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i cinque pulcini 169


La gente si era nel frattempo un po’ diradata cosi che la famigliola potè trovar luogo all’estremità del tavolo.

— Adesso lei — disse l’uomo all’oste — ci porta una bella terrina di brodo ben caldo con un po’ di formaggio da condirlo. Son cinque ore che si balla in quel maledetto vagone di terza classe — aggiunse, rivolto al viso più benevolo e meno beffardo che avesse vicino. — Per fortuna che la roba che non ho potuto mettere nel sacco, l’ho fatta mettere in dosso: due paia di camicie, due di calzette, tre giubboncini per uno, eccettera. Così si sono avuti due vantaggi: meno roba da portare nel sacco e meno pericolo di gelare come un sorbetto in quel vagone, che sempre sia maledetto. Ai tre grandi ho detto di saltare e così si sono riscaldati, quest’altro me lo sono tenuto sotto il mantello: nevicava dentro com’essere in campagna e tirava il vento come in montagna.

— Un’altra volta, galantuomo — disse uno dei presenti — bisogna viaggiare in prima classe.

— Se torno a nascere, non dubitate che farò il vostro consiglio! Oh, bravo oste, ecco il brodo; questo è quello che ci vuole per noi.

E infilata la mano nella tasca della cacciatora, ne trasse una grossa pagnotta che affettò con moltissima diligenza e ne buttò le fette nelle terrina. Il pane, imbevuto, rigonfiò subito.

I quattro piccini attendevano avidamente il segnale d’immergere i cucchiai nella zuppa. Ma il babbo volle prima cospargere lui il formaggio ed assaggiare il brodo.

— Non è un brodo di cappone, ma è caldo: avanti ragazzi! — e i cucchiai si immersero e le bocche si spalancarono.