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voluto dire quel nome... eppure me lo dirai, lo saprò; oh! lo saprò e forse lo so fin d’ora...»

Se il signor Fedele non fosse entrato a rompere quel discorso, Bianca avrebbe di certo finito per dire quel nome, che d’altra parte il padre Anacleto sapeva da sè. Ingenua e col cuore traboccante di dolore, stava per isfogare la sua grande passione, messa in vampe dalle parole del frate, come brace sopra cui si scarichi improvvisa una buffa di vento.

«Padre, — diceva il signor Fedele, facendosi sull’uscio della cameretta; — oggi lo vogliamo a far penitenza con noi. Bianca, a momenti s’entra in tavola, prega il signor padre a volerci degnare.»

Bianca, che a veder comparire il padre suo, s’era rifatta sopra sè stessa, rivolgendo timidamente gli occhi alla campagna; stupì del modo di quegli inviti, che tornava così diverso dai trattamenti avuti un’ora prima. Il frate, scostatosi da essa, si fece far largo dolcemente dal signor Fedele, per uscire, e gli susurrò all’orecchio: «M’hai disturbato; ma va e sii dolce; col miele si pigliano l’api» — E gradino, gradino discese in sala.

L’altro, che a quelle parole fece tra sè e sè conto di rimettersi tutto nel frate; mosse verso Bianca, e vezzeggiandola, come non aveva mai fatto, le prese la mano, e menandosela dietro amorevolmente, diceva:

«Vieni, Biancuccia, che tu hai a fare gli onori di casa al padre Anacleto; mangeremo un boccone in santa pace ed allegria; poi sarà quel che Dio vorrà. T’ho maltrattata stamattina, ma quei villani m’avevano fatto perdere il capo..., vieni...»

La fanciulla, si sentì come a cascar di dosso la gramaglia, e mutarsi in una veste di tutti i colori più belli. A lei sorrise l’anima, a lui sorrisero le labbra; e come se nulla fosse stato dei lunghi bronci, discesero anch’essi in sala.

Trovarono la cieca, Margherita, col padre Anacleto che pareva stesse dicendo loro le sue più dolci parole;