Lepida et tristia/I cinque pulcini

I cinque pulcini

../La seconda disillusione ../Divagazioni in bicicletta IncludiIntestazione 7 settembre 2019 75% Da definire

La seconda disillusione Divagazioni in bicicletta

[p. 167 modifica]

I CINQUE PULCINI



E
uno, e due e tre! — sclamò la gente, e per la porta dell’osteria erano entrati in fila tre bambini. I due più grandi avevano una bisaccia di corda sulle spalle, il terzo aveva solo una faccia soda e viva come quella degli spazzacamini, e siccome era vestito di un pannilano grosso, così era costretto a stare colle braccia un poco aperte: e siccome era giunto ultimo, così aveva lasciato dietro di sè la porta spalancata.

— Ehi là, bambino, chiudi la porta; non vedi che entra la neve?

Ma il piccino ultimo non si mosse e i due primi che si erano fermati a metà della stanza, guardarono confusi da che parte veniva la voce (giacchè il fumo delle pipe e delle vivande nascondeva il volto degli avventori) anzi le voci, poichè erano molte e tutt’altro che gentili, e venivano da certe facce rosse e da certe bocche aperte, che non erano punto lusinghiere. — Ehi, dico, la chiudiamo questa porta? sì o no? [p. 168 modifica]

— Con la santa pazienza, signor sì! — rispose una voce di fuori, ma la porta, invece di chiudersi, si spalancò meglio per lasciar entrare un uomo che era tutto avvolto in un ferraiuolo e pareva più largo che alto. — Eccola chiusa, la porta — disse costui — sono contenti? — e l’aveva rabbattuta con un calcio indietro, giacchè le mani erano impiegate altrove sotto il mantello. Da una parte lasciò cadere un sacco, dall’altra parte scappò fuori un quarto bambino, più piccino, più infagottato, più roseo del terzo.

Allora tutti gli avventori si misero a ridere: — Fate come la chioccia, galantuomo? Guardate, guardate che ve ne scappa fuori un altro dal cappuccio!

— Niente, niente paura, brava gente: nel cappuccio c’è solo un po’ di neve — rispose il buon uomo asciugandosi la fronte che sgocciolava di sudore sotto il berretto di pelo.

L’uomo, liberato delle due appendici posticce, cioè il sacco ed il quarto piccino, appariva adesso di costruzione normale, e non un gran fagotto con sopra una testa; anzi era una faccia rosea e sana come quella dei suoi bambini e vi rideva un’espressione di lavoratore sereno.

— Io ho bisogno — disse all’oste che gli era venuto incontro — di una stanza per questa notte, da spendere poco, però, con due letti: due dalla testa e uno dai piedi ci stiamo tutti e cinque.

— Allora venite pur su! — disse l’oste.

L’uomo riafferrò solo il sacco, il piccino questa volta se lo prese per la mano: i due grandicelli, ad un segno del babbo, rimisero sulle spalle le bisacce.

— Spall arm! e un, due, tre, avanti! — gridò uno degli avventori, e la compagnia si mosse, uno per uno, aprendosi un difficile passaggio attraverso i tavoli e poi scomparendo su per una scaletta, guidati dall’oste.

Dopo un quarticello d’ora, cinque paia di scarpe ferrate ridiscendevano la scaletta. [p. 169 modifica]

La gente si era nel frattempo un po’ diradata cosi che la famigliola potè trovar luogo all’estremità del tavolo.

— Adesso lei — disse l’uomo all’oste — ci porta una bella terrina di brodo ben caldo con un po’ di formaggio da condirlo. Son cinque ore che si balla in quel maledetto vagone di terza classe — aggiunse, rivolto al viso più benevolo e meno beffardo che avesse vicino. — Per fortuna che la roba che non ho potuto mettere nel sacco, l’ho fatta mettere in dosso: due paia di camicie, due di calzette, tre giubboncini per uno, eccettera. Così si sono avuti due vantaggi: meno roba da portare nel sacco e meno pericolo di gelare come un sorbetto in quel vagone, che sempre sia maledetto. Ai tre grandi ho detto di saltare e così si sono riscaldati, quest’altro me lo sono tenuto sotto il mantello: nevicava dentro com’essere in campagna e tirava il vento come in montagna.

— Un’altra volta, galantuomo — disse uno dei presenti — bisogna viaggiare in prima classe.

— Se torno a nascere, non dubitate che farò il vostro consiglio! Oh, bravo oste, ecco il brodo; questo è quello che ci vuole per noi.

E infilata la mano nella tasca della cacciatora, ne trasse una grossa pagnotta che affettò con moltissima diligenza e ne buttò le fette nelle terrina. Il pane, imbevuto, rigonfiò subito.

I quattro piccini attendevano avidamente il segnale d’immergere i cucchiai nella zuppa. Ma il babbo volle prima cospargere lui il formaggio ed assaggiare il brodo.

— Non è un brodo di cappone, ma è caldo: avanti ragazzi! — e i cucchiai si immersero e le bocche si spalancarono. [p. 170 modifica]

— E voi non mangiate, galantuomo? — chiese un vecchio dalla faccia forte, e scolpita audacemente dal mare.

— Io ho la mia cena qui in tasca.

E levò fuori un pezzo di carne incartocciata, delle uova sode e il sale.

— Le vostre tasche sono un’ambulanza — disse un altro.

— Come si fa? Quando si viaggia coi bambini, bisogna andare provvisti di tutto: vogliono mangiare, vogliono bere ogni momento, e a comperar tutto, in viaggio, ci vorrebbe una borsa lunga sino alle calcagna.

— Fate viaggio lungo, si vede.

— In America!

— Con tutta la carovana?

— Con tutta la carovana. A casa non ci è rimasto che il gatto perchè non ha voluto andar via da un vicino: quanti sono, son tutti qui.

— E la moglie non l’avete?

— La moglie, cara gente, è un altro par di maniche.

— Come il solito: vi ha piantato....

— Mai più! E una storia lunga, ma ve la racconto in due parole: Il padre di lei, che era sempre stato contrario al nostro matrimonio, dieci anni fa andò in America a lavorare: era uno stravagante, ma svelto negli affari e bravo per la campagna.

«Sposata che io ebbi la figliuola, lui era rimasto solo: con noi non viveva d’accordo ed è andato via come v’ho detto, e chi s’è visto s’è visto.

«Soltanto l’anno scorso si sono avute sue notizie. Stava male — diceva in una lettera — e voleva la figlia con sè. Vedete: se non avesse mandato quei cento scudi, che sempre siano maledetti, mia moglie non sarebbe partita: capirete lasciare cinque bambini.... [p. 171 modifica]

— Sono quattro mi pare! — disse uno.

— E quello che gli dava il latte? Fanno cinque. Dunque abbiamo pensato: «se manda cento scudi, si vede che ha fatto fortuna», dico bene? Se ha fatto fortuna e se muore, è meglio che il capitale lo lasci a noi, dico bene?

— Potevate andar voi, galantuomo, e non mandar vostra moglie — dissero.

— Bravo! Potevo andar io? Bisogna conoscere che stravagante era il vecchio; non mi ha mai voluto vedere. E poi se lasciavo lei con i piccini, chi li manteneva? Dite voi. Allora la Maria ha deciso di partire lei....

— Con l’altro piccino?

— Come si faceva? Aveva otto mesi: slattare non si poteva: i danari c’erano: lei poi una donna svelta, brava, piena di coraggio; e mi ha detto: «Tu resta a casa cogli altri: io vado e ritorno.»

— E non è più tornata?

— Non è più tornata!

I bambini avevano finito la zuppa e guardando il babbo con i begli occhi melanconici e puri per la novella età, parevano dire: «E non è più tornata!»

— E quant’è che è partita?

— Fa proprio un anno in questo giorno. Abbiamo fatto Natale senza di lei; un Natale ben triste!

«Dopo tre mesi ci arrivò una lettera con del denaro: diceva che suo babbo aveva messo da parte una bella fortuna, ma che era stato preso da un colpo, che non si poteva muovere dal letto, che era più stravagante che mai, come matto, che non si fidava di nessuno e non la voleva lasciar partire ad ogni costo, la figliuola.

«Allora io ho scritto se dovevamo venir noi, e non mi ha più risposto o, per dir meglio, io non ho ricevuto più notizie.

«Siamo andati in governo, abbiamo fatto scrivere [p. 172 modifica]al console di là e non si è saputo niente: ci davano certe risposte lunghe per dire che non sapevano un bel niente.

— Sapete, buon uomo, come sarà? — disse uno dei più faceti fra quei bevitori gagliardi.

— Sì, dite pure.

— Ecco: se è un anno, come dite, che è partita, quando sarete laggiù, troverete un sesto figliuolo. Già cinque o sei per voi deve essere lo stesso.

— Speriamo di no, caspita! — disse bonariamente l’uomo.

— Speriamo pure, caro, ma vedrete che è così come vi dico. A tutte le donne che vanno in America, l’aria del paese fa questo effetto: noi qui del porto certe cose le sappiamo. E se le donne, laggiù, non trovassero l’aria buona per mettere al mondo degli altri figliuoli, come si farebbe con tutti quelli che muoiono quando si imbarcano gli emigranti? Il mondo finirebbe. Vi pare?

— Speriamo che non sia come voi dite, e tutto ciò, sempre con la grazia di Dio — ripetè il buon uomo.

— Bravo! con la grazia di Dio si fa tutto.

Un po’ per volta gli avventori se ne andavano, augurando la buona fortuna e il buon viaggio.

— Sì, grazie, grazie, buona sera, buona sera! — diceva ad ognuno il padre di quella numerosa prole — e adesso andiamo di sopra, figliuoli, oh sì, andiamo. Aspetta che ti porto che cadi giù dal sonno, vero? — e il più piccino se lo prese sotto il braccio come quando era arrivato, e tutte e cinque le paia di scarpe risalirono e fecero risuonare la scaletta di legno. [p. 173 modifica]

Quando l’uomo fu disopra, chiamò la sua compagnia presso la finestra dove ci si vedeva un po’ meglio, e disse loro: «Ragazzi, adesso io vado fuori. Starò via un’ora a far molto. Voi rimanete buoni qui.

— Si, papà!

— Oh, e ricordatevi che siamo in un’osteria, che non è mica la casa nostra.

— No, papà!

.... c’è della gente buona, e della gente cattiva; non fate rumore, non attaccate lite fra voi due, che siete più grandi....

— No, papà!

.... fate divertire il piccino e non aprite a nessuno.

— E domani si va in America? vero, papà? — disse il terzogenito, quello infagottato, con una voce dolce di piccolo oboe familiare, la quale stonava in quella stanza gelida e grigia di osteria.

Fatte queste raccomandazioni, si raccolse nel ferraiuolo e nessuno dei figliuoli piagnucolò: «Babbo, voglio venir con te!» Ma tutti stettero quieti, e quegli, uscito e chiuso l’uscio e stato ad origliare alquanto, sentì che stavano quieti così com’egli avea loro comandato.

Allora scese e, pregato l’oste che porgesse orecchio ogni tanto se li sentiva chiamare o piangere, uscì sulla via.

La gente correva sotto un nevischio rado entro una bruma color di cenere, rotta qua e là da certe fiamme rosse. Accendevano i fanali e non erano ancora le quattro. Ma di decembre annotta assai presto. In una piazza del [p. 174 modifica]mercato c’era assai gente che allestiva dei banchi, disponeva molte ceste piramidali di melarance alternate con festoni di edera; e quel giallo e quel verde faceva un lieto e bizzarro effetto in mezzo a quel grigio.

«Il mercato per la vigilia del Natale — disse il buon uomo fra sè — e noi il Natale lo faremo in mare; vuol dire che comprerò un po’ di torrone e un po’ d’aranci; e se quest’anno lo passiamo male, il Natale, lo passeremo meglio l’anno venturo, se pur lei sarà viva!» e l’ombra di questo pensiero gli crebbe davanti agli occhi dell’anima più grande che l’ombra di quel vespero caliginoso. «Se lei sarà viva!»

Andò dunque all’Agenzia dei trasporti marittimi per sapere a che ora precisa partiva il bastimento domani, e siccome era sul porto, domandò per curiosità quale era quello che lo doveva portare in America.

— Uno di quelli là — gli risposero. — È arrivato proprio ieri dall’America: ha rinnovato le provviste e domani parte.

— Uno di quelli là? dove?

— Guardate, buon uomo, dietro di voi, nella nebbia, e lo vedrete — rispose l’agente.

L’uomo si volse e vide dopo di sè ergersi una grande muraglia nera di ferro a cui la nebbia non permetteva di percorrere l’ambito: il transatlantico riposava presso la banchina dal travaglio dell’oceano, come un enorme cetaceo.

Guardò a lungo quella che dovea essere la dimora sua e de’ suoi figli per tanti giorni, poi chiese:

— E il mare è buono?

— Sempre buono, il mare.

— Ma laggiù nel mare grande.... lontano....

— Ah! quello è ancora più buono: più è grande e più è buono il mare. — E con queste parole l’agente lo salutò. [p. 175 modifica]

Però quando fu. solo e si fu spinto più innanzi lungo la banchina, sentì come un bramito lontano.

Era il mare che si frangeva sulla scogliera.

Allora gli nacque nel cuore un’imagine lugubre: qualcuno cade nel mare. Si apre una voragine verde: il bastimento è già montato su di un’altra cresta di onde spumose. Sbucano mostri famelici, i pescicani lucidi: afferrano ciò che casca. E il suo piccino che è cascato, quello che portava come un fagotto sotto il braccio. Rabbrividì nel profondo della sua anima. «Perchè mai il Signore ha creato i pescicani, nessuno lo sa!» meditò poi fra sè.

Poi sopraggiunse un’altra imagine, più lugubre: una bara calata in mare. Ecco perchè non aveva avuto più notizie di lei.

Cuor di leone! Va bene! Egli, quando si prese un piccino sotto il braccio, sotto l’altro il sacco, e disse ai più grandicelli: — avanti! — aveva fatto proponimento a sè stesso di lottare come un leone; ma quel mare era troppo grande per avventurarvisi coi suoi pulcini! Il mare è tre volte la terra. Questa notizia scolastica gli era rimasta in fondo al cervello ed ora montava a galla.

Del resto se il Signore ha fatto il mare così grande, e i suoi piccini così fragili, è perchè deve essere così. Dopo tutto il cimitero in fondo al mare, o il cimitero dalle poche croci lassù, è lo stesso. Ma forse meglio lassù, sotto gli alberi amici! Infine pensò anche che non sanno, i piccini, che il mare è tre volte la terra ed è così terribile.

Ma quando il mare fosse stato in tempesta da sostenere con le braccia verdi di mostro la nave nera in alto e poi lasciarla cadere nell’abisso fondo, chi avrebbe consolato i suoi piccini se avessero letto la paura sul volto di lui? Cuore di leone, adunque conveniva avere!

Pei piccoli mali, una caduta, un mal d’occhi, un do[p. 176 modifica]lore di denti chiamavano lui, lui solp, con una certa voce, come se egli, perchè li aveva messi al mondo, avesse anche creato i mali del piccolo corpo e li potesse perciò allontanare a sua volontà e fosse sua colpa se venivano i mali.

E molte volte una carezza, un poco d’olio, una fregagione bastavano ad assicurargli presso i figliuoli il bel nome di taumaturgo.

Ma ora, quando il mare sarà in tempesta, che potrà mai egli fare?

Ebbene, farà come i bambini quando invocavano lui: invocherà il padre di tutti, il Signore, che ha creato i pescicani e il mare in burrasca e sa quel che si fa! Coraggio, dunque, e sempre cuor di leone!

E con questa parola eroica che gli tornava tanto più ad onore in quanto che i soldi erano pochi e le bocche da mantenere molte, se ne tornò all’albergo.

Ma non dimenticò al ritorno di comperare le melarance ed il torrone insieme a due o tre rotelle di panforte di Siena, tanto per consolare il viaggio e far un po’ di festa il Natale — se pure il signor mare ci lascierà far Natale, — diceva — giacchè prevedo che la cucina di terza classe non sarà molto generosa di dolci e di confetti; — e giunse all’albergo.

— Sono stati buoni? — domandò all’oste.

— Non si sono nemmen sentiti — rispose colui.

— Dormiranno...! — e salì. Invece li trovò tutti svegli e vispi attorno al tavolo, dove la candela diffondendo un raggio di buona luce amica pareva dire: «Io faccio ricevimento e faccio compagnia a questi cari bambini, che sono soli».

E gli occhi dei bambini erano lucenti e placidi e quattro voci di «papà» in vario tono salutarono l’uomo che entrava.

— Cosa fate lì, monelli? [p. 177 modifica]

— Facciamo il giuoco del mare: questo è il mare (era il tappeto verde) e questo è il bastimento (era una barchetta di carta) e questi siamo noi sul bastimento (ed erano dei fantoccini di carta ritagliati con le unghie).

— E la mamma non l’avete fatta con l’altro fratellino?

— Ah, già la mamma col fratellino...! — sclamarono ad una voce, tranne il più piccolo, la cui testa dondolava dal sonno come una campanella che sta per acquetarsi dopo aver finito di suonare.

— Pare impossibile come sono i bambini! Si dimenticano in un momento; e non è a dire che non volessero del bene alla loro mamma! Presto, presto, figliuoli miei — disse a voce alta — del mare ne avremo anche troppo, domani: adesso a letto e prima di tutto le orazioni.

I due più grandicelli lo aiutarono a far la piega dei due lettucci dalla parte dei piedi, poi si tolsero gli abiti grossi, balzarono sui letti come quando erano sul loro letto, nella casetta loro, dove adesso solo il gatto abitava.

E postisi in ginocchione tutti e quattro e piegate le mani, innalzarono in coro questa piccola preghiera che la avea insegnata la mamma:

Santo cuor del mio Gesù
Fa ch’io t’ami sempre più.

E poi con quattro balzi, tutti e quattro furono sotto. Allora lui spense il lume e cominciò a spogliarsi.

Ma, cosa strana, pur avendo spenta la candela, la luce non era scomparsa.

Dalle fessure di un uscio penetrava un chiarore che proveniva dalla stanza vicina, e si sentiva ogni tanto un passo timido e sommesso. [p. 178 modifica]

E allora come in visione di sogno da quella stanza si elevò una vocina modulata a pena nelle parole infantili, la quale disse:

Dolce cuor del mio Gesù
Fa ch’io t’ami sempre più.

— Ma basta dir le orazioni, le abbiamo già dette, le abbiamo — disse con voce di sonno il più grandicello al più piccino.

Ma il più piccino era già nel paese delle fate, e se ne sentiva il regolare respiro.

Disse l’altro, grandicello: — Babbo, hai sentito? Di là dicono le preghiere uguali a quelle che diciamo noi.

E l’uomo, già assorto ne’ suoi pensieri, si era riscosso a quei richiami dei suoi figliuoli, i quali nel sonno avevano inteso quello che egli desto non aveva inteso.

— Cos’avete adesso? — domandò.

— Di là dicono le preghiere che diciamo noi, to’, senti.... — rispose il secondo figliuolo.

E la preghiera misteriosa continuava.

Allora l’uomo destò la fiamma spenta dei suoi sensi ed udì distinta una voce ineffabilmente nota al suo cuore, la quale con placido accento insegnava:

— Gesù mio, Madonnina mia, vi raccomando il mio papà e i miei fratellini.

E insieme con questa voce sicura, si accompagnava, parola a parola, la voce balbettante.

E allora la porta fu urtata con violenza che quasi fu infranta.

Di là rispose un grido di terrore.

Ma un nome ripetuto forte, una domanda suprema — [p. 179 modifica]Sei tu? — un grido di gioia insperata seguirono in un baleno.

Era la mamma coll’ultimo dei fratellini, la quale in quel mattino era tornata dalla terra d’oltremare e si era fermata in quell’umile osteria, presso il porto, per ripigliare il dimane il viaggio al suo paese, e la preghiera infantile aveva servito di conoscimento inaspettato.

E fu per questa ragione che il gatto vide il giorno seguente con sua grande sorpresa e contentezza aprirsi l’uscio della casetta ed entrare ad uno ad uno tutti i suoi ospiti; e tanto più fu contento perchè il giorno di Natale non solo gli buttarono le bucce delle melarance e le carte dorate dei torroni, leccornie di cui egli non sapeva che farsene, ma qualche squisito ritaglio di pollo e di cappone.

Il ritorno della mamma concedeva oramai questi lussi alla famiglia ricongiunta presso il focolare.