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176 | i cinque pulcini |
lore di denti chiamavano lui, lui solp, con una certa voce, come se egli, perchè li aveva messi al mondo, avesse anche creato i mali del piccolo corpo e li potesse perciò allontanare a sua volontà e fosse sua colpa se venivano i mali.
E molte volte una carezza, un poco d’olio, una fregagione bastavano ad assicurargli presso i figliuoli il bel nome di taumaturgo.
Ma ora, quando il mare sarà in tempesta, che potrà mai egli fare?
Ebbene, farà come i bambini quando invocavano lui: invocherà il padre di tutti, il Signore, che ha creato i pescicani e il mare in burrasca e sa quel che si fa! Coraggio, dunque, e sempre cuor di leone!
E con questa parola eroica che gli tornava tanto più ad onore in quanto che i soldi erano pochi e le bocche da mantenere molte, se ne tornò all’albergo.
Ma non dimenticò al ritorno di comperare le melarance ed il torrone insieme a due o tre rotelle di panforte di Siena, tanto per consolare il viaggio e far un po’ di festa il Natale — se pure il signor mare ci lascierà far Natale, — diceva — giacchè prevedo che la cucina di terza classe non sarà molto generosa di dolci e di confetti; — e giunse all’albergo.
— Sono stati buoni? — domandò all’oste.
— Non si sono nemmen sentiti — rispose colui.
— Dormiranno...! — e salì. Invece li trovò tutti svegli e vispi attorno al tavolo, dove la candela diffondendo un raggio di buona luce amica pareva dire: «Io faccio ricevimento e faccio compagnia a questi cari bambini, che sono soli».
E gli occhi dei bambini erano lucenti e placidi e quattro voci di «papà» in vario tono salutarono l’uomo che entrava.
— Cosa fate lì, monelli?