Lettera pastorale per la Quaresima 1912 (Signori)/Seguiamo Gesù Cristo

Seguiamo Gesù Cristo

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Comunicazioni
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GIOSUÈ SIGNORI

Dottore in S. Teologia ed in ambe le Leggi
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA SEDE APOSTOLICA
VESCOVO DI FOSSANO E CONTE



Al Venerabile Clero e Diletto Popolo
della Città e Diocesi
salute e benedizione in Gesù Cristo Signor Nostro

VENERABILI CONFRATELLI E FIGLI DILETTISSIMI

Se le varie e molteplici testimonianze di religiosa pietà, che mi sono state offerte durante la Sacra Visita Pastorale, che colla grazia del Signore sto per condurre felicemente a termine, hanno recato all’animo mio la più dolce e bramata consolazione, non hanno però potuto togliermi un doloroso pensiero cagionato da un fatto, che, pure in tanta fede e frequenza dei fedeli alla casa di Dio, non è sfuggito al mio occhio. Come ad un padre affettuoso le ottime doti della massima parte dei suoi figli non valgono a distrarlo dal triste pensiero di altri, fosse anche di un solo, che si trovano sulla via della perdizione, e non corrispondono alle cure paterne, così il mio cuore si attrista e piange ripensando alla porzione del gregge, ancorchè minima, che, disprezzate le grazie del Signore, non si incammina pel sentiero del bene e della virtù. Forse che, o Venerabili Confratelli e Figli Carissimi, tutta intera la Città e Diocesi ci ha presentato il consolante spettacolo da [p. 2 modifica]me sopra accennato? Forse che in occasione della Sacra Visita Pastorale ci fu dato di vedere tutti i fedeli cristiani di ciascuna Parrocchia approfittare della grazia del Signore nell’ascoltare attentamente la divina parola predicata da zelanti Sacerdoti, nel cercare la pace del cuore nel tribunale di penitenza, nel rinvigorire la vita dello spirito col pane degli Angeli?

Ah! purtroppo si è veduto e si è saputo che anche fra noi, sono pochi è vero, ma pure non mancano di quelli, che non prendono parte alle pubbliche preghiere del nostro popolo devoto, che da tempo non domandano il perdono di Dio anche quando la Madre comune la Chiesa ne fa precetto; non mancano di quelli, che, tuttodì occupati in faccende svariatissime, neppur nelle circostanze più solenni del paese si scuotono, o rivolgono, non dirò un atto, ma nè anche un pensiero a quella fede che ebbero la sorte di succhiare col latte. Viviamo o VV. FF. e FF. DD. un’età in cui, talvolta per momentanea passione, tal’altra per politica, quando forse per malizia dei tristi si cerca il divorzio da Dio, si vogliono separate le ragioni del Cielo dai pretesi diritti dell’uomo e si arriva perfino al massimo dell’empietà che dichiara guerra a Dio stesso, e se ne vuole far dimenticare il nome. E questa congiura si va estendendo ovunque, per ogni angolo della terra; e quindi nessuna meravigia che pur tra noi se ne veggano gli spaventevoli effetti nel disprezzo o per lo meno nella indifferenza per tutto quanto si attiene a Dio, alla religione, alla vita cristiana.

Di questa vita cristiana appunto voglio io parlarvi, non per darvene una completa nozione, per il che si richiederebbe un intero volume; ma solo per dirvi che essa consiste nella imitazione e sequela di Gesù Cristo; e noi come cristiani dobbiamo più che mai nei tristi tempi che corrono tenere ben alta la [p. 3 modifica]dignità, cui siamo stati innalzati pel santo Battesimo. E di buon grado vi scrivo di questo argomento, che tanto mi sta a cuore e che reputo della suprema importanza per la ristaurazione di ogni cosa in Cristo, perchè il tempo quadragesimale, cui andiamo incontro, è principalmente dalla Chiesa ordinato alla rinnovazione del sentimento cristiano sia colla preghiera, col raccoglimento e col digiuno, sia ancora colla larga dispensazione della divina parola; in cui, gli animi illuminati da essa, si ritemprano e si dispongono a partecipare in larga misura dei benefici della redenzione e delle sante gioie pasquali, che sono pel cristiano le maggiori solennità dell’anno. Piaccia al Signore che come a tutti i miei Diocesani, senza eccezione, sono rivolte le mie povere parole, così a tutti siano esse di vera vita cristiana e di eterna salvezza pel cielo.




La parola generica cristianesimo, ognuno di noi lo sa, indica la Religione cristiana considerata nei suoi dogmi, nella sua morale, nei suoi riti, nelle sue relazioni colla umanità, nella sua storia e negli uomini che la professano; comprende quindi l’insieme della grande opera di Gesù Cristo; il Quale, abbracciando tutto il genere umano, lo risollevò alla sua dignità traendolo dal degradamento intellettuale e morale in cui l’aveva precipitato il paganesimo. I seguaci di questa Religione, che riconosce per unico autore e capo supremo il Figlio di Dio, furono fin dal principio chiamati cristiani. La prima volta che venne usato questo nome fu in Antiocchia, pochi anni dopo della ascensione di Gesù Cristo al cielo, come è accennato negli atti apostolici al cap. XI, v. 26, con le parole: ita ut cognominarentur primum Antiochiae discipuli Christiani. Avanti questo tempo i seguaci di Gesù Cristo erano detti comunemente discepoli, [p. 4 modifica]credenti, fratelli, santi, fedeli; e presso i pagani si appellavano anche Nazzareni o Galilei perchè Gesù Cristo era di Nazzaret di Galilea. In seguito vennero chiamati semplicemente cristiani. Io sono cristiano, rispondevano francamente ai persecutori della novella religione i martiri, per indicare che erano seguaci di Cristo, protestando in tal modo di essere disposti a difendere la loro fede colla morte stessa. Noi poi fino dai più teneri anni, studiando il catechismo, abbiamo appreso che questo gloriosissimo nome vuol dire appunto seguace di Gesù Cristo.

Seguire quindi Gesù Cristo, mantenerci a Lui fedeli, stringerci sempre più a Lui con indissolubile nodo, affinchè sotto la sua divina protezione, progredendo di virtù in virtù, cresciamo e ci trasformiamo in Lui, fino a raggiungere quella perfezione che metta le membra del corpo mistico in degna corrispondenza di strettissima unione col loro divin Capo Cristo Gesù, alla immagine del Quale, secondo l’espressione di S. Paolo, è necessario che noi siamo conformi; tendere a questa divina conformità, operare continuamente per conseguirla, ecco il fine di noi cristiani, ecco il dovere che abbiamo assunto per mezzo del santo Battesimo. Siete figli di Cristo, esclama S. Paolo, siatene adunque seguaci imitatori. Estote ergo imitatores Dei sicut filii carissimi, (Eph. cap. V, v. 1). Da questa imitazione e sequela dipende ogni nostro bene temporale ed eterno; nè per noi è possibile trovare un modello più degno da ricopiare od onore più alto da conseguire.

Se noi, o VV. FF. e FF. DD., consideriamo Gesù Cristo come Verbo di Dio, splendore della sua gloria e figura della sua sostanza, che le cose tutte sostiene con la sua possente virtù e siede alla destra della Maestà Divina; se leviamo il nostro sguardo a Lui, Sapienza eterna del Padre e Re immortale dei secoli, a cui si [p. 5 modifica]deve ogni onore ed ogni gloria in cielo e in terra dagli Angeli e dagli uomini, egli è certo che il pensiero delle infinite sue perfezioni ci toglie ogni speranza di pur tentare il cammino verso quella inarrivabile sublimità. Ma questo Figlio di Dio è disceso dal Cielo... e si è fatto uomo; il Verbo eterno si è fatto carne ed abitò in noi, e colla umanità assunta ipostaticamente nella divina Persona ha coperto gli splendori della divinità, ed ha formato come uno specchio, che riverbera con raggi assai più miti le perfezioni divine. Di guisa chè queste senza nulla perdere del loro carattere divino si sono umanizzate in Gesù Cristo; e rendute così pure accessibili all’uomo possono stampargli nell’anima le celesti sembianze di Colui, che volle chiamarsi il Figlio dell’uomo perchè l’uomo, ricopiando in se le divine perfezioni, divenisse figlio di Dio, e così potesse raggiungere quella sommità di perfezione dell’Eterno Padre a cui deve tendere secondo il consiglio: Estote ergo vos perfecti sicut et Pater vester coelestis perfectus est. (S. Math. cap. V. v. 48).

Gesù Cristo meditato nella sua vita di Uomo-Dio si presenta a noi come un tesoro di luce, di purezza, di virtù, di bellezza, di soavità con le più splendide attrattive che si possono mai ideare da intelligenza creata. Ogni parola, ogni atto, ogni passo della sua vita privata o pubblica è un miracolo, un insegnamento, un esempio; o meglio in ogni istante della sua esistenza Egli si presenta a noi come sia tutte queste cose insieme, che ci obbligano a seguirLo, non saprei se più per sentimento di ammirazione o per forza di amore. Osservate. Egli comparisce fra gli uomini e il mondo anche nella stagione più cruda ed agghiacciata si commuove al canto degli Angeli e manda i pastori a fare adorazione al presepio; e il cielo ancorchè oscuro e nebuloso si rischiara alla stella che invita i Magi ad [p. 6 modifica]uscire dalla reggia per portarsi alla capanna di Betlemme. Viene sulla terra senza avere una pietra sui cui riposare il capo, e passa la vita facendo del bene a tutti. Risana le membra ai paralitici, purifica i lebbrosi, raddrizza i storpi, illumina i ciechi, rende l’udito ai sordi, la favella ai muti, la sanità ai languenti, la vita ai morti. Ai poveri, fino allora disprezzati, predica la buona novella, ai ricchi svela i tesori della carità, ai potenti insegna a non opprimere i deboli, ai peccatori annunzia il perdono, alla Maddalena che piange ai suoi piedi rimette i peccati, all’adultera in pericolo di essere lapidata condona la pena e la colpa intimandole di non peccare mai più, al ladrone pentito promette e dà il Paradiso, e prega perfino il Padre di perdonare a coloro che lo hanno messo in croce.

I miracoli poi di Gesù Cristo quando si studino senza pregiudizio, e con vero spirito di fede e di schietta rettitudine, mentre provano che Egli diceva la verità quando si proclamava Dio, e sono quindi la più splendida testimonianza della sua divinità, rivelano altresì un potente amore a trarre ogni cosa a sè. Leggete quanto in proposito si trova descritto nel Santo Vangelo, e troverete come Gesù Cristo in ogni luogo, ad ogni passo opera miracoli, ora colla pietà di uno sguardo, ora colla dolcezza di una parola, quando col tocco della sua mano, quando ad un semplice cenno di sua volontà; ed ogni miracolo che Egli compie è un beneficio che dispensa con bontà e dolcezza divina. Non si trova necessità dell’anima e del corpo cui Egli non soccorra colla sua virtù; e spesso per effetto della sua immensa carità vede il bisogno dove nessun altro lo vede, e col suo infinito amore previene ancora le domande dei bisognosi.

Ma che cosa dirò degli insegnamenti, che Gesù Cristo con tanta affettuosa bontà propone agli uomini per attirarli alla sua sequela? Riaprite il Vangelo e vedrete [p. 7 modifica]che la sua parola è un balsamo che scende nei cuori addolorati, è una luce ai ciechi, una dolcezza agli afflitti, un richiamo agli erranti, un conforto a tutti. Le turbe lo seguono continuamente, nè sanno saziarsi di ascoltare la dolce parola che esce da quella bocca divina; i Dottori della legge ne rimangono altamente ammirati e gli Scribi ed i Farisei nella stessa loro malignità tentano invano di coglierlo in fallo. Oh! come sono semplici e popolari quegli insegnamenti! Ma in quella semplicità e popolarità voi trovate le verità più sublimi della sapienza divina, in modo che gli uditori stuperfatti sono costretti ad esclamare: Non si è mai inteso a parlare così.

Nella sua vita Egli diffonde intorno a sè una viva e soave luce di esempi di virtù che mai fu veduta l’eguale. Tutti i suoi atti, il suo contegno, la sua persona sono piene di maestà e di decoro e spirano un’innocenza e purezza di paradiso: la sua condotta è così pura ed immacolata che sfida tutti i suoi nemici ad accusarlo di qualche colpa: ma essi ammutoliscono, nè osano levare taccia di sorta contro di Lui: Quis ex vobis arguet me de peccato? (Io. cap. VIII, v. 46). Nella pratica della virtù poi non segue il metodo degli altri uomini, che insegnano senza operare: Egli opera prima e poi conferma con la parola l’esempio della propria vita. Laonde studiando noi la sua vita non possiamo vedere se l’umiltà, la pazienza, la carità, l’obbedienza, la dolcezza, la mansuetudine ci vengano meglio insegnate dalla sua parola o dalla sua vita tanto la parola e la vita furono in Lui una cosa sola.

«Ma ciò, scrive in proposito un pio e dotto autore, che mi apparisce più ammirabile nell’esempio di Cristo è questo. Gesù Cristo è santo, innocente, segregato dai peccatori; piuttosto tipo in sè e perfezionamento del primo Adamo innocente, anzichè del secondo colpevole. La sua vita quindi, naturalmente parlando, [p. 8 modifica]sarebbe dovuta riuscire meglio esempio dell’uomo posto nella beata condizione dell’innocenza anzichè dell’uomo che si agita tra le angustie, le incertezze e le miserie della natura contaminata e peccatrice. Ma tanta fu grande la sapienza, tanto smisurato l’amore di Gesù, che Ei volle essere e riuscì difatti, tipo ed esempio dell’uomo nella nuova e dolorosa condizione in cui l’aveva gettato il peccato. Nè la mansuetudine, nè la mortificazione, nè il sacrificio, nè l’umiltà sarebbero state nell’uomo innocente quali dovevano essere nel colpevole; anche tenendo per certo, com’è, che queste virtù non sarebbero punto mancate allo stato innocente e beato in cui Dio l’aveva posto. Ma Gesù pel suo amore infinito abbassatosi sino alla similitudine del peccato e fattosi piccolo coi piccoli, povero coi poveri, debole coi deboli e tutto a tutti ci dette esempi tali e così opportuni che noi peccatori e miserabili possiamo e dobbiamo anzi in tutto imitarlo. Laonde per essere perfetti, e perfetti dopo il peccato, basta che imitiamo e guardiamo quel benefico e dolcissimo Gesù, che mai non conobbe, nè potrà conoscere peccato».

E da Gesù noi o VV. FF. e FF. Carissimi possiamo ben imparare tutte queste virtù. Abbisogna a noi l’umiltà? Ascoltiamo Gesù e guardiamo a suoi esempi. Discite a me quia mitis sum et humilis corde..... (Math. cap. XI, v. 29). Contempliamolo nascere in una mangiatoia, vivere poveramente nella fatica e negli stenti, piangere per le sciagure umane, circondarsi di gente volgare, ammaestrarla pazientemente e farne dei discepoli innanzi ai quali si inginocchia e lava i loro piedi: contempliamolo oltraggiato in modi orrendi, trattato da malfattore, schiafeggiato dagli sgherri, beffato da Erode, condannato da Pilato e tacere: osserviamolo come Egli fugge quando lo vogliono far re e va incontro ai carnefici quando lo cercano per farlo morire in croce. Tutte [p. 9 modifica]queste cose pel mondo, che non è capace di apprezzare le divine grandezze nelle umiliazioni del Figlio di Dio fatto uomo, sono una stoltezza; ma a noi cristiani di mente e di cuore devono far sentire tutto il profumo di questa divina umiltà. Ci abbisognano lezioni ed esempi di mansuetudine? Guardiamo a Gesù benigno con tutti, diffondere colle parole e colle opere una pace che edifica, che consola. Voi non lo sentite mai aprire la bocca ad un lamento nemmeno quando è maltrattato: e se l’apre i suoi accenti sono così dolci e commoventi da intenerire i cuori più duri.

Siamo noi oppressi dalle tribolazioni? Meditiamo Gesù Cristo nella sua passione e da Lui impariamo a sopportare la croce dei patimenti che accompagnano la nostra vita dalla culla alla tomba. Nel dolore più che in qualunque altra cosa mi pare che Egli si presenti a noi imitabile. Chi di noi infatti si rifiuterà di patire quando pensi a Gesù, l’uomo dei dolori, reso una sola piaga dalla cima del capo alla pianta del piede, fatto obbediente fino alla morte e morte di croce? Egli ci dice: Venite a me tutti voi che siete affaticati e aggravati, e io vi ristorerò. Prendete sopra di voi il mio giogo, e imparate da me, che sono mansueto e umile di cuore e troverete riposo alle anime vostre. Imperocchè soave è il mio giogo e leggero il mio peso. Prendete la croce e seguitemi; perchè chi non prende la sua croce e mi segue, non è degno di me. Ora non è cosa dolce dividere, a così dire, le nostre pene con quelle di un Dio? E la imagine sacratissima di Gesù, che spira l’anima sopra il patibolo della croce per ridonarci la celeste felicità e par ci stenda le braccia per chiamarci a sè, non è essa il nostro più dolce conforto sul letto di morte e il più sicuro ricordo della nostra speranza? Il dolore che è pena del peccato fu mutato da Gesù Cristo in rimedio contro il peccato stesso, e però da castigo per [p. 10 modifica]noi è divenuto tesoro, da strazio dolcezza, da maledizione benedizione, da eccitamento al male istrumento al bene. Mentre avanti il peccato di Adamo nella natura innocente lo stimolo al bene era il piacere, dopo il peccato, nella natura colpevole, lo stimolo al bene è il dolore: non per sè quasi che il dolore abbia mutato natura, ma perchè Gesù Cristo chiaramente ed autorevolmente colla parola e coll’esempio ci ha insegnato ad accogliere i patimenti, le tribolazioni, le croci, in una parola il dolore non come duro retaggio, ma come salutare espiazione, non come severo castigo, ma come imitazione della vita di un Dio, non come giogo insopportabile, ma come modo di più intima unione con Lui. Alla considerazione infatti della passione di Gesù Cristo il vero cristiano non sa più concepire la virtù vera senza il dolore: confonde il dolore col sacrificio e coll’amore e gli pare impossibile di poter amare senza soffrire per la persona amata. Ed ecco perchè nel cristianesimo ammiriamo delle anime, le quali si mostravano pronte a rifiutare la vita se questa non fosse stata per esse un continuo martirio per amore di Cristo e a Lui chiedevano bramosamente o di patire o di morire: aut pati aut mori; ed altre ancor più generose per amor del patire domandavano un altro poco di vita: pati non mori. Ed è per questo che ogni cristiano che sia degno di tal nome va ripetendo con S. Paolo: Io non voglio d’altro gloriarmi che della croce del mio Signore Gesù Cristo. Mihi autem absit gloriari, nisi in cruce Domini nostri Jesu Christi. (Ad Gal., cap. V, v. 14).

Deh! abbracciamo ancor noi questa croce che dal mondo è creduta stoltezza o vergogna, mentre, è amore e sapienza perchè ci viene porta da Colui nel quale sono tutti i tesori della scienza e della sapienza di Dio, dalla cui pienezza noi tutti possiamo ricevere inestimabili dovizie. Non andiamo dietro alle aberrazioni degli [p. 11 modifica]uomini, ma studiamo le pedate del nostro celeste Capitano e seguiamolo caminando sulla via che Egli ci ha insegnata e sulla quale ci precede; ricordandoci che chi segue altra via cammina nelle tenebre e non sa dove vada; laddove sulla via di Cristo cammina sicuro. Andiamo dietro a questo lume della vita, il quale con le sublimi virtù e più che tutto colla passione e morte sua ci ha trasportato dal regno delle tenebre a quello della ammirabile sua luce, affinchè liberi dal peccato e fatti servi della giustizia e della verità, come figli della luce, camminiamo sul sentiero di Dio fino a raggiungerlo là dove Egli ci aspetta per premiare la nostra fedeltà, farci riposare della fatica, sebben dolce, di avere seguito Gesù sulla strada del Calvario e coronarci su quel trono di gloria preparato fino dalla eternità a quelli che egli ha predestinato a farsi conformi alla imagine del Figliuolo suo Gesù Cristo.

Le opere che Gesù Cristo ha compiute, i miracoli che ha operati, gli insegnamenti che ci ha lasciati, gli esempi di virtù che ci ha dati costituiscono o VV. FF. e FF. DD. quel genere di vita degno dell’uomo, che dev’essere abbracciato da ogni cristiano e che ha già raccolto, a traverso venti secoli, quelle innumerevoli moltitudini di discepoli di ogni paese, età e condizione, che si chiamano i seguaci di Cristo, i cristiani. Quest’opera, che è il cristianesimo, è stata studiata dagli amici e dai nemici e sì gli uni che gli altri convennero nel proclamare che mai nulla apparve al mondo di così grande, sapiente, virtuoso e benefico come Gesù Cristo, niuna dottrina essere paragonabile alla sua, nessuna morale così pura, nessuna fede così invitta, nessuna virtù così sublime, nessuna istituzione così benefica. Eppure noi viviamo in un’età in cui più che mai si vuole distruggere il cristianesimo; si vuol togliere dall’individuo, dalla famiglia e dalla società Gesù Cristo. Dalla [p. 12 modifica]bocca del Vicario di Gesù Cristo abbiamo sentito dire e ripetere che bisogna ristaurare ogni cosa in Cristo; eppure guardando attorno a noi siamo costretti a deplorare che il battesimo di un bambino non è più per la società civile, come era in passato, un segno di avere un figlio: l’osservanza della legge evangelica non è più un titolo a speciale considerazione; l’istruzione di quanto il cristiano è tenuto a sapere per camminare la giusta via non è necessaria a conseguire lodi, premi, promozioni. Noi vediamo che nelle scuole primarie si insegnano mille cose ai fanciulli, anche quelle che non saranno mai di alcun vero vantaggio per loro; ma non già il catechismo: tutt’al più di questo si tollera un libero, breve, fuori orario, non curato insegnamento; tanto per far mostra di tolleranza e calmare le apprensioni di qualche padre di famiglia fino a che verrà, e pur troppo non pare lontano, il momento in cui questo insegnamento sarà completamente abolito. Nelle scuole secondarie poi tutto si insegna fuor chè la scienza di Dio e di Cristo; e questo nome santissimo, innanzi al quale deve piegarsi ogni ginocchio in cielo e in terra e negli abissi, non è mai ricordato alla gioventù. Della sua vita, de’ suoi miracoli, de’ suoi insegnamenti, delle sue virtù divine si tace, o se ne parla a sproposito, proponendo aperte menzogne e pronunciando orribili bestemmie di disprezzo e di odio contro il Santo dei Santi.

La franchezza poi con cui si suole oggi nelle scuole parlare delle cose riguardanti Iddio, la religione, la morale, la Chiesa senza avere l’istruzione necessaria, ingenera facilmente nella tenera mente del giovane un’opinione che gli fa perdere la fede e dimenticare la propria dignità. E perduta la fede e dimenticata la propria dignità di cristiano che cosa può essere mai del costume di questo giovane? Oh! quante volte il bel fiore [p. 13 modifica]dell’innocenza, che rende sì cara la gioventù, si vede appassire per l’insegnamento viziato dalla incredulità di quelli che si fanno banditori nelle scuole di dottrine false ed erronee.

Per l’amore che sento forte nel cuore pei giovani di questa diletta Città e Diocesi scongiuro i genitori cristiani ad aprire gli occhi sui loro figli, ad essere essi medesimi, come ne hanno il diritto ed il dovere, gli educatori del loro cuore e li mandino a scuole cristiane; che se la necessità li costringe a far loro frequentare scuole, nelle quali non si parla di Dio nè di Gesù Cristo, nè della sua Chiesa, nè del suo Vicario, o si parla di queste cose soltanto per metterle in disprezzo, si diano premura di armarli per tempo contro la seduzione dell’errore: non aspettino che questo si mostri ad essi con la sua seducente apparenza: procurino di prevenire ogni funesto insegnamento con insegnamenti buoni. A questo scopo fra noi sono state aperte le scuole di religione; delle quali è stato riconosciuto da tutti i buoni la necessità e l’utilità. Mi è caro il dirlo a lode e a sempre maggior incoraggiamento di tutti: gli incaricati dell’insegnamento prestano l’opera con disinteresse, con sincero amore e con zelo singolare; e la gioventù carissima di Fossano, con assiduità frequenta queste scuole mostrando di raccogliere buoni frutti che varranno, non ne dubito, a premunirli dai futuri pericoli dell’errore.

I genitori cristiani si facciano dovere di tener lontano dai loro figli quei libri di educazione che non parlano mai di Dio, o se ne parlano, lo fanno solo per rammentare gli attributi che non spaventano il cattivo e tacciono della giustizia che punisce la colpa in questo o nell’altro mondo. Tengano lungi quei libri che non parlano mai di Gesù Cristo, del dovere che abbiamo come cristiani di imitarne le virtù; e ricordino quello [p. 14 modifica]che a proposito lasciò scritto Sant’Agostino dell’Ortensio di Cicerone: Una cosa sola in tanto bollore mi agghiacciava il cuore ed è che non vi trovava il nome di Gesù: Tutto ciò che era senza quel nome, fosse pur dotto ed elegante e vero, non sapeva contentarmi interamente (Conf. lib. IV, c. 4). E S. Bernardo diceva: I libri non hanno sapore per me se non vi trovo il nome di Gesù: i discorsi mi disgustano se non sento pronunciare il nome di Gesù.

Lungi finalmente anche quei giornali che parlano solo per le generali della Chiesa cristiana, che pare si vergognino o si dimentichino del dovere di dire e di insegnare che la vera Chiesa fondata da Gesù Cristo è quella che ha per capo sulla terra il Romano Pontefice. Questi giornali trattano di tutto, anche delle cose le più inutili, delle notizie, dei fatti di cronaca, che non dovrebbero mai comparire al pubblico; ma della dolorosa condizione in cui si trova il comune Padre nostro, il Vicario di Gesù Cristo, della guerra sleale ed ingiusta che si fa alla Chiesa per impedire la sua sublime missione, che è quella di trasformare l’uomo in Gesù Cristo; delle benemerenze della Chiesa stessa, della sua divina istituzione, delle sue doti e prerogative; di tutto ciò questi giornali, che pur vorrebbero essere ritenuti cattolici, taciono. E sebbene non appariscano apertamente anticristiani, anche quando non mancano di giustezza nei giudizii, di verità nei fatti, di esattezza nella dottrina con questo loro abituale e veramente deplorevole silenzio, mostrandosi dimentichi della propria missione, concorrono a favorire quell’ostracismo dalle anime, dalle famiglie e dalla società, che dai tristi del secolo si cerca di dare a Dio, a Gesù Cristo, alla Chiesa, al Romano Pontefice.

Deh! o VV. FF. e FF. Carissimi adoperiamoci con la preghiera e coll’opera perchè tutti vadano a Dio, le [p. 15 modifica]nazioni, le famiglie e gli individui e tutti pieghino il ginocchio dinnanzi a Colui al quale Dio sottomise tutte le cose, nulla lasciandogli non soggetto. Nihil dimisit non subiectum ei... Heb c. II. 8. Per quanto la nostra condizione e le nostre forze permettono, adoperiamoci perchè si stringano a Lui le anime pure e le penitenti, le famiglie povere e le ricche i popoli civili, ed i barbari.

Preghiamo che Gesù regni mai sempre nel cuore di tutti gli uomini, sia l’ispiratore dei loro atti, l’esemplare della loro condotta. Regni nelle famiglie, le santifichi, le salvi mantenendo sempre in mezzo di loro lo spirito cristiano. Il suo santissimo nome sia invocato ovunque, in pubblico e in privato, nelle case e nelle scuole, nel foro e nelle aule legislative; sia in venerazione presso tutti i popoli; e in prima sia presso il popolo che per essere stato or ora unito alla patria nostra sembra aver maggiore diritto sopra gli altri a godere di questo divino beneficio. Oh! sì: nel tempo accettevole della santa quaresima preghiamo per la patria nostra diletta, perchè, cessato il terribile flagello della guerra, le conceda Iddio la pace insieme ai trionfi della civiltà cristiana nelle nuove sue terre africane, ove in questi giorni fra innumerevoli stenti ed insidie vediamo combattere tanti prodi nostri fratelli. Preghiamo per tutto il popolo cristiano perchè nell’esercizio della virtù e delle opere sante corrisponda vie meglio alla grazia della sua vocazione ed alla sublime dignità alla quale per pura misericordia di Dio è stato eletto. Preghiamo per l’Episcopato e pel Clero, perchè fra loro sempre uniti, si mantengano di mente, di cuore e di azione fedeli alle sapienti direzioni del Vicario di Gesù Cristo, sì da formare fra le membra ed il capo un corpo solo ed un’anima sola. Preghiamo pel nostro amatissimo Padre Pio X perchè il Signore lo protegga nei pericoli che lo circondano, lo consoli [p. 16 modifica]negli affanni che l’affliggono e lo conservi per molti anni al bene della Chiesa ed all’effetto nostro.

E perchè questa nostra preghiera torni efficace invochiamo tutti il nome santo di Gesù Cristo col canto pieno di amore di S. Bernardo, col quale la Chiesa ricorda la potenza, la gloria ed i trionfi di questo amabilissimo nome.

O Gesù la Cui sola memoria raddolcisce ogni pena, o Gesù fonte di vero gaudio al cuore, Tu superi colla sola tua presenza ogni possibile dolcezza. Non vi è canto più soave, non vi è parola più gioconda, non vi è pensiero più dolce di quello di Gesù Figlio di Dio. O Gesù speranza dei cuori pentiti, pietoso con chi ti invoca, buono con chi ti cerca, che cosa sei tu mai con chi ti ha ritrovato? Nè lingua può dire, nè penna descrivere che cosa sia mai amare Gesù; soltanto lo sa chi sperimenta questo amore. O Gesù, che sarai un dì nostro premio, sii quaggiù nostro gaudio: ora e sempre sia in te solo la nostra gloria.

Accolga il Dio delle misericordie questa comune preghiera e mediante la gloria di Lui, che certo non può mancare, faccia sì che queste mie parole producano frutti di vita eterna ne’ cuori di tutti Voi o VV. FF. e FF. Carissimi. E possa la benedizione, che dal fondo del cuore un’altra volta vi comparto, attirare su voi, il cui bene spirituale sta in cima d’ogni mio pensiero, un nuovo vigore per essere e mantenervi veri seguaci di Gesù Cristo. Vi benedica pertanto il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo ora e sempre in vita ed in morte, su questa terra e nel cielo. Così sia.

Fossano, 10 Febbraio 1912.

GIOSUÈ, Vescovo.

Sac. Giovanni Signori
Segretario.