Lepida et tristia/L'uomo grande e la donna piccola

L’uomo grande e la donna piccola

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L’uomo grande e la donna piccola
Divagazioni in bicicletta I misteri del giovane cuore

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L’UOMO GRANDE E LA DONNA PICCOLA



U
n mio giovane e bell’amico si meravigliava che un uomo grande e celebre come il professor Maini potesse vivere con tanto amore con una donna piccola come sua moglie: piccola in tutti i sensi, compresa la persona.

«Per un uomo delle proporzioni morali e fisiche dell’illustre professor Maini, ci sarebbe voluta una moglie come la marchesa Albenghi, signora di grande intelligenza, come donna Eleonora, dama di gran contegno e piena di spirito e che, anche per il fisico, è paragonabile con lui.»

Questa è l’opinione dell’amico mio; ma in fede sincera, questo amico è ancora dotato della facoltà invidiabile di passare col suo giudizio soltanto, sull’apparenza delle cose; come sulla superficie delle acque oceaniche sfiora l’albatro, il selvaggio e bianco uccello del selvaggio e azzurro mare. [p. 228 modifica]

Io penso anzi che sia per questa recondita cagione che la fronte di lui è superba come quella di un poliedro, e la sua cravatta è la più impeccabile delle cravatte.

E anche vero che pur il prof. Cornelius, accademico e collega dell’illustre prof. Maini, divide l’opinione dell’amico mio e non sa spiegare il segreto del segreto fascino che quella piccola donna esercita su quell’uomo eccezionalmente grande.

Ora tutti sanno che il prof. Cornelius, oltre che giurista, è grande psicologo. Egli è ricco e mondano signore e parla così bene che nelle conversazioni anche i camerieri si indugiano presso le portiere ad udire quella sua voce che saltella su tutti i tuoni, come sui tasti acuti di un pianoforte.

La fama del prof. Maini è così pura e solida che il prof. Cornelius si è deciso a diventare suo grande amico; ma il suo dente bisognoso di rodere (egli ha ancora bellissimi denti) si esercita contro quella piccola signora che, al dire di lui, ha suggestionato in male quell’uomo grande.

Il salotto della marchesa X***, il più intellettuale salotto della capitale, è celebre perchè in esso hanno per lo meno fatto sosta letterati e scienziati famosi: ebbene esso non è stato onorato ancora della presenza dell’illustre prof. Maini.

Questa mancanza sarebbe stata cagione di non poca amarezza all’animo della nobile dama, se non si sapesse che l’illustre uomo non è solito frequentare salotti.

Eppure il prof. Cornelius può garantire alla nobile dama che il suo buon amico non è punto misantropo, ma pieno di affabilità.

— Allora è la sua signora che non vuole — disse la marchesa X***. [p. 229 modifica]

— Ma certamente — disse il prof. Cornelius.

— Per gelosia? — chiese donna Eleonora.

Il prof. Cornelius spiegò le mani diafane che avevano svolto tanti libri e levò gli occhi al cielo come a dire che la sua scienza psicologica non arrivava sin là.

Si udì la voce della contessa Clara, una voce su cui il signor Franz, poeta decadente, aveva promesso un completo poema. Questa volta quell’affascinante smemorata aveva udito che si parlava del prof. Maini. Dunque la voce d’oro disse:

— Sapete, oh, dove ho visto la scorsa Pasqua il prof. Maini? Ad A***, sotto il pergolato di un’osteria di campagna in un tête a tête graziosissimo con una signora, anzi lui le teneva la mano sui capelli. Ho detto a Giuseppe di fermare i cavalli. Lui, certo, era lui, perchè come si fa a confonderlo con quella barba e con quella testa? Dite, oh, se non pare il Dio Wotan della Walkirie? Ma lei? Confesso: ero curiosa di sorprendere il più fedele dei mariti ed il più celebre degli astronomi in flagrante fallo di infedeltà coniugale. La signora si volta. Sapete chi era? Orrore: sua moglie. Giuseppe, ho detto, via di corsa.

— In mia fede — disse donna Eleonora — io sarei curiosa di sapere quali segrete attrattive può avere quella piccola signora perchè un uomo di genio la preferisca ad ogni altra.

— Dicono che sappia far bene da cucina e così economizza il cuoco! — Ma la maldicenza cade a vuoto perchè il prof. Maini non è punto ghiotto, nè avaro: ciò è notorio.

— Dicono che sia una devota e fedele sposa — disse una delle signore presenti. (Nè potrebbe essere altrimenti — chiosò ancora la contessa Clara).

— Oh, dicono che abbia molto spirito! — disse la voce di un signore. [p. 230 modifica]

Protestò il prof. Cornelius, che qualche volta era stato a pranzo in casa dell’illustre scienziato, ed aggiunse:

— Modi da borghesuccia; un risolino: come sta? sta bene? noi stiamo assai bene; le posso offrire un vermouth? una vecchia bottiglia? un bicchierino di menta? e toglie (risum teneatis, col mio vecchio Orazio) lei il piatto al marito anche quando c’è gente: questi sono i suoi discorsi più spiritosi.

Ma le nobili dame non erano le sole a deplorare questa riservata austerità di vita: anche molte società democratiche ed umanitarie deploravano la scarsa partecipazione del prof. Maini alla vita publica. Perchè egli non solo avea trovato il calcolo comparativo della curvatura degli elissoidi celesti, la teoria delle stelle multiple, l’ipotesi dell’unità della materia cosmica, ecc., ecc., ecc.; ma avea anche dettato l’opera mondiale «Dell’origine della psiche singola e universale», opera di una concezione vastissima che solamente quest’uomo, posto quasi ad intermediario fra la terra e il cielo, avrebbe potuto concepire; opera che ha creato — direi quasi — un nuovo orientamento nel giudizio umano, e che tutti, specialmente gli studiosi della scienza e gli apostoli delle indiscusse verità positive, citano, anche senza averla letta, a sostegno de’ loro opposti e variabili dogmi.

Ora è ragionevole questa domanda: a che cosa vale la scienza, a che cosa vale l’arte, se esse a simiglianza delle imposte — mi sia lecito parafrasare l’arguto e sensibile paragone di un nostro economista, celebre anche per la sua zazzera — non si riversano come pioggia benefica sulle moltitudini? [p. 231 modifica]

Le sue poche lezioni all’Università costituivano un avvenimento.

Quest’uomo era anche un oratore soggiogante: preciso, semplice, freddo, scientificamente nuovo e puro. Eppure quella sua voce cavernosa e melodiosa avea delle profondità vibranti, delle sonorità di denso oro, come un organo di cattedrale. I rapsodi omerici che cantarono di re Ettore, dovevano aver quella voce! Quella voce guidava a comprendere giù, dove voleva lui, dove la mente degli uditori mai non sarebbe arrivata.

E perciò quell’uomo scientifico suggestionava come un poeta o un profeta. Era un minatore del pensiero.

Ora, perchè non tenere delle conferenze? perchè non exploiter queste facoltà con una tournée all’estero, negli Stati Uniti, sotto la guida di un impresario, e ritornare con un mezzo milione? Così pensavano molti uomini positivi.

Tutti questi e molti altri discorsi non giungevano — io credo — sino alle orecchie del prof. Maini e della sua signora; per tante ragioni, fra le quali questa: abitavano molto in alto.

Abitavano un appartamento su l’estremo piano di un palazzo immenso di marmo, grande e vario come una città: l’osservatorio astronomico.

Abitavano tanto in alto che lassù non arrivava nessuno dei volgari rumori della via; si spegnevano a mezz’aria. Ma invece vi arrivavano i raggi delle stelle e dei pianeti che pareano da quell’altitudine risplendere più chiari e maggiori che non sogliano al comune dei mortali.

Di lassù, per mezzo di meravigliosi e colossali istrumenti materiali, che si volgevano con un dito, l’anima [p. 232 modifica]del prof. Maini leggeva le profonde pagine del libro del cielo.

Qualche volta quell’uomo però (ora anni sono decorsi) in quella contemplante solitudine era distratto da lieti gridi; e una voce soave di santa, voce sommessa, accorata, devota, diceva:

— No, piano, piccino; piano, tesoro, che il babbo studia.

— Studia?

— Certamente, e tu non devi fare rumore.

— No, mamà.

Ma era come parlare alle stelle.

La più limpida ed insensata canzone puerile scoppiava subito presso l’istrumento più prezioso, presso l’uomo più savio.

Eppure quella vocina ribelle non esagitava per nessuna guisa quell’uomo, anzi sorrideva e lo chiamava presso la sua gran barba e la sua gran lente, e le celesti cose gli parevano allora più meravigliose ed eloquenti che mai.

Quel grazioso bambino era nato da lui, l’uomo grande, e da lei, la donna piccola.

Ma un giorno la Morte salì fino lassù.

La scienza e la sapienza di cui era pieno il grande palagio, non le furono di impedimento.

Ella, la Dea che dà sonno eterno ai nostri dolori, sali.

Prese, e discese con una piccola bara che fu coperta di fiori.

Molti uomini celebri e savi, accademici, in grande [p. 233 modifica]contegno, uomini politici, uomini di ogni occasione, a gravi passi, con le barbe fluenti, su le pellicce, le tube lucide, seguirono, per omaggio al padre, la piccola bara: una legione di gravità!

Poi fu tutto dimenticato: più rapidamente che non si raffreddasse il cadaverino sotto la terra, che non cadessero le corolle dalle corone.

Non lassù, però.

La donna si accartocciò su di sè, si fece ancor più piccola, più silenziosa. Lui, il grande astronomo, seguitò con più intensa solitudine a correre attorno per il vasto cielo popolato dalle fantastiche belve, andanti pel cerchio dello zodiaco.

Talvolta però si dovea ricordare di qualche cosa, perchè allora chinava la barba e stava lungo tempo così lasciando le lenti — come vuote occhiaie — guardare le stelle e gli erranti pianeti.

La casa divenne muta: sui mobili senza polvere passa il piumino di un vecchio domestico e si ode piano piano la cantilena della cuoca che ripete le canzonette di caffè-concerto.

Da qualche anno il celebre Maini non abbandona più il suo grande palazzo, nè meno nelle settimane del maggior calore quando la città si spopola per incanto e dal palazzo di marmo affocato dal sole, scappano anche di soppiatto gli impiegati dei tanti uffici, in cerca di frescura. Quello è il tempo in cui i topi delle librerie festeggiano le loro nozze e i ragni architettano le loro tele entro una cattedra di sanscrito o fra due cimeli del museo archeologico.

I guardiani qualche volta si incontrano, sbadigliano, e il loro passo si spegne nell’eco delle sale e degli intercolumnii continui. [p. 234 modifica]

Ma nell’appartamento del prof. Maini vi è, a cagione della postura e dell’altitudine, una confortevole freschezza, e dalla terrazza inaffiata e coperta di tende, si vede il deserto bianco della sottoposta città con le cupole di zingo, le file rosse dei tetti, il gran bianco degli edifici: e tutto sembra sotto il sole vaporare la caligine aurea e tenue di un immane incendio latente.

La piccola signora con delle piccole forbici cura i girani e i garofani del suo minuscolo giardino aereo e le foglioline secche dalla terrazza cadono giù, giù, sorvolano sui tetti, si sperdono: lì vicino, il grande uomo studia le cose misteriose del cielo che noi sappiamo soltanto perchè egli ce le comunica.

Alla sera su la terrazza marito e moglie si ritrovano insieme: quella è l’ora in cui le cose presenti vanno lontano, e le cose lontane tornano presenti. Quando non c’è la luna, le stelle fiammeggiano nelle calde tenebre, e tu vedi Sirio lucente, Cassiopea, Berenice che dispiega la chioma d’oro: folgora la stella di Artos che guidò Enea nel suo cammin vago. Anche le Pleiadi lagrimose risplendono.

La piccola signora che ognuno sa che è silenziosa come i suoi girani, coi cubiti appoggiati sulle ginocchia di lui parla allora assai volubilmente.

.... il canarino ha fatto, ha fatto; e poi è morto: anche i canarini che sono così vivaci, muoiono anche loro.

— Ne compreremo un altro....

— No: non ne compreremo più...!

— Perchè?

— Perchè mi dava piacere e mi dava anche dispiacere, anzi più dispiacere che piacere: la mattina quando vedeva la luce, faceva certi versi che mi ricordavano tutto, tutto il nostro povero piccino: non sapeva fare a parlare ancora, lui, e faceva piano piano, nella sua cuna, certi versi che ci svegliavano tutti e due al mattino: [p. 235 modifica]

non ti ricordi? Ti-o-tiò: o-ti-to! Poi mutava verso, proprio come il canerino: ba-ba-ba-oh, ba-ba...!

— Ma poi dopo imparò a parlare bene.

— Oh, benissimo: non ti ricordi con quanta grazietta recitava la poesia del natale quell’anno che gli abbiamo fatto il presepio? che tu eri venuto a casa con l’involto dove avevi i re magi, il bue, l’asinelio; che tu poi hai fatto passare quella luce dietro il presepio, e lui era tanto felice?

— Me ne ricordo e anche la poesia era graziosa.

— Sì, molto graziosa, cominciava così:

Nella notte di Natale
vien dal cielo un angioletto
a posar sopra il guanciale
del sopito fanciulletto.

— Oh per la sua età mostrava molta intelligenza.

— Anche troppo per la sua età: non ti ricordi le domande che ti faceva col suo ditino quando voleva sapere perchè c’è la luna? E come s’impazientava: ma perchè, papà, c’è la luna? e dopo la luna cosa c’è? Le stelle. E dopo le stelle? ancora delle stelle. E dopo, dopo le stelle? non la finiva più. Eppure vedi a me proprio non importava niente che fosse diventato un grande uomo; mica uno stupido: questo no, ma un uomo come ce ne sono tanti, buoni, che vivono bene, fanno del bene, stanno bene: e invece!

— Oh, si anch’io avrei voluto così.

— E in tutto questo universo che è tanto grande, dimmi tu, che non ci sia proprio un poco di posto per lui? pel nostro povero piccino? che sia scomparso del tutto, tu dici?

Così ella chiedea, ed egli allora prendeva le mani di quel gracile corpo di donna e gliele accarezzava senza rispondere nulla e gliele stringeva anche fortemente nelle [p. 236 modifica]sue potenti mani con una tristezza senza parole come nel presentimento che anche quelle esili carni si sarebbero presto disciolte, nè egli, benchè forte e sapiente, le avrebbe potute trattenere.

— Nessuno fuori di noi due si ricorda di lui — dicea ella con voce lagrimosa.

— Adesso, quando scoprirò qualche nuova stella, le metterò il suo nome e allora tutti si ricorderanno di lui e diranno il suo nome: sei contenta così?

Queste erano le sue parole e ognuno da esse può comprendere come talvolta anche gli uomini sapienti parlino come gli uomini comuni.