Lettere d'una viaggiatrice/Nella città del sogno/Sui «boulevards»
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SUI «BOULEVARDS».
Parigi, settembre....
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Vi è di tutto, su questa brillantissima corona di boulevards: dei larghi marciapiedi per i pedoni e degli alberi floridissimi, alti, curati paternamente, poiché essi ne formano la poesia: e una larga strada, in mezzo, ove ogni genere di veicolo si agita, in un andare e venire vertiginoso, dal pesantissimo omnibus a quattro cavalli e a due piani al sottile velocipede dalla trombetta automatica stridente, dal veloce equipaggio signorile al carretto carico di merce, dall’automobile che vale quindicimila lire al fiacre chiuso o aperto, dal bagherino tirato da un asinelio, al motociclo su cui appare immobile colui che lo cavalca, dal tram elettrico coi fili aerei al tram elettrico con gli accumulatori, all’autobus: tutti i veicoli, di tutte le velocità, carichi di persone, sempre carichi di persone, in una fantasmagoria che vi dà la vertigine.... Chi — parlo di me — ha mai osato attraversare trasversalmente un boulevard, in una delle sue ore più popolose? Eppure, nel centro della via vi sono i rifugi, dei pezzi di marciapiedi a forma ovale, che girano attorno a una lampada elettrica, attorno a un orologio pneumatico, dove la traversata perigliosa si spezza in due: eppure basta che un sergent de ville alzi il suo bastoncello bianco, perchè i cento veicoli si fermino, d’un tratto, solo per lasciar passare una bambinaia con un piccino e non riprendono il loro andare, se il bastoncello non si è abbassato... Ma la vertigine è tale, che voi preferite di gittarvi in uno di quei veicoli, lasciando al vostro cocchiere la cura di distrigarsi: e lo scenario si sdoppia e si moltiplica, intorno a voi, in uno spettacolo che vi riesce sempre e sempre gradito. Vi è di tutto, su questi boulevadrs: chioschi di giornali, vespasiane decentissime coverte di avvisi e di cartelloni, orologi, pali su cui si distendono in liste di elettricità, con lettere luminose le duemila reclames, le duecentomila reclames, pali indicatori, lampade elettriche più grandi e più piccole, e tutto ciò non ingombra, o almeno, sta bene a suo posto, tanta è la vastità e tanta è la praticità con cui si è tenuto conto dello spazio. Vi è di tutto, su questi grandi boalevards: grandi magazzini che arrivano all’altezza del secondo piano: circoli più piccoli e più grandi, che aprono le loro finestre, donde si vedono gli eleganti appartementi: grandi caffè — uno ogni dieci metri — grandi restaurants — uno, ogni sei o sette metri — uffici di giornali dalle grandi insegne, che, di notte, da un minuto all’altro appariscono, ora in color rosso, ora in color lilla, ora in color giallo, facciate di teatro, dalle ghirlande di fuoco: facciate di grandi tables d’hòtes, tutte aperte agli occhi dei passanti: facciate di istituti bancarii possenti, come il Credit Lyonnays, come il Comptoir d’Escompte: insegne di sarti, di sarte, di medici, di dentisti, di fotografi, di ottici, sino ai sesti piani di quelle enormi costruzioni: le insegne dei bouillons Duval dove si può mangiare a prezzo minimo e quelle delle grandissime società di assicurazioni americane: delle vecchie case storiche dove, qualcuno, notevolissimo, è vissuto ed è morto, e delle case nuovissime, dove tutto il tipo della modernità si manifesta. Impossibile di sminuzzare i vasti boulevards, bottega per bottega, casa per casa, insegna per insegna, vetrina per vetrina: impessibile discendere al dettaglio, in un mese, in un anno. Dei parigini vi nascono, vi crescono, vivono e vi muoiono, non avendoli mai sminuzzati, tanto il loro insieme è affascinante e tanto il loro dettaglio è infinito.
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E anche i boulevards del centro — già, l’ho detto, essi solamente esistono pel vero parigino e pel viaggiatore assetato di curiosità — hanno le loro ore alte, in cui tutta la loro espressione vi trascina. Sino alle undici della mattina sono percorsi da poca gente, relativamente: vi si può circolare, con una certa rapidità, senza aver troppe fermate, troppi urtoni, troppi rimbalzi. Dalle undici all’una, la folla vi si fa fitta, folta, sempre più folta, poiché tutti sono usciti di casa per i loro affari, per andare a fare colazione al restaurant o per ritornare a casa loro, per il medesimo scopo: le carrozze vi assumono una andatura più lenta, gli automobili diventano delle carrozze comuni, per sino gli omnibus, persino gli autobus, i cui diritti sono sacrosanti, in questo paese di democrazia, per sino gli omnibus, e gli autobus, cioè le vetture che più trasportano gente, a Parigi sono costretti ad andar piano. Dalle due alle quattro e mezzo, di nuovo poiché ognuno è giunto ai proprii affari, al suo lavoro, al suo piacere, al suo ozio, i boulevards assumono un aspetto più tranquillo, meno affollato. E dalle cinque alle otto pomeridiane, che la loro vitalità si centuplica; ognuno viene via dal suo ufficio, dal suo lavoro, dalla sua casa: ognuno si riposa in carrozza o a piedi, dell’ardente giornata di fatica: ognuno va a passeggiare, a farsi vedere, a guardare, a filare, a flirtare, ad amare: ognuno va a cercare un amico, un parente, una innamorata, un amante, un compagno qualunque, per passeggiare insieme, per pranzare insieme, per divertirsi insieme, ognuno cerca di rifarsi i polmoni e i nervi oppressi, con l’aria, con una passeggiata, con l’amore, con la chiacchiera briosa e magari con una discussione di politica: ognuno è fuori, è via, alle visite, ai thès delle cinque, al Bois, ai grandi giardini pubblici, e per fare tutto questo, tutti quanti passano per i boulevards e vi ripassa tutta Parigi, infine, dalle cinque alle otto pomeridiane. A piedi, impossibile mettere meno di un’ora, per il mezzo chilometro del boulevard des Italiens: in carrozza, si va al passo: ogni tanto una fermatina di tre o quattro minuti, il tempo trascorre, la vita sfugge e ognuno, finalmente, come il crepuscolo si muta in sera, va al suo pranzo, invitato, en ville, o avendo gente a casa sua, poiché il parigino non ama pranzare solo, o a un restaurant con amici, con amiche: ognuno va al suo teatro, alle otto, alle otto e un quarto, poiché, qui, saviamente, i teatri cominciano prestissimo. È mezza notte o quasi. I bottlevards hanno poca gente: voi credete che la loro vita sia finita: eppure essi scintillano di mille luci, di mille réclames luminose, di mille aspetti seduttori. Da un minuto all’altro, i cafés concérts, i teatrini, i concertini, finiscono; la gente in carrozza, a piedi, sbuca da tutte le vie, sui boulevards, passeggia, entra nei caffè, entra nelle grandi trattorie, e nelle piccole, appare a tutte le finestre illuminate, circonda tutti i tavolini sui marciapiedi. È un continuo traboccare di vetture, di pedoni, di gente di ogni età: è l’apparizione di tutte le grandi signore, di tutte le grandi cortigiane, di tutte le grandi e piccole borghesi, è un’ora intensa, vibrante nella notte, in uno scenario fatato, in un trascorrere di mille, e mille attori, che sono anche spettatori: è la vera ora del boulevards, ove la vita di Parigi raggiunge la maggiore altezza di lusso, di eleganza, di ebbrezza!