Lettere d'una viaggiatrice/Nella città del sogno/Arrivando
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ARRIVANDO
Parigi, settembre....
Colui che ha organizzato l’orario del treno direttissimo dall’Italia a Parigi, in modo che il viaggiatore giunga qui fra le sei e le sette del mattino, non era certo, nè un artista nè un poeta. Anzi, quest’orario, non è neppure l’opera di un uomo solo, ma l’insieme dell’opera di molti uomini, alti impiegati delle ferrovie italiane e francesi, direttori delle società degli sleeping cars, direttori di compagnie di navigazione, i quali, alla lor volta, hanno dovuto udire il parere di centinaia di persone, dal ministro dei lavori pubblici all’ultimo tenitore di un buffet di stazione. No, nessuno di costoro ha pensato a colpire la immaginazione del viaggiatore, accarezzarne il senso estetico, a risvegliare, in lui, certe correnti di poesia che nulla può fare inaridire completamente. Ognuno ha pensato a interessi materiali, che riguardano la massima economia di denaro, la massima comodità, e ciò per tutti quanti, per chi viaggia e per chi vive di viaggio, per chi si diverte, viaggiando e per chi lavora, viaggiando: arrivare prestissimo, avendo viaggiato comodamente e senza soverchia spesa, ecco un triplice scopo da raggiungere, in chi ha fatto l’orario: essi non si sono d’altro e di altro non dovevano occuparsi. Nel treno direttissimo vi è lo sleeping car da Roma a Genova, così si ha il piacere di non accorgersi della triste maremma toscana, né dei ventisette mila tunnels, fra Pisa e Genova, e partendo alle due pomeridiane da Torino per Modane, vi dà il bel tramonto, alla frontiera italiana, sulle belle Alpi nostre che, un tempo, verso la Francia, erano delle fortificazioni, ma, che, ora, sono semplicemente una porta, tenuta aperta da mani gentili. La seconda notte, passata dormendo, vi evita di accorgervi del lunghissimo tragitto da Modane a Parigi; vi fa dimenticare che, per arrivare a Parigi, voi dovete attraversare quasi tutta la Francia e appena escito dallo sleeping, ancora pieno di sonno e di sogni, dopo quarantadue ore di tragitto, all’alba del secondo giorno, voi sentite le due sillabe misteriose, quasi mistiche che vi danno un lieve tremito di emozione, siate venuto qui venti volte e abbiate inteso tutto il fascino di questo arrivo, venti volte!
Bene. Tutto è stato accomodato, dalle persone che curavano il loro interesse e il vostro, perchè il viaggio sia meno faticoso, meno noioso, meno inquieto, in quelle scatole rettangolari, in quelle casse oblunghe, in quei forni di legno, di metallo e di velluto, che sono le carrozze ferroviarie. Ebbene, senza pensarci, senza volerlo, coloro che vi hanno fatto giungere a Parigi fra le sei e le sette del mattino, fecero, forse, per prima e l’ultima volta, nella loro vita, opera di artisti e di poeta. Credettero fare per voi solo il necessario alla vita fisica del viaggiatore, e inconscientemente diedero alla vita dello spirito, uno spettacolo di suggestione possente.....⁂
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Ma chi sono, dunque, questi sempre più numerosi spettri d’uomini e di donne, che a questa folla silenziosa che va, che va, che viene, continuamente, che si disperde da tutte le parti, che da tutte le parti arriva, che cammina presto, taciturna, né triste, né lieta, gente di ogni età e di ogni condizione, gente di ogni beltà e di ogni bruttezza, gente che va a piedi, in massima parte, ma che già va riempiendo le botteghe, i portoni, le porte, che attraversa i ponti, che sale sugli omnibus, che rasenta gli alberi delle vie e i chioschi dei giornali, che non si ferma, non chiacchera, non blatera? Chi sono tutti costoro, dove vanno, donde vengono, che pensano, che vogliono, che fanno?
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uno in un grande palazzo e l’altro al canto di un passage, a strillare la loro merce, dal commesso di negozio che porta le chiavi del magazzino, al cameriere di un grande caffè dei boulevards, dalle serve che già scendono a fare la spesa ai mille, ai centomila impiegati delle centomila organizzazioni parigine, dai fiorai alle cucitrici, dai muratori ai conduttori dei trams elettrici, da chiunque è una mano che lavora a chiunque è una mente che dirige il lavoro, da chiunque è umile nella sua fatica come a chiunque ne è superbo, tutti, costoro, alle sette, alle otto della mattina, maestri e scolari, telegrafisti e telefoniste, venditori e compratori, uomini di cervello e di braccia, povere donne dalle agili e instancabili dita, sono quelli che a Parigi lavorano, sono tutta Parigi, sono Parigi. Ah rue de la Paix dormirà, in silenzio, sino alle dieci; i boulevards saranno spopolati, sino alle undici, l’avenue de l’Opera, la spina dorsale di Parigi, non avrà gente, sino all’ora di colazione, non importa, quelli son i quartieri e le vie del lusso, del piacere, della grande esistenza vibrante e febbricitante, non importa, non importa, quelli sono un’altra cosa. E, forse, sono la stessa cosa. Se questi lavoratori, queste lavoratrici non rompessero, ogni mattina, il velo della nebbia, per andare alla loro opera quotidiana, il lusso, il piacere, la grande vita che inebbria, mancherebbero delle loro ruote principali. Si; forse, sono la stessa cosa. Questa sera, quando tutti i milioni di fiammelle avranno trasformato Parigi in uno spettacolo di realtà, di bellezza, di grandiosità, che a nulla rassomiglia, che niuna penna descriverà giammai, quando tutto scintillerà, i cristalli, le luci, le dorature, gli occhi delle donne, e i loro gioielli, quando non si circolerà più che a stento, fra una folla gaia, frettolosa, sorridente, gentile ed elegante, fra le trombe degli automobili, delle biciclette, dei trams elettrici, quando tutto vi sedurrà e vi solleverà il cuore, in un sospiro di pienezza di vita, ecco, gli stessi volti della mattina, vi appariranno. Diversi! Erano lavoratori e lavoratrici, sono uomini e donne. Hanno lavorato, hanno compito il loro dovere con energia, con pazienza, con coraggio, con gusto, con arte: ora, vivono, amano, si divertono, godono. Hanno cangiato volto e vestito. Hanno guadagnato la loro giornata, la loro vita, il loro piacere... Questo è il loro segreto. E il solo, l’unico, il grande segreto di Parigi... il lavoro!