andando e venendo, anche esse, prese e ritolte, riprese e gettate di nuovo, sul tappeto verde, con una curva graziosa e dolce, che le fa cadere proprio sul numero: e, come il colpo è fatto, è un contar di danaro, con un tintinnio più alto, è un formare delle pile di argento, presso i tenitori del banco, delle grosse pile di argento, delle sottili pile di oro: ed è un fare e rifare delle piccole e grosse pile, innanzi ai giuocatori forti, che riuniscono le monete per puntarle: ed è il contare i sette od otto scudi, i tre o quattro luigi dei piccoli giuocatori, che non osano decidersi, e, intanto, ricontano il loro poco denaro: è il cambiare di biglietti da mille franchi in monete d’oro, in plaques da cento lire d’oro; è il cambiare delle monete d’oro in iscudi di argento. Monnaie, s’il vous plait! Pièce s’il vous plait! E, sempre questi scudi, questi napoleoni, fanno un tale andirivieni, si urtano, s’incontrano, tintinnano sempre, con uno squillo vivo, costante, che vi perseguita anche dopo, [p. 206 modifica]anche a pranzo, anche a casa, anche a letto! Certi giorni e certe ore, chissà perchè, forse per la superstizione dei giuocatori, forse perchè vanno a prendere aria, o a far cambiare dicono, la guigne, forse perchè vanno a pranzo, l’andirivieni del denaro è più lento, il tintinnio, sempre seguitando, è più fioco: ma, il breve intervallo termina, il volare delle monete bianche e delle monete gialle, si fa più fitto, più folto, il rastrello fa delle raccolte più larghe, più ricche, talmente ricche, talvolta, che dentro i suoi denti sembra un fiumicello d’oro e d’argento che se ne va, verso la banca, sembra un altro fiumicello d’oro e d’argento, che, spinto dal rastrello va verso coloro che hanno vinto e il tintinnio si fa più alto, più vivido, più puramente cristallino, come la voce istessa del danaro col danaro, del danaro contiro il danaro; e sotto il bagliore delle grandi lampade, quasi, quasi, il fondo del tappeto verde sparisce, e sparisce il nitido giallore dei numeri, e il pezzetto di tappeto rosso che indica la rouge, e non vi è che questo luccicare mite degli scudi, che balzano graziosamente, questo [p. 207 modifica] mite scintillare di napoleoni, che rotolano gentilmente, non vi è che il biancheggiare dei biglietti da mille francesi, questo colore del denaro, niente altro, sotto i vostri occhi. Che sono queste vesti chiarissime ed elegantissime delle donne, che sono mai queste perle, questi smeraldi, questi brillanti di cui esse sono coperte? Voi non vedete che argento, oro e biglietti da mille, vivere, fremere, palpitare, apparire e sparire, come in un sogno favoloso; mentre, sempre più squillante il tintinnio del denaro sale alla volta ricchissima del salone da giuoco, e vi mette negli orecchi il suo trillo sempre più gaio, sempre più trionfante.

Così, dopo un giorno, dopo cinque giorni, dopo dieci giorni, voi avete perduto perfettamente il criterio del danaro e la stima di esso. Anche se il vostro viatico è largo e possa provvedere ai vostri bisogni triplicatamente, vi pare di non aver più nulla in tasca, e che il vostro albergatore vi debba considerare con [p. 208 modifica]occhio sospetto: se giuocate la vostra puntata, vi dà tale un’impressione di meschinità da farvi arrossire: se guadagnate un poco, non osate dirlo: se perdete un poco, neanche osate dirlo: se guadagnate molto o perdete molto, vi è sempre qualcuno, vi è sempre una folla di persone che ha guadagnato o ha perduto più di voi: e, quando avete perduto, la collera, la tristezza non hanno nulla da fare, con la somma fuggita via, ma sono l’espressione irosa e triste di chi è stato accoppato in una lotta: e, quando avete guadagnato, la gioia infantile, puerile, non viene dall’aver guadagnato cento lire, o mille lire, o ventimila lire, ma dall’aver vinto; e, in fondo, col danaro del guadagno, voi non andate in nessun posto, non comperate nulla, ma ve lo guardate, a casa, non con l’avidità dell’avaro, ma col sorriso del vittorioso. E, il grande e il piccolo giuocatore, alla fine della sua giornata, quasi non sa fare i suoi conti, quasi non sa quello che ha perduto, o che ha portato via, e sopra tutto, non ne dice mai la cifra. Il danaro, qui, è una chimera: chimera bianca di argento, chimera bionda [p. 209 modifica]di oro, chimera vestita delle carte seriche dei biglietti da mille, come un abito di donna, chimera che luccica, chimera che tintinna, che squilla, che voi stringete nella mano, e che vi sfugge, che ritorna, che va via luccicando, tinnendo, chimera di cui siete innamorato, ma di cui vi disgustate, chimera galoppante nei cieli infiammati del sogno. Chimera!