Lettere autografe edite ed inedite di Cristoforo Colombo/Avvertenza degli editori

Cristoforo Colombo (Correnti)

IncludiIntestazione 21 gennaio 2014 100% Letteratura

Cristoforo Colombo
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AVVERTENZA DEGLI EDITORI

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I monumenti sono ai martiri della scienza e delle grandi scoperte quel che le messe alle anime del Purgatorio: un acceleramento della loro santificazione, a queste in Paradiso, all’altre nel Valhalla della memoria dei popoli pentiti, che, in tali occasioni, hanno graziose Valkirie a versar loro idromele e birra in copia; e con tanta soddisfazione che ei ricominciano a far nuovi martiri per aver nuove feste. Ecco Genova, ecco la città di Cardenas nell’isola di Cuba elevar monumenti a Colombo; la madre e la figlia a dir così, essendo Cuba per lui nata alla luce dell’incivilimento cristiano ed europeo. Dopo 370 anni la poetessa Avellaneda compose l’inno di suffragio allo spirito del grand’uomo, che è uno dei pochi a cui sian possibili e perdonabili le distrazioni in cielo, avendo quaggiù un mondo di suo, che va vincendo l’antico, come nella ricchezza, così nel furore e nella follia.

E noi ancora, secondo la frase dei nostri [p. viii modifica]muratori di civiltà, portiamo la nostra pietra all’edifizio, e pubblichiamo le sue lettere autografe, mandando loro innanzi un discorso, che crediamo valga facilmente assai più che i versi dell’Avellaneda, o di quanti altri poeti ed oratori si sgolano ad annegare nelle loro note il genio degli eroi. Che fanno qui queste cicale direbbe Colombo come Bruto nel Giulio Cesare di Shakspeare,

What should the wars do with these jigging fools?

le guerre della scienza e della vita eroica; ma crediamo che il severo profondamente poetico spirito di Colombo accetterebbe volentieri l’elogio che, al risorgere delle speranze italiane, gli tesseva in questa nobile città Cesare Correnti, invocante ad auspici e protettori tutti gli Dei della nostra patria.

Cesare Correnti è una di quelle felici intelligenze, proprie d’Italia, che associano insieme mirabilmente la scienza e la poesia. Egli andò dietro a Colombo con l’intelligenza non diremo del vecchio Toscanelli, ma del grande Humboldt e con l’amore di Ferrando Colon, il figlio della cordovese, che Roselly de Lorgues con tanto affetto fa moglie legittima e nobile. Veduto e studiato ch’ebbe tutti i suoi andamenti e tutta la sua vita, egli, con piena dottrina ed efficace eloquenza modellò e fuse [p. ix modifica]l’imagine a cui invidieranno i Piquer e i Morell di Cardenas e la valente schiera di Genova.

Meglio ancora che la parola inspirata del Correnti, varrà la voce stessa di Colombo raccolta nelle sue lettere che noi pubblichiamo. La prima a Raffaele Saxis è come nuova, per gli studj postivi in nostro favore dall’egregio signor Francesco Longhena e dal valente paleografo Antonio Ponzio, i quali in un sugoso e ben dedotto proemio ne dan notizia. La seconda, la terza, e la quinta le traemmo dal Codice-Colombo-americano (Genova, Ponthenier, 1823), seguendo in tutto il lavoro del dotto editore Gio. Battista Spotorno.

La quarta lettera fu per noi tratta dalla edizione Remondiniana di Bassano 1810, procurata dal cav. ab. Morelli, già bibliotecario regio in Venezia. È scritta al re di Spagna Ferdinando V e alla regina Isabella, dalla Giamaica addì 7 luglio 1503, e fu stampata in spagnuolo e in italiano; ma era rimasta occulta ai principali scrittori moderni intorno al Colombo, finchè un esemplare dell’edizione italiana diede in mano al Morelli, che ne discorre così: "È il volumetto composto di carte otto, l’ultima delle quali da ambe le facce è vuota, in forma di quarto, in carattere semigotico, come dire si suole, e porta a guisa di frontispizio questo titolo: Copia de [p. x modifica]la Lettera per Columbo mandata a li Serenissimi Re et Regina di Spagna: de le insule et luoghi per lui trouate. Nel rovescio della carta che questo titolo contiene la seguente lettera dedicatoria del traduttore si legge; la quale secondo la scrittura originale, onde serva di saggio del testo, do ricopiata:

Constantio Bayuera Bressano

Al Magnifico et Clarissimo Francesco

Bragadeno Podesta di Bressa S.


Alli anni proximi passati mentre io era in Spagna: tra le altre cose admirande che alli tempi nostri sono trouate: intesi anchora de la nauigatione de Columbo Vice Re di Spagna et gouernatore de le insule Indie per lui nouamente trouate per una lettera per lui andata alle Sacra Maiesta del Re et de la Regina de Spagna. La quale lettera per le cose mirabile che in essa se contengono hauendo io traducta de Hispana in nostra Italica lengua: et uolendola pubblicare sì per seruirne alchuni miei amici: che cum grande instantia me la domandauno: como anchora per fare cosa grata a tutti quelli che sono desiderosi de cose noue: et degne da essere lecte et sapute: l’ho dedicata a tua Magnificentia la quale scio se delecte de historie degne: et presertim noue: quale [p. xi modifica]questa, marauigliosa et inaudita. Poi anchora per monstrarli lamore mio et seruitu in epsa si per li beneficii soi in me como per le grande uirtute: de quale e ornatissima. Quale historia se piu longa fosse: piu uolentieri l harei a tua Magnificentia dedicata. Ma siami licito excusarmi con quello dicto. Verum et Diis lacte rustici: multaeque gentes supplicant: et mola tantum salsa litant; qui non habent thura. Vale.

Viene poi la lettera del Colombo con quel medesimo titolo, che nella presente ristampa v’è premesso, e nel fine questa data si trova: Stampata in Venetia (a nome de Constantio Bayuera citadino di Bressa) per Simone de Louere. a di 7 di Mazo. 1505. cum priuilegio. E finalmente intorno al titolo, che in quella stampa la lettera porta, s’aggiunge così: Aduerte lectore a non legere Columbo Vice Re di Spagna: ma legerai solum Vice Re de le insule Indie".

Questa lettera è importantissima imperocchè, dice il Morelli: "a conoscere l’epoche della vita del Colombo, e le vicende di essa, a meglio intendere le sue teorie e opinioni cosmografiche, le pratiche di navigazione che teneva, la maniera di suo pensare in fatto di religione e di vari altri soggetti, e a più precisamente sapere ciò che risguarda l’ultimo viaggio, da lui fatto negli anni 1502 e 1503, lumi particolari e [p. xii modifica]notizie di osservazione degnissime schiettamente e nella più autentica forma ne presenta”.

Rispetto al modo tenuto dal Morelli nel ristamparla, egli dice: “Io ne ho solamente ridotto il testo ad ortografia, non facendovi cambiamento d’importanza, nè alterandovi frasi o voci: li nomi propri, i quali nelle vecchie scritture vogliono ritenersi assolutamente, ho ricopiati; e così pure le date dei tempi, o con le lettere o con li numeri arabici, come nella prima stampa trovavansi, affinchè di qual peso essere possano meglio si vegga, ho riprodotte: in somma, non facendo mai cambiamento nella sintassi, ho tolta soltanto alla dicitura quella rozzezza ch’ella seco portava, e di cui una mostra nella Lettera di dedicazione ognuno vede.”

Noi seguimmo il Morelli nella grafia. Delle sue annotazioni trasceglieremo o smembrammo il meglio; vale a dire quanto serviva all’illustrazione del testo, non ad erudizione curiosa e più remota da quello.

Pochi scritti, come le lettere del Colombo, ci fanno figger lo sguardo nel processo creativo dello spirito che, secondo la mirabil parola di Milton, cova il vasto abisso. Si vede l’idea a cui la fede è l’amianto che le fa sfidare le fiamme delle persecuzioni. Si sente il dolore del grande intelletto, che crea gemendo e consolando.

[p. xiii modifica]Fernando, figlio di Colombo, cercò nel nome del padre i prognostici della sua vocazione e grandezza. Cristoforo; il nome del santo che porta Cristo a traverso l’acqua; ei pianta la croce al di là dell’Atlantico; Colombo; la Colomba dell’arca; ubbie raccolte e comentate dal cattolico Roselly de Lorgues. Ma il fatto è che questo nome non ebbe fortuna. Amerigo nomina l’America, e tardi, tardi assai, una parte fu detta Colombia. I poemi fatti sotto l’invocazione del suo nome non attecchirono, dall’invido Stigliani all’elegante Costa; gli scritti pieni del suo spirito, di Chateubriand, di Humboldt, riuscirono maravigliosi.

Di questo Fernando noi vogliamo un giorno ristampar la vita che scrisse piamente del padre, e che tanti hanno posto a sacco, senza poterla render inutile. Egli fu il parelio del padre, e piace vedergli intorno tal luce.

“Il 12 luglio 1536 morì in questa città (di Siviglia) Fernando Colon figlio dell’ammiraglio Cristoforo Colombo, personaggio insigne per le sue alte qualità e pel suo sommo valore nell’armi e nelle lettere. Egli era nato a Cordova da madre nobile; suo padre essendo rimasto vedovo il 29 agosto 1487, secondo resulta dai documenti di cui la nostra santa Chiesa conserva gli originali, egli fu, nella sua prima [p. xiv modifica]giovinezza; paggio della regina cattolica, donna Isabella, e poi del principe don Giovanni. Egli seguì parecchie volte suo padre e suo fratello, l’ammiraglio don Diego, nelle Indie, ove patirono crude fortune, e dipoi passò con l’imperatore in Italia, in Fiandra ed in Allemagna. Nel corso di questi viaggi e d’alcuni altri che imprese di per sè egli percorse tutta l’Europa ed una gran parte dell’Asia e dell’Africa, s’arricchì di sapere e di bei libri, di cui raccolse più di ventimila elettissimi in questa città ove trapassò quietamente gli ultimi anni della sua vita.”

Così lasciò scritto nelle sue famose cronache di Siviglia Ortiz di Zuniga, citato da Antonio di Latour, nei suoi Studj sulla Spagna (Parigi, 1855), ove descrive la biblioteca colombana e il sepolcro del suo fondatore con vivacità francese.

“Un giorno, egli dice, che io attraversava la cattedrale, vidi dietro al coro una larga lastra di marmo. Da ciascuna parte di questa tomba vi era un’altra lastra più piccola, sulla quale era sculta una galea coi suoi rematori.... Sul marmo di mezzo si scorgeva un globo terrestre intorno al quale si leggevano due versi spagnuoli che dicevano: “Ai re di Castiglia e di Leone, Colombo diede un nuovo mondo.” [p. xv modifica]Dubitai un istante calcar le ceneri dell’eroe. Ma presto mi ricordai che Cristoforo Colombo, morto a Valladolid l’8 maggio 1506, era stato sepolto a San-Domingo, donde la sua salma era passata all’Avana. Un’iscrizione spagnuola posta sotto alla sfera m’insegnò subito che il sepolto era il figlio di Cristoforo, don Fernando Colon. Alcuni distici latini sculti al piè della pietra composti dal medesimo Fernando dicon così:


Aspice quid prodest totum sudasse per orbem
   Atque orbem patris ter peragrasse meum,
Quid placidi Bœtis ripam finxisse decoram,
   Divitias genium post habuisse meum,
Ut tibi Castalii reserarem numina fontis
   Offerremque simul quas Ptolemeus opes,
Si tenui saltem transcurrens murmure saxum
   Nec patri salve, nec mihi dicis ave?

È da leggere nel Latour tutto il capitolo della Biblioteca. Egli vide un trattato di astronomia e cosmografia, composto da un cardinale, maestro di Gerson. Questo libro era stato di Cristoforo Colombo, che l’avea coperto di note marginali scritte con mano ferma e carattere minutissimo. La parte cosmografica e geografica era gremita di comentarj e rettificazioni, più rade nella parte teologica ed astrologica. Fa stupore la vasta erudizione di Colombo. Tutte le sue postille sono indicazioni [p. xvi modifica]sicure, dotte rettificazioni, osservazioni delicate. A capo al libro è una nota di mano di Washington Irving. Vide poi il Latour quello scartafaccio scritto di mano di Colombo di tutte le profezie ch’egli aveva raccolto dalle Sacre Scritture e dagli autori profani intorno alla scoperta ch’egli volgeva nell’animo.

Notevole è questo attenersi dei nuovi edificatori agli addentellati del passato, e specialmente alla parola, che l’avvenire più che l’autorità erge ed illumina a profezia. Nel medio evo non bastarono più i passi, per quanto talora fossero stiracchiati, delle sacre carte, già raccolti dagli evangelisti per chiarire la missione di Cristo, che non aveva bisogno di tali aiuti, ma si misero a sacco tutti i libri e tutti i vaneggiamenti profani dell’antichità. Così Colombo afferrò i presagj degli antichi, ovecchè gli venissero a mano; e ne avvalorò l’idea della sua missione, e forse abbagliarono assai più certi suoi avversarj che le sue induzioni e ragioni non li convincessero.

E Fernando Colombo notava in margine a quel passo di Seneca il tragico, che presagiva un nuovo mondo, che questa profezia era stata compita dal padre il 12 ottobre 1492. Non veni solvere, sed adimplere.


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