Le rive della Bormida nel 1794/Capitolo VII

Capitolo VII

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CAPITOLO VII.



Ho fatto tardi, e la carità che volevamo usare al signor Fedele, ci fu tolta di mano da quel Minore Osservante, che aveva predicato a D.... la quaresima, e che trovammo in casa al pievano. Se ci fossimo affrettati, l’avremmo visto sedere a mensa, nella palazzina, più lieto che lungo, col padrone e colla famiglia in grande dimestichezza. Ma per narrare come vi fosse venuto, converrà che io torni a parlare di quella donnicciuola della cascinaia; la quale di certo non può aver lasciato memoria di sè, salvo per la mala azione d’essersi messa ad origliare i discorsi di Bianca, il primo giorno in cui le signore erano venute alla villa. Se ne rammenta il lettore? Allora proseguiamo.

Costei sin da quel giorno, aveva disegnato di correre al convento, per dire ogni cosa al suo confessore; di quei tempi usando molto confidare al confessionale i propri peccati e le faccende altrui. Ma in tante volte che vi era andata, non aveva potuto trovarlo, e la mattina della partenza dello stormo, la poveraccia teneva tuttavia sullo stomaco il gran peso di quel suo segreto. N’era tribolata come dal peccato mortale; e pensando al marito, al maggiore de’ figli, andati chi sa a quali sbaragli, non potè più reggere. S’affrettò verso il convento decisa a non moversi più, senza aver visto il padre Anacleto, senza essersi confessata a lui, senza averlo pregato a porre i suoi uomini nella guardia di Dio. [p. 122 modifica]

Dalla palazzina del signor Fedele, si poteva andare in pochissimo tempo al convento; che sorgeva a piedi di una collina, formante una fondura a guisa di conchiglia, la quale pareva far atto di tirare a sè l’edificio, in solitudine più sicura. E il valloncello era alberato di querce antichissime, le quali, dalla cresta che girava intorno un par di miglia, alla più bassa piaggia, coprivano di loro macchie la terra per modo, che non vi poteva nè luna, nè sole: meravigliose alla vista, perchè da quella infuori per tutta la costa della collina, l’occhio non scopriva altro verde. Il bosco si chiamava dei frati: e perchè pareva nato appunto per essi, la fantasia paesana vi aveva lavorato sopra di curiose leggende. Fra l’altre questa, che San Francesco, capitato là attorno, per edificare un convento; avendo avuto da Ottone del Carretto feudatario della terra, quel sito; subito si pose all’opera aiutato da sì gran numero di contadini, che il diavolo ne fu geloso. Un dì che i manovali si affaccendavano a murare, se ne scoperse tra essi uno che tentava i compagni e gli scioperava, osando persino dar la berta al Santo, che s’affaticava a recar pietre sulle sue spalle delicate. Fu badato a costui dai compagni; e come ogni mattina accadeva di trovare il lavoro del giorno innanzi buttato gran parte a terra; il Santo gli mise gli occhi addosso a quel manovale e s’avvide alfine a certi segni, che egli era un soggettaccio da non poterlo nominare senza segnarsi tre volte. Fattoglisi cautamente vicino, gli gettò al collo il suo cordone benedetto, e a furia di croci lo costrinse a darsi per quel che era, e a portar calce, e sabbia, e pietre quanto bisognava per l’edificio, di che prima di notte vi fu d’avanzo ogni cosa. Il Santo non fu contento a tutto quel servizio, e dacchè il diavolo ci era cascato, volle giovarsi quanto potè dell’opera sua. Però menandoselo dietro a cavezza per lungo giro chiese che ad ogni passo facesse germogliare una quercia, o non l’avrebbe sciolto mai. Il diavolo, nato per amare la libertà tanto da ribellarsi a Dio, non istette a perfidiare per la [p. 123 modifica]miseria di quattro arboscelli: chè anzi San Francesco non chiedeva uno ch’egli non desse dieci e cento; e delle querce ne fece nascere tante che il Santo non aveva finito di torgli il cordone dal collo, e il bosco era, come fosse sorto da secoli, bello, diffuso e forte. Così il popolo di quelle parti dava ragione a sè stesso, del come quella selva fosse sorta in mezzo al tufo brullo della collina.

Il convento poi, parlando sul serio, crebbe e durò più che cinque secoli e mezzo; e forse durerebbe tuttavia se il generale Victor, nel 1799 non v’avesse appiccato il fuoco; e Napoleone nel 1805 non ne avesse cacciata la frateria, che rifatta ogni cosa v’era tornata a star bene. I terrieri dissero che fu gran peccato, perchè i frati erano buoni, l’edificio bello, e la chiesa anche più. Questa era di tre navate, partite in molte cappelle, tenute in patronato dai maggiorenti del borgo di C..., larghi donatori ai frati e alla chiesa. Ognuna delle cappelle aveva nel pavimento un coperchio di tomba; e la prima in capo alla navata sinistra, diversa dalle altre per lo stile e per gli ornamenti, apparteneva ai Marchesi della terra, come è mostrato dal coperchio della sepoltura, il quale reca un arme coll’impresa di un carro e d’un’aquila imperiale a graffito. In quella tomba avvenne cosa, che se non ha che fare colla mia storia, nè coi tempi di essa; ne ebbe molto coi teschi, raccolti là dentro: poveri teschi, che pur avendo portato elmo e corona, somigliano a tutti i teschi umani; calvi, smascellati, hanno viso di ridere d’aver vissuto questa vita.

Faranno vent’anni, e un giovedì di quaresima, tre scolaretti maninconiosi, erano andati a quel convento ruinato, col proposito di rubarvi un teschio: avendo udito alle prediche di quei giorni, che niuno ornamento migliore, e nulla di meglio contro il peccato potesse avere in camera un giovinetto. I tre adolescenti si fermarono sopra la lapide blasonata; trovarono a ridire sul cattivo latino dell’inscrizione; poi fecero alle pagliuzze cui [p. 124 modifica]toccasse discendere nel sepolcro in cerca del cranio. Come ebbero fatto, i due vincitori recatisi in mano le campanelle del coperchio, lo levarono a gran fatica sull’un dei lati, quanto il compagno potesse passare nel vano la sua persona: e questi, messe le gambe nella buca, peritoso, peritoso, si calò con forte batticuore, a frugare il sepolcro.

I teschi erano laggiù in fondo, raccolti come ad amarsi, a consigliarsi; e alla poca luce che poteva là dentro, biancheggiavano in forme incerte. Più in là si vedeva buio, e pareva che ne venisse un’aria tetra, greve, umida, forse quella dell’eternità. Il giovinetto si spinse avanti carponi, e già stendeva la mano sopra uno dei teschi; quando i due del coperchio udirono una voce di donna gridare arrangolata dando loro dei monelli, disturbatori di morti! Subito la pietra del sepolcro ricadde con un tonfo pauroso; e i passi dei due fuggenti compagni suonarono cupi, sul capo del tapinello, rimastovi chiuso. Egli non osò movere un dito dalla paura d’urtare in qualche morto, levatosi a vedere che fosse; ma nè allora nè mai, seppe quanto rimase a quella tortura. Il fatto finì, che i compagni ritornarono; la tomba fu scoperchiata un’altra volta; egli agile come un tigrotto, ne fu fuori di lancio; e giù sui due menò tanti colpi e tanti n’ebbe, che se non fosse stata a chetarli a colpi di rastrello, quella donna istessa ch’era cagione del guaio, qualcuno dei tre finiva ridotto a mal partito. Ritornarono mesti, mogi, a mani vuote da quella spedizione; e per lunga pezza non ebbero più pensiero nè di quei crani, nè del convento.

Tornando al quale, ed alla chiesa, qual era in sul finire del secolo passato: seguiterò a dire come fosse ricca di marmi, e avesse un coro di legno di ciliegio, lavoro antico d’un intagliatore Lombardo, stralevigato dai dorsi de’ frati a segno che i novizi vi andavano a specchiarsi. V’era una cantoria angusta, tarmata, e un pulpito pitturato, bigoncia e pilastro, di certi simboli rossi su fondo giallo; ed io immagino che moltissime volte saranno [p. 125 modifica]stati scambiati per papaveri, o per qualche altra pianta sonnifera, dai fedeli dei tempi, in cui i frati vi salivano a predicare.

Dalla chiesa per una porticina, si passava nel chiostro. Questo come tutti i chiostri, era bello davvero. Le sue colonnine di pietra verdastra sorreggono ancora gli archi leggiadri e severi; a ognuno dei quali corrisponde nelle pareti intorno, sotto le volte, un affresco. Ivi sono rappresentati i miracoli operati sulla terra dal Santo Fondatore; piedi troncati colla scure e colla scure rappiccati; uomini storpi raddrizzati; ciechi illuminati, tanti che sarebbe lunga litania, a voler descrivere tutti quei gesti maravigliosi.

Per un’altra postierla, aperta traverso un muro grosso come di castello; si poteva entrare dal chiostro nella cucina: e il visitatore stupiva dell’ampiezza inaspettata di questa. Faceva contrasto l’angustia delle finestre, munite di sode inferriate, le quali colla poca luce che mettevano dentro, davano un aspetto tetro alla vòlta e alle pareti, tralucenti pel fumo venutosi aggrumando a guisa di vernice nerissima: e più di tutto dava nell’occhio la smisurata cappa del camino, la quale aveva l’aria d’un mostro, che spalancasse la gola a divorare là dentro ogni cosa. La porta maggiore della cucina, del paro che quella del chiostro, mettevano sotto un portichetto, che formava un angolo retto colla facciata della chiesa, e aveva dinanzi un piazzale, dove i contadini si raccoglievano la domenica, a chiaccherare del tempo e dei ricolti, fin che entrando le messe i campanelli dalla chiesa ne li facessero avvisati. Stando sotto quel portichetto, a sedere su d’una cassapanca di legno grossolano lavorato a colpi di scure, e vecchia di chi sa quanti secoli; i conversi, i cuochi ricreavano la vista, in due lunghi e bellissimi pergolati; le travicelle dei quali erano sorrette dai muriccioli degli orti, e da due ordini di pilastrini; e in mezzo a questi correva la via, per cui dalla valle si veniva al convento. Sotto i [p. 126 modifica]pergolati solevano passeggiare i frati coi loro amici delle terre vicine, che venivano soventi a visitarli, per desinare assieme, per consigli, o per deporre il peso delle scrupolose coscienze: e se le pietre parlassero, quei pilastrini ci potrebbero narrare chi sa che allegre cose, dette all’ombra delle viti che vivono ancora assai rigogliose.

Il rimanente dell’edificio, era somigliante, in ogni parte, a tutti i conventi. Aveva due corridoi lunghi, incrocicchiati, ai capi dei quali si aprivano grandi balconi: e lungo le pareti porte di celle anguste, ognuna col suo santo, monaca o frate, a fresco sopra l’architrave. Il refettorio poi, (che io non lo dimentichi), era in sito delizioso; e dava colle finestre su d’un orto ricco, d’alberi e di pozzi d’acque limpidissime. Questi pozzi coperti di viluppi d’erbe, oggi paiono poco; ma in fondo vi gracidano le rane, quasi per ammonire l’uomo che badi a non vi cascar dentro, essendovi l’acqua pericolosa, e di rado v’ha qualcuno per averne aiuto.

I frati di questo convento erano la meglio parte delle terre di Monferrato e delle Langhe. Ve ne venivano talvolta dalla Liguria; ma gli uni e gli altri, a quel che intesi dai vecchi, vi si accomodavano assai bene, e se ne andavano a malincuore. Tenevano in mano molte fila della vita civile e domestica nei borghi vicini; predicavano, confessavano, pregavano, parevano tanti santi e tra loro in gran concordia; sebbene anche in quello come in tutti i sodalizi del mondo, covassero le invidie, le gelosie, gli odi; e si potesse assomigliarlo ad un lago quieto come specchio alla faccia, e giù giù nei fondi, agitato da pesci d’ogni sorta, persino mostruosi. I loro cercatori correndo i contadi raccoglievano copia d’ogni ben di Dio, n’avessero potuto portare; e rivenivano ogni sera carichi come api ed allegri sempre.

Costoro non si veggono più girare per le vie e pei campi, col sacco della cerca in ispalla; e del vasto edificio avanza appena un’ala che si possa abitare da [p. 127 modifica]cristiani. Vi sta una famigliuola di coloni, che mandano innanzi a podere le terre intorno. Corridoi e celle sono crollati o offesi da larghe crepe: la chiesa non ha più tetto; gli altari sono scalcinati; il campanile si regge a stento, e fa segno di non saper bene dove si abbia a coricare, o sulla terra, dell’orto, o sul grembo erboso della chiesa. Ma non andrà guari e sarà anch’esso confuso coi ruderi sconvolti come per terremoto; e nulla, più nulla, parlerà di quello che era il convento or sono settant’anni. A me duole assai di questo, ma più dei frati, chè tra loro neppure uno ha lasciato memoria di sapienza, d’amore, o d’altre virtù. Che importa a noi sapere che venivano coll’età molto avanti? Forse gli è appunto per aver badato a vivere lunga vita, che sono morti del tutto: e sebbene delle loro ossa siano piene quattro tombe; queste non han nulla da dire al visitatore, che ascolta le coppie di colombi tubare dal campanile i loro dolci amori, ricolmando di mestizia gli archi, le vôlte, quell’ingombro di ruderi, e quell’erbe lussureggianti. Incontra talora di vedere qualche personcina, sfatta, macilenta, gialla come per febbre maremmana, fuggire per un bosco, far capolino da un uscio, o nascondersi dietro una colonna cadente. V’ha da rimanere attoniti, come se fosse un’anima di frate venuta dall’altro mondo; e sarà un figlio del colono, guasto, poveretto, dalla malaria di quelle ruine. Il bosco è bello ancora, ma mostra qua e là di larghe radaie; la mano del tempo e dell’uomo vi fanno a gara nel distruggere; tuttavia l’occhio si posa da lontano, assai volentieri, su quella valletta, come in luogo di pace.

Quando la cascinaia del signor Fedele giunse al convento, il padre Anacleto era sul rialto, donde poche ore prima, il guardiano aveva arringata la turba andata in guerra. Egli girava intorno a certo pilastro sormontato da una croce di ferro, al fresco delle grandi querce che ombravano il poggiolino. I frati solevano venirvi a riposarsi in sul desinare, e a dire le barzellette alla gente [p. 128 modifica]che passava, per la via appiè di quello. Essendo ancora mattino, il padre Anacleto vi stava solo soletto, teneva il breviario sotto il braccio, e colle mani una sull’altra, diceva passeggiando le ore.

Parve alla povera donna, che Dio l’avesse posto là ad aspettar lei; e appressandosi peritosa, come potè chiamollo a nome sommessamente.

«Oh!.... — sclamò il frate mettendosi sulla persona altezzoso; — sei tu? Ebbene? Tuo marito se n’è andato anch’egli col figlio maggiore nevvero?

L’altra imbambolava a queste prime parole, e stava per fregarsi gli occhi col dosso della mano; ma il frate accorto, soggiungeva:

«Hanno fatto bene! L’intenzione è santa..., ma io credo che non avremo mestieri delle loro forze; e quand’anche fosse, il Signore sa quali sono i nostri....; bisogna avere fede in lui, e starsi di buona voglia. Allegri!»

E tornò a passeggiare, come, se con questo le avesse detto addio. Ma essa con voce umile e timorosa:

«O signor padre, mi perdoni, sono venuta per parlare con lei....

«Con me? Allora son qui!» rispose il frate fermandosi di nuovo; e prese l’aspetto d’uomo che tiene una mano su in cielo e l’altra sopra la terra: certo che colei veniva con qualcuna delle noie, solite ad essergli date dalle foresi, le quali erano lì ogni poco, a fargli recitare il responsorio di Sant’Antonio per ritrovare la gallina perduta; o con uno scrupolo da sciogliere; o con un sogno da decifrare.

«Veniva per confessarmi — disse la campagnuola. Ed egli a lei:

«Ma se fa appena un mese che hai fatta la pasqua. Che ci hai di nuovo?

«Peccati, no: ma ho certa cosa che mi pesa sull’anima; e mi pare che se io non la dico, il mio povero uomo avrà la mala ventura. Son venuta qui parecchie volte...

«Spicciati, spicciati, — interruppe il frate. [p. 129 modifica]

«Ecco! Ella sa che i padroni sono in villa: ma ha da sapere che quella notte in cui ci vennero, voglio dire quando fu mattino, il signor Fedele, prima di tornare a C.... mi disse che portando la colazione alle signore, badassi bene a non parlare con esse, perchè alla Bianca voleva dar volta il cervello, e vedeva tutto, spie, nemici, Francesi e che so io....

«Caspita! — sclamò il frate, quasi maravigliando di quelle cose seguite a sua insaputa.

«Ascolti, ascolti! — continuò la donna pigliando animo: — portando la roba io mi sono lasciata tirare dalla curiosità, e andai ad origliare all’uscio delle donne. Parlavano tra loro, e Bianca diceva cose..., cose, poverina, da far piangere! Altro che impazzare! parlava come un libro; ma non ho potuto capire nulla, salvo che vuol farsi monaca, e che non vuol essere sacrificata... Basta! Il fatto è questo, che da quel giorno, in casa ci pare il mortorio; e il signor Fedele, quando lo vedo, fa tremare anche me. È torbido come se gli si avesse tolto il pasto di bocca... Se ella ci andasse a vedere un poco... Ah!... già mi dimenticava; il padrone sin da stamane s’è nascosto in cantina, e non c’è santi per farlo venir fuori: la palazzina è chiusa, ma dentro ci si sente la disperazione!

«Allora vado» — disse il frate; e la donnicciola ringraziandolo mosse verso il convento a udirvi messa, spigliata come si fosse tolto di dosso un macigno. Egli poi, stato un altro poco a girare intorno al pilastro, si segnò due volte, e s’avviò alla villa del signor Fedele.

Vi giunse che questi aveva scacciato con grandi minaccie Bianca e Margherita, tornate a pregarlo si togliesse di quel brutto luogo, che quei furiosi se n’erano andati: ma le loro preghiere avrebbero mosso a pietà qualunque crudele, non lui. Scendevano e salivano dalla cantina alla stanza, dov’era la zia Maria, e con essa facevano le dolorose querele; quando s’intese un picchio [p. 130 modifica]leggero all’uscio di sotto, e Bianca affacciandosi sclamò: «il padre Anacleto!»

La cieca, credè, a quel nome, di ricevere un messaggio del cielo; Bianca corse da non veder le scale, a suo padre, dicendogli del frate; e Margherita non aveva quasi avuto tempo di raggiungerla, che il signor Fedele, come se una mano poderosa l’avesse afferrato per le gambe; vergognoso di sè, in meno che non aveva fatto ad entrare in quella sorta di tana, ne era già fuori. Ma ahimè, come concio! Pareva un masnadiero fuggito, per qualche fogna al bargello; per giunta un nugolo di molesti moscioni, gli si turbinavano intorno al viso, ed alla persona. Bianca si provava a nettarlo, e piangeva; Margherita, aperta la porta, faceva venir dentro il padre Anacleto.

«Deo gratias!» — disse questi facendosi oltre diritto, verso la parte onde veniva la voce del signor Fedele; ma vedendolo qual era — «che fatto è questo — sclamò, — che ti veggo scompigliato a codesto modo?» Il frate dava del tu a tutti, salvo che agli ecclesiastici più vecchi di lui.

«Eh! padre — rispondeva l’altro, — ella viene in casa a un ospite sventurato! Ero disceso in cantina, per vedervi come sto a vini stagionati; mi prese il capogiro, caddi, e buon per me che queste mie figliuole furono pronte ad aiutarmi.»

Se là dentro fosse stato un po’ più di luce, il frate avrebbe visto sui volti delle due fanciulle, i segni della maraviglia, in cui l’infingimento del padre mise le loro anime semplici. Ma non ebbe neanco tempo di dire al signor Fedele, che ringraziasse il Signore di avergli tenuta sul capo la sua santa mano; che costui scaricando su Bianca il miscuglio tempestoso di passioni, che gli fiottava nell’animo:

«E voi — le gridava — voi, che ci fate qui? Andate al vostro posto!...»

La povera giovane, che quasi s’era dimenticata d’ogni [p. 131 modifica]patimento, solo per aver potuto parlare quelle poche ore colla zia e colla sorella; rimase a quelle parole, come se venuta tapina a chiedere la carità, le avessero chiuso in faccia l’uscio di casa sua. Di che, chinando gli occhi mestamente, si volse addietro, salì le scale, ritornò nella sua camera, ai suoi silenzi. Margherita stette senza saper che si fare, addolorata di veder ricominciata la trista istoria: poi usci sull’aia singhiozzando da sola.

Allora il padre Anacleto, capì che sotto quei portamenti v’era qualcosa, di cui la cascinaia gli aveva fatti a ragione i grossi misteri. E valendosi della considerazione, in cui sapeva d’essere tenuto dal signor Fedele, presolo per la mano, con dimestichezza paterna, gli disse:

«Fedele, tu sei più vecchio di me, ma io sono più di te esperto della vita. Sai che io ti sono amico, non t’ho mai veduto così severo colle tue figliuole; che t’hanno fatto? Non mi hai detto or ora, come t’han mostrato d’amarti? Dacchè non ti ho riveduto, tu sei mutato in viso, ma molto mutato: segno che non sei contento! Perchè non sei venuto da me? A dirti il vero qualcosa mi diceva qua dentro: «egli non viene da te, e tu va da lui!» e sono venuto, ed ecco che non m’ingannai. Che posso per te? Noi siamo ai servigi dei felici e dei mesti, dei ricchi e dei poveri..... parla pure....

«Oh, padre! — rispose basso il signor Fedele — questa è la casa dell’afflizione! Se dura così un altro mese, qualcuno di noi sarà portato al sepolcro!

«Oh! — sclamò il frate — dunque c’è a mezzo qualche seria faccenda?

«Seria! altro che seria! — proseguì sospirando il signor Fedele, che stato in forse quei pochi momenti, aveva deciso di confidarsi al frate delle cose di casa sua: — i figliuoli de’ nostri tempi, non obbediscono più i loro padri, e il mondo va per la via torta....

«Il mondo si sfascia come un cadavere — sentenziò il padre Anacleto; ed ambidue uscirono all’aperto, [p. 132 modifica]mettendosi sotto il pergolato tuttavia poco ombroso. Buon pel signor Fedele che niuno lo vide, conciato com’era; chè all’aspetto strano, gli avrebbe scemata la stima.

«Ecco — diceva egli continuando; — ella sa, padre, che le mie due figliuole mi sono più care che le pupille. M’è capitato per la prima di esse un partito, un partito da renderne invidiosa una principessa. La trista non vuole saperne.... e sono settimane che mi arrovello a trovar modo di farle far senno. Baje! Essa mi si fa sempre più cocciuta, e quasi io perdo la santa pazienza. Non mi pare vero; così dolce com’è....!

«Eh! — disse il frate — del vino dolce si fa l’aceto forte. Ma l’uomo che tu le vuoi dare, le piace?

«Via! — rispose l’altro tentennando un tantino; — diciam gatta alla gatta, pare che no.

«O allora, che vuoi? Farle forza? È tanto giovane, e non v’ha da temere che ti rimanga in casa zitella. E colui del partito, non può aspettare?

«Che aspettare! Questo partito mi fa come la palla; mi balza in mano e se non le do mio danno! Mi sia segreto padre; questo partito è un uffiziale alemanno, ricco come il mare; e la piglierebbe senza parlar di dote. Così quel po’ di ben di Dio che abbiamo al sole, mi basterebbe a maritar la sorella più ricca....

«Dà retta — interruppe il frate — sai di qualcuno quassù cui tua figlia voglia bene?

«Questo — rispose l’altro, tastandosi la nuca, e poi badando alle dita che gli rimasero piene di ragnatele: — questo sospetto nacque anche a me... e... giacchè ci siamo, le dirò tutto. Sarà un mese, proprio il giorno in cui l’alemanno mi chiese Bianca; venne da me una signora di D...: ella che fu laggiù a fare il quaresimale, la conoscerà.... è la signora Maddalena.... venne, e quattro e quattr’otto, mi chiese anch’essa la figlia per suo figliuolo che si chiama Giuliano....»

Udire questo nome, aggrottare le ciglia, farsi indietro un passo; fu pel padre Anacleto un solo atto. E appuntando l’indice della destra nel signor Fedele. [p. 133 modifica]

«E tu, — sclamò — dovevi risponderle, che se suo figlio vuole una moglie, se la vada a cercare nelle terre di Calvino, di Lutero, in Turchia....!

«Turchia? — disse il signor Fedele — o che è questo, ch’ella mi fa tremare le gambe?

«Bisognerebbe che tu fossi stato a D.... sarà giusto un mese, per sapere ciò che dico! Bisognerebbe avere inteso le parole, che colui osò dire al pievano di laggiù. Cose da temere che gli si aprisse la terra sotto i piedi! Ah Fedele, quale sventura, se tua figlia volesse bene a quell’empio!»

«Oh Dio! che può essere, e forse è!

«Non sai che colui è stato scolaro di don Marco?

«Sicuro!....

«E che dalla casa di questo matto benedetto alla tua, non v’ha di mezzo che il vicolo?

«Già!

«Credilo a me, quando quella signora venne, i due giovani avevano bell’e fatto l’accordo.

«Eppure non si sono parlati mai....! disse il signor Fedele rotando gli occhi.

«Oh! quanto a questo, pensa alla tua giovinezza. Fedele, questa passione, se v’è, la levo io dal cuore di Bianca. Una ragazza non deve porre in pericolo l’anima sua.... dell’anime non ne abbiamo che una, e con un Volteriano per marito, essa non si salverebbe di certo. Fammela vedere.

«Sì! sì! padre, e badi a convertirla; io poi farò il debito mio verso lei, e verso San Francesco....»

Così dicendo, mise dentro la palazzina il frate, e salirono in sala. Là cortesie e accoglienze liete tra damigella Maria e Margherita e quest’ultimo; il quale chiesto di Bianca, gli fu insegnato dalla sorella la camera del piano di sopra, dov’era. Ed egli fece la scala accompagnato dalle benedizioni delle due donne, cui pareva gran ventura la visita d’un uomo, che forse veniva recando seco il segreto della consolazione. [p. 134 modifica]

Frattanto il signor Fedele, che s’era andato a ricomporre un tantino i panni in altra stanza, fattosi sull’uscio della sala, con certa allegrezza nuova nella voce, diceva alla cieca:

«Cognata, pensate al desinare; lo voglio sontuoso, perchè terremo con noi il padre Anacleto: tu Margherita corri dalla massaia, che tiri il collo a un par di piccioni e a una gallina; con un sorso d’aceto che io metterò loro in gola, diventeranno di buona cottoia lì per lì; diamoci attorno leste, e se vi bisogna aiuto son qua io. Che? ridi? ridete? In opera di cuocere vedrete chi sono!»

A questo fare piacevole, mai più costumato da lui, la zia Maria e Margherita, si sentirono proprio rinate. Che tutto questo mutamento d’anima e di modi, venisse dal padre Anacleto? Che gli avesse toccato il cuore? Lo benedissero cento volte, nè la cieca avrebbe fatto di più, se il frate le avesse dato un barlume. La nipote valeva dieci cotanti più degli altri giorni; e di sù di giù, una affaccendata, l’altra in cucina; in un batter d’occhio le pentole bollivano, le padelle friggevano; avessero potuto imbandire pupille di fagiani, sarebbero loro parso poco pel frate; al quale, l’odore delle vivande gratissimo, saliva dalla cucina fin nella camera di Bianca.

Egli v’era entrato, come a entrare nella propria cella; mentre la fanciulla, appoggiata al davanzale della finestra, guardava fuori la campagna, e i colli e i monti lontani. E a veder biancheggiare qualche campanile che accennasse un villaggio romito; si sentiva rapire il cuore a quella lontananza, come se là avesse potuto vivere felice.

«Bianca, — aveva detto il padre Anacleto, dopo essersi soffermato un tantino sulla soglia, a mirare la bella in quel suo raccoglimento: — Bianca, tu stai guardando i campi, come se attendessi da qualche parte un portatore di novelle liete...» [p. 135 modifica]

La fanciulla, che s’era volta addietro alla prima chiamata; col volto chino, come temesse di lasciare scoperti i mesti pensieri; si fece incontro al frate, per baciarli il cordone; ma questi le porse la mano. Essa la baciò, e poi disse:

«Oh padre, come ha fatto bene a venire quassù! Non l’ho più riveduta da due mesi, sa? quel giorno che venne a C.... al mortorio di quella povera mia amica.... Povera! io, povera, e non essa! ma faccio per dire...

«O che hai con queste malinconie! — sclamò il frate, — lo so anch’io, che a questo modo andrai a male colla salute! — E tenendole alta la fronte colla mano, che essa aveva baciata, e guardandola maestoso nel viso, soggiunse: — dunque, tu non mi vuoi dire che cosa aspetti, o che cosa cerchi cogli occhi, da quella finestra?

«Nulla! — rispose Bianca — io non aspetto nulla. Guardava così, per quei campi; e pensava che sotterra si deve stare quieti quieti, in queste lunghe giornate che non vogliono mai finire. Cercava, quale sarebbe il più bel posto per farvisi scavare il sepolcro.

«Bei pensieri! — disse il padre Anacleto: — pensieri che sono nella gioventù, come i tarli in legno prezioso!

«Eppure ci si prova una dolcezza, una soave dolcezza...!

«Un’amarezza che uccide lentamente, dovresti dire! Tu hai bisogno di consolazioni, fanciulla; e se io potessi toglierti dal cuore le tue malinconie, sarei lieto d’aver servito Dio nella sua creatura. Ma già io non posso nulla....»

A queste parole Bianca prese animo e disse: «Oh! ella potrebbe tutto, se volesse farmi il bene che io le chiederei...!»

«Parla son qui a posta! — s’affrettò a dire il frate — accostiamoci alla finestra, e parla: che hai, che ti hanno fatto? io sono un umile consigliere, un povero [p. 136 modifica]mortale, ma alle volte Dio si compiace in noi, e parla colle nostre labbra.

«Ebbene, — cominciò Bianca, mostrando di volersi rimettere in lui: — vidi soventi frati forastieri venire quassù; se da qualcuno di questi, si potesse sapere dove sia il monastero più vicino a noi; ma un monastero che vi si entri per non uscirne più, nè vivi nè morti.... e se mi ottenesse da mio padre la grazia di farmi monaca in quello: io pregherei per la sua salute tutto il resto della mia vita, e mi ricorderei di lei, padre, come del mio più grande benefattore....»

Il frate aveva sorriso alla semplicità di Bianca, la quale pensava che oltre la cerchia di quelle montagne, il mondo fosse anche per lui ignoto. Ed essa, dicendo, aveva a poco a poco osato alzare gli occhi negli occhi di lui; e lo sguardo le si era fatto così eloquente, che egli vi lesse dentro tutto l’animo della donzella, decisa a quel passo di cui parlava. Stimò buona cosa venir col discorso a seconda di quei desideri mesti e profondi; e dopo un tantino di silenzio, disse:

«E sta bene! Fanciulla che si manifesta inclinata a diventare sposa di Cristo, bisogna aiutarla, e t’aiuterò. Appena di là di questi monti, che abbiamo in faccia, nell’altra Bormida, in un luogo che più ameno non potrebbe essere, v’ha un monastero dove tu saresti sempre la benvenuta... Ma..., poni mente a quel che ti dico: quella che tu vagheggi è una vita dura..., una vita di penitenze in cui si spegne la giovinezza; anzi si cerca di struggerla, come un incenso che si brucia per mandarne il profumo al cielo...»

Bianca provava una voluttà amara a udire di quel martirio; e il frate continuava:

«Tu, lo veggo, gioisci a queste notizie, o anima eletta! Ma..., quando avrai fatto il gran passo, oltre quella soglia da cui non si esce mai più; se tu venissi a sapere che tuo padre ne sarà rimasto accorato da morirne; se la tua Margherita, e la tua povera zia, che ti tenne [p. 137 modifica]amorosa luogo di madre; perdendoti come tu fossi morta, non potessero darsi pace, e morissero anch’esse di dolore: tu sapendolo là dentro, (e lo saprai perchè, in quei chiostri solitari, dove non si fa altro che patire e pregare per tutti i peccatori della terra, il cuore parla la verità); ebbene non ti sentirai pigliare dallo sgomento di aver fatto tanto male, d’avere aperto tre tombe ai tuoi più cari?»

La fanciulla ruppe in pianto, e le lagrime le caddero per le guancie sul seno affannato. Di che il frate mutò subito la voce e gli atti, e fattosi dolcissimo, soggiunse:

«Vedi? Oh, io lo so molto bene come sono fatti i vostri cuori! La solitudine, il chiostro, illusioni; ma l’obblio delle case nostre, dei nostri affetti, siamo sicuri di averlo acquistato? Non parlare più, per ora, di monastero. Se Dio ne’ suoi consigli t’avrà chiamata; quei consigli non mutano, e te li significherà meglio, domani, tra un mese, tra un anno, quando a lui piacerà... Oggi tu devi essere savia, avere più fiducia nel mondo..., voglio dire ne’ tuoi..., in tuo padre..., in me se mi degni...: insomma se t’ho a dire la verità, io temo che tu non mi dica nè tutto nè metà di quel che dovresti, ad uno cui domandi aiuto; e se debbo andarmene, io me ne vado...»

E fece atto di partire.

«Oh! no, padre, — sclamò Bianca rattenendolo colle sue candide mani; — non se ne vada, per amor di Dio! Adesso mi pare che avrei a dirle tante cose; ma ho un cerchio al capo, un cerchio come di ferro, di fuoco, e tutte le mie idee mi sembrano svanite...

«Via, — disse il padre Anacleto, segnando col dito il cuore della fanciulla; — le tue idee svaniscono, ma non svanisce quello che tu hai costaggiù. Dimmi il vero, Bianca, dimmelo che darai gloria a Dio! E perdonami se io entro in te, ma lo fo pel tuo meglio...; dimmelo, tu vuoi bene a qualcuno...» [p. 138 modifica]

Il fiore di melagrano appena sbocciato è una pallidezza, paragonato al rossore di cui la giovinetta si tinse. Ma non fece segno di voler celar l’animo; chè anzi guardando il frate umilmente, e rifatta pallida, pallida, chiese sommessa: «È forse male?

«Male..., male no! — rispose il frate — anzi dirò che il voler bene, come comanda Dio, viene da gentilezza di cuore... Ma alle volte, questo benedetto cuore, inesperto, s’apre ad affetti, che poi si mutano in pentimenti...; e ora che ti guardo meglio, mi pari così diversa da quella di prima, che io temo tu non abbia posto amore in qualche uomo indegno di te...

«Indegno? — proruppe Bianca facendosi tutta fuoco, e atteggiandosi che non pareva più una fanciulla timida ed oppressa, ma donna forte da far valere la verità: — Se ella conoscesse quel giovane, non avrebbe detto questa parola!»

E rimase guardando il frate, le palpebre abbassate un tantino, e il labbro sporto sdegnosamente, come chi ha detto, e non vuol udir altro. Ma il frate senza scomporsi:

«Questo tuo sdegno nobilissimo mi persuade ch’egli sia giovane dabbene; e se le mie parole t’avessero offesa, me ne dorrebbe assai. Ma noi si fa sempre e si dice in fin di bene, e se tu vuoi che io ne parli a tuo padre, dimmi il nome...

«Oh! no, no, per carità, — interruppe la giovinetta — non dica nulla! Mio padre mi ha detto un giorno che se sapesse che io voglio bene a qualcuno, egli sarebbe uomo da farlo ammazzare...!

«Bah! Sono cose che si dicono nella collera! Sta di buon animo, la mia fanciulla, che tutto si accomoderà secondo il volere di Dio...

«Ma mio padre m’ha promessa ad un altro...!

«E tu fagli bel viso, che alla fine delle fini non è un tiranno! Forse io sono destinato a ricondurti la gioia in casa... Ma tu hai un torto, un torto grave...; non m’hai [p. 139 modifica]voluto dire quel nome... eppure me lo dirai, lo saprò; oh! lo saprò e forse lo so fin d’ora...»

Se il signor Fedele non fosse entrato a rompere quel discorso, Bianca avrebbe di certo finito per dire quel nome, che d’altra parte il padre Anacleto sapeva da sè. Ingenua e col cuore traboccante di dolore, stava per isfogare la sua grande passione, messa in vampe dalle parole del frate, come brace sopra cui si scarichi improvvisa una buffa di vento.

«Padre, — diceva il signor Fedele, facendosi sull’uscio della cameretta; — oggi lo vogliamo a far penitenza con noi. Bianca, a momenti s’entra in tavola, prega il signor padre a volerci degnare.»

Bianca, che a veder comparire il padre suo, s’era rifatta sopra sè stessa, rivolgendo timidamente gli occhi alla campagna; stupì del modo di quegli inviti, che tornava così diverso dai trattamenti avuti un’ora prima. Il frate, scostatosi da essa, si fece far largo dolcemente dal signor Fedele, per uscire, e gli susurrò all’orecchio: «M’hai disturbato; ma va e sii dolce; col miele si pigliano l’api» — E gradino, gradino discese in sala.

L’altro, che a quelle parole fece tra sè e sè conto di rimettersi tutto nel frate; mosse verso Bianca, e vezzeggiandola, come non aveva mai fatto, le prese la mano, e menandosela dietro amorevolmente, diceva:

«Vieni, Biancuccia, che tu hai a fare gli onori di casa al padre Anacleto; mangeremo un boccone in santa pace ed allegria; poi sarà quel che Dio vorrà. T’ho maltrattata stamattina, ma quei villani m’avevano fatto perdere il capo..., vieni...»

La fanciulla, si sentì come a cascar di dosso la gramaglia, e mutarsi in una veste di tutti i colori più belli. A lei sorrise l’anima, a lui sorrisero le labbra; e come se nulla fosse stato dei lunghi bronci, discesero anch’essi in sala.

Trovarono la cieca, Margherita, col padre Anacleto che pareva stesse dicendo loro le sue più dolci parole; [p. 140 modifica]ma costui quando li vide venir dentro, bilicata tra l’indice e il pollice della destra la sua tabacchiera, e facendole fare mulinelli, mutò discorso giocondamente.

«Dunque, — diceva — oggi m’ho a fermare a far penitenza con voi? Sarà una penitenza assai dura a quel che sento nell’aria; ma cogli amici ogni patire torna godimento...

«Sempre gaio il padre Anacleto! — diceva damigella Maria, la quale chi sa quel che avrebbe dato, per vederlo un istante in viso.

«L’animo lieto fa l’età fiorita! — rispondeva egli: lo dice Salomone. Ed essa:

«Mi vuole a lato?

«Sì! e vedrò di raccontarvi qualche istoria che vi tenga allegri...

«Allora entriamo a mensa; — disse il signor Fedele — e ad uno ad uno come fanno i frati: dico bene padre?

«Ad uno ad uno, a far penitenza...»

Così rispose il frate, ed entrarono nella stanza, dove avevano messo in tavola. Questa era un po’ angusta, ma ariosa, e per la gran luce che vi veniva dentro da due finestre, pareva la sede dell’allegrezza. Pigliarono ognuno il suo posto; e Bianca quasi non rammentò d’essersi seduta là tanti giorni, per inghiottire bocconi amari. A tutti sembrava d’uscire da un inverno tetro e caliginoso, e che allora appunto il tempo si mettesse alla più bella primavera del mondo.

Mangiavano, bevevano, chiacchieravano in un dolce abbandono d’ogni cerimonia: e dissero a lungo della gente, mossa quella mattina contro i Francesi. «Chi sa dove saranno...? a quest’ora avranno fatto sosta qua, l’avran fatta là...; da C..., da M..., da A..., chi sa quanti ne saranno andati? Forse i tali..., forse i tali altri...?» E poi strologarono sul tempo che sarebbe durata l’impresa; e giù altre congetture, altri presagi, che tutti venivano chiusi, come i salmi dal gloria, con un: «sarà [p. 141 modifica]fatta la volontà di Dio!» detto dal padre Anacleto devotamente. Così l’ilarità, e le piacevolezze, durarono tutto il tempo del desinare; il quale fu lungo e inaffiato di vini deliziosi, che il signor Fedele teneva riposti chi sa da quanti anni. Ma come ogni cosa in cui si pigli diletto ha presto fine; così venne l’ora di levarsi da mensa, e il frate si ricordò di aver da tornare al convento. Il signor Fedele volle accompagnarlo, e Bianca chiese di seguirli. Allora preso commiato da damigella Maria e da Margherita, il padre Anacleto uscì con essi; e s’avviarono passo passo, al dolce calore del sol di maggio, che tramontando alle loro spalle, stendeva le loro ombre lunghe lunghe, ora sulla via, ora sulle prode dei campi.

Come furono in parte, dove l’andare si faceva disagevole, si congedarono a vicenda con inviti e promesse per l’indomani; e il frate volte le spalle, si mise a camminare spedito per un sentiero traverso che menava al convento. Bianca gli guardò dietro mentre egli s’allontanava, e le pareva sentirsi venir meno un grande aiuto; timorosa di rimanere sola col babbo, che forse le avrebbe chiesto del colloquio avuto da essa col padre Anacleto. Ma egli fu contento di sbirciarla sorridendo, e nel tornare a casa, le parlò di tutt’altro da quel che essa temeva; non volendo rischiarsi a guastare l’opera, a quel che pareva, bene intrapresa dal frate.

Intanto, Margherita dalla finestra stava a vedere, e diceva alla zia i loro passi. Quando il padre Anacleto fu per uscirle di vista, in capo a quel sentiero grigio, che si perdeva nel bosco, essa si volse alla cieca dicendo:

«Ecco; il padre Anacleto non si vede quasi più; entra nel bosco... è scomparso.

«Santo uomo! che Dio lo benedica: — disse la cieca — proprio possiamo dire, che se la pace e la concordia ci tornano in casa, è merito suo.

«E babbo e Bianca, sono costaggiù che tornano; e discorrono amorevolmente fra loro. [p. 142 modifica]

«È un miracolo, Margherita, un miracolo! E se dura vogliamo andare di notte, bell’e in mezzo al bosco dei frati, a far la novena intorno alla cappelletta di San Francesco. Tu e Bianca mi condurrete...

«Di notte nel bosco? Vi sono l’anime dei morti che singhiozzano sulle querce?

«Sono assiuoli e non anime di morti! Chi ti mette codeste ubbíe in capo? Eppoi pregando non s’ha a avere paura di nulla, perchè l’angelo custode ci sta sempre allato...»

In quel momento rientrarono Bianca e suo padre. La fanciulla era malinconica; ma come persona uscita di malattia che cominci a riavere la salute, mostrava a tratti qualche movenza allegra. Egli parlava a tutte e tre riguardoso, sempre temendo di rompere quella sorta d’incantesimo fatto dal frate; e quel giorno principiato nei trambusti e nel pianto, finiva per le loro quattro anime come per l’erbe dei campi e per gli augelli dell’aria, ai quali un tramonto dorato, prometteva per l’indomani un mattino di luce e d’amore.

Il padre Anacleto poi, giunto al convento che era l’ora d’andare in refettorio a cenare; per non farsi scorgere, s’andò a sedere al suo posto: ma com’è da pensarsi non prese nulla. Per ingannare quei momenti, si pose a guardare un affresco, che era in fondo alla sala, sopra la sedia del guardiano; e doveva rappresentare una cena, fatta tra San Rocco e non so quali altri santi. Dico così perchè di quell’affresco, sopravanzano pochi bocconi, essendo caduto l’intonaco del muro su cui era dipinto: ma una testa pennelleggiata assai bene; una spalla coperta di un sarrocchino sul quale spicca una conchiglia che par vera; un boccale e un piatto di verde sulla mensa danno a capire che in quella pittura si stava mangiando.

Pieno di pensieri, per la famiglia, dal cui desco s’era levato poc’anzi, il frate lasciò correre la mente ai parchi desinari fatti dagli Apostoli in casa d’amici, dove [p. 143 modifica]capitavano a consolare qualche afflitto od a soccorrerlo di loro consigli. Quasi quasi osava somigliare sè stesso ad uno di quelli; e di certo si tenne d’aver fatto in quel giorno molto bene il debito suo. E si ringalluzzava tutto, pensando che il pievano di D..., avrebbe potuto dire di Giuliano, che la pena per lui, teneva dietro alla colpa assai da vicino: e non vedeva l’ora di potergli scrivere che aveva scampata dalle insidie del demonio una giovane innamorata di quel suo parrocchiano senza legge e senza fede.