Le ore inutili/L'intrusa

L'intrusa

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La salvatrice L'uomo tinto

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L’INTRUSA.

Nello scompartimento “signore sole„ le due donne viaggiavano d’oltre un’ora senza dirsi una parola, quasi senza guardarsi, immersa ognuna nei propri oscuri pensieri. Non si conoscevano: gli occhi, l’anima, la vita dell’una erano completamente ignoti agli occhi, all’anima, alla vita dell’altra, eppure un’intima, segreta preoccupazione, quasi un indefinibile disagio non le lasciava completamente indifferenti ed estranee come due viaggiatrici che l’indicazione di un orario ferroviario avvicini per alcune ore e poi separi per sempre.

Ognuna confusamente avrebbe desiderato che l’altra non fosse là, seduta in faccia a lei, con l’ombra di un occulto dolore diffusa sul volto stanco, con la traccia di un pianto recente sulle palpebre enfiate, con la piega dell’amarezza sulla bocca pallida. [p. 136 modifica]

Si riconoscevano entrambe rattristate da una comune e pure ignota angoscia, la quale era costretta a contenersi e a raffrenarsi per la presenza di quell’altra spettatrice e si irrigidiva ognuna nel proprio chiuso affanno, gettando tuttavia di quando in quando uno sguardo fra adirato ed ostile alla muta compagna che le sedeva di fronte.

Una delle viaggiatrici era giovane e bionda, ma alquanto pingue e vestita con una ingenua eleganza provinciale. Portava un mantello chiaro che ne disegnava senza grazia la persona esuberante e un cappello adorno di piume ad ala tesa il quale le impediva di appoggiarsi allo schienale, costringendola a rimanere rigida e impettita nella più incomoda delle posizioni.

Il viso che doveva aver brillato di singolare freschezza, era uno di quei volti a tratti piccoli ed irregolari i quali appassiscono rapidamente e sembrano chiudersi su se stessi come i fiori avvizziti, non appena la primissima giovinezza è passata.

Ella teneva quasi sempre il capo abbandonato sulla mano, nascondendo la faccia sotto l’ala del cappello e le dita che stringevano un piccolo fazzoletto orlato di trina si portavano di tanto in tanto furtivamente agli occhi quasi per tergervi un irrefrenabile pianto. [p. 137 modifica]

L’altra viaggiatrice poteva contare cinquant’anni ed era grigia di capelli, magra di volto e di persona, ma improntata nelle vesti, negli atti, nel portamento del capo e delle spalle a una grande distinzione, a una severa dignità.

Tutta in nero, pur senza crespi di lutto, con uno stretto cappello di velluto che le concedeva di adagiarsi senza impaccio nel suo angolo, ella aveva appoggiato il capo allo schienale e con gli occhi chiusi, il viso pallido e fine sotto il velo fitto, rimaneva immobile in un atteggiamento di inerte abbandono e insieme di rassegnata tristezza.

Le sue mani, nascoste in un grande manicotto di volpe nera, uscivan tratto tratto or l’una or l’altra con un movimento inconsciente ad accarezzare la copertina d’un volumetto ch’ella teneva sulle ginocchia e le sue dita nervose lo aprivano e lo richiudevano ripetutamente, mentre una ruga si incideva sulla sua fronte fra l’ali grige dei capelli ondulati, e il petto esile tra i risvolti dell’abito nero si sollevava, quasi a trattenere un’onda di angoscia irrompente.

Andavano così da più ore in quel treno semi-deserto attraverso alla campagna solitaria, fermandosi in brevi soste a qualche piccola sta[p. 138 modifica]zione sperduta e cadeva intanto a poco a poco la sera violacea sui campi.

Presso ad ogni fermata ciascuna delle viaggiatrici gettava sull’altra un rapido sguardo d’indagine e pensava:

— Ora essa scenderà. Ora io rimarrò sola col mio dolore senza che codesta importuna compagna mi osservi e mi commenti. Ora io potrò finalmente piangere, gettarmi sul divano e singhiozzare e gemere e non più comprimere dentro di me questo male che mi torce il cuore.

Ma il treno dopo una breve sosta ripigliava la sua corsa e nessuna delle viaggiatrici scendeva.

S’addensò la sera violacea sui campi, vi cadde la notte nera punteggiata in alto da uno sfolgorìo di stelle e le due donne ignote gettate dalla loro sorte attraverso alle buie strade del mondo, andavano andavano senza tregua, sedute l’una di fronte all’altra, mute e ostili, portando ognuna nell’anima oscura il suo triste segreto.

Ora la più giovane s’era tolto il cappello troppo ampio, e con le chiome abbondanti pettinate semplicemente e disposte a treccia intorno al visetto stanco appariva meno goffa, quasi infantile pur nel suo precoce sfiorimento. [p. 139 modifica]Meno padrona di sè della vicina, si abbandonava ora alla propria disperazione celandosi nell’ombra che riempiva gli angoli dello scompartimento e lasciava sfuggire qualche gemito dal petto oppresso e pieno di singulti.

La matura signora rimase qualche tempo ad ascoltare immobile quel pianto, più infastidita che commossa, quindi ritenne suo dovere, dovere di semplice umanità, di tentare una vaga parola di conforto.

— Signora, non si disperi così, — disse con la sua voce che era dolcissima e piena di inflessioni calde, come dev’essere la voce educata di una dama, — quel pianto le farà certo più male.

— È impossibile, — gemette l’altra senza sollevare il volto che teneva chiuso nelle palme e nascosto incontro allo schienale. — Quello ch’io soffro è così orribile! Mi sembra di morire, di morire anch’io con lui. E non mi resta altro da desiderare.

— Se il dolore di un’altra donna può confortarla, pensi che la mia angoscia è forse più grande della sua, sebbene certo diversa, — mormorò la signora attempata chiudendo gli occhi e sospirando profondamente; ma la sua compagna si strinse nelle spalle e crollò il capo in un disperato diniego. [p. 140 modifica]

Tacquero entrambe di nuovo, e la matura dama scrutò per un lungo momento nell’ombra la persona accasciata e sconvolta della giovane donna, e non aggiunse parola. Ma pensava intanto con amara meraviglia: — Anche costei va dunque incontro a qualcuno che muore, a qualcuno che ella ama? E chi sarà quest’altro agonizzante? Un fratello, un amante, un marito? V’erano dunque tanti che stavano morendo a quell’ora stessa?

Ella non rivolse più la parola alla sconosciuta, ma nell’ombra dello scompartimento, sotto la lampadina velata intensamente d’azzurro, incominciò pur essa a piangere in silenzio.

Piangeva senza un singhiozzo, senza un sospiro, senza un gemito le sue terribili lagrime materne che fino allora non avevano potuto sgorgare. Piangeva quasi per una comunicazione di debolezza dinanzi alla desolata anima umilmente messa a nudo da quell’altra afflitta. E se ne sentiva sollevata pur nella tragica incertezza in cui si dibatteva fra le ardenti speranze del cuore e gli sconsolati ammonimenti della ragione.

Poichè la donna matura correva a vedere e a salutare forse per l’ultima volta il suo figliuolo moribondo. Egli era partito quattro [p. 141 modifica]mesi innanzi per una cittadina del Veneto, vestito d’una bella divisa di ufficiale, seduto al volante della sua veloce automobile, allegro, disinvolto, brillante come ella non l’aveva mai veduto. E le sue lettere piene di gaiezza e di entusiasmo le erano giunte a intervalli frequenti e irregolari, rassicurandola sempre più ch’egli non correva quasi pericolo e che viveva lietamente e gagliardamente la sua avventurosa e varia esistenza di guerriero moderno.

Senonchè un giorno, in mezzo alla più illusa e fiduciosa tranquillità, un telegramma con poche ma orrende parole le era giunto: “Suo figlio gravemente ferito disastro automobilistico. Parta subito„.

Inebetita di terrore ella s’era buttata nel primo treno in partenza, e durante le lunghe ore del viaggio una specie di torpore fisico e spirituale s’era impadronito di lei, l’aveva tenuta ferma, immobile, quasi impassibile fra quelle quattro brevi pareti, rassegnata fatalmente alla lentezza di quel cammino che la portava incontro a suo figlio morente, forse a suo figlio morto.

Soltanto la presenza di quell’altra creatura dolorante, salita poco dopo di lei, le era sembrata dapprima intollerabile. Quella compagna impostale dalla sorte l’aveva costretta forse a [p. 142 modifica]chiudere dentro di sè, con più rigida austerità, il suo dolore lacerante, per quell’istintivo pudore composto di sensibilità e di orgoglio che aveva improntato tutti gli atti della sua vita di signora nobile e ricca.

L’ignota compagna continuava intanto a gemere nell’ombra con sollevamenti di singhiozzi in tutta la persona accasciata, quando il treno si inoltrò sotto una tettoia appena illuminata e qualcuno gridò il nome d’una città.

Era una stazione d’arrivo, il treno non andava più oltre. Tutti scendevano.

Scesero anche le due viaggiatrici e scomparvero piccole e nere per due strade diverse, inghiottite dalla oscurità paurosa che avvolgeva e proteggeva quella città di confine esposta agli attacchi di un aereo nemico.

Giunse la madre presso il letto di suo figlio moribondo e lo trovò desto ad attenderla, con gli occhi e le gote accesi dalla febbre, ma tremendamente presente a sè stesso e consapevole del suo stato. Le sorrise fievole e si lasciò baciare sulla fronte fra i capelli scomposti che ella con l’atto consueto della sua mano bianca e leggiera tentò di ravviare.

— Baciami, mamma, che me ne andrò presto, — le susurrò con uno sguardo di desolata implorazione. [p. 143 modifica]

Ella stoicamente potè reprimere l’irrompere di un grido che la strozzava e sedere accanto a lui accarezzando le sue mani con trepida tenerezza.

— Ti vorrei dire una cosa, — egli le mormorò quasi all’orecchio, battendo le palpebre con una timidità ritrosa che sua madre gli aveva conosciuta ai tempi dell’adolescenza. — È una cosa molto difficile a dirsi, — egli continuò parlando lento e aprendo e chiudendo le dita con un gesto nervoso, mentre il suo povero petto lacerato dall’urto del volante ansava di pena e di fatica.

— Dimmi, dimmi, caro, — lo incoraggiò la madre ansiosamente curva su di lui.

— C’è una donna, — riprese il malato a stento, quasi in un balbettìo sommesso, — c’è una donna da cui ho avuto un figlio sei anni fa e che ho sposato.

La madre strinse le mascelle e chiuse gli occhi. Fece dentro di sè, nel suo cuore orgoglioso il vuoto e il silenzio, si impedì di giudicare quel suo figliuolo morente che si confessava a lei.

— Il bambino è morto, — potè dire ancora l’infermo dopo una pausa, — ma ella è qui, ella vorrebbe vedermi un’ultima volta.

La madre alzò gli occhi al cielo, come per [p. 144 modifica]accettare quella suprema tortura, poi disse con voce rassegnata:

— Venga pure, io mi ritiro.

— No, mamma! Non mi lasciare! — supplicò il malato afferrandole le mani. — Bisogna che tu sia qui, bisogna che tu la veda, che tu le parli, che tu dopo.... dopo che me ne sarò andato la consideri un poco, oh! solo un poco, come una tua figlia.

— Ma, fanciullo mio, questa donna mi è sconosciuta. Forse non ha meritato il tuo amore, forse non meriterebbe quello che tu chiedi a me. Tu vuoi farmi accogliere e amare una creatura ch’io non ho mai incontrata sulla mia strada, di cui non so nulla, nè il viso nè il nome, che forse s’è attaccata a te per un basso interesse, senza un vero affetto, indegnamente.

— No, mamma, è buona. Era una povera bimba sola ed io l’ho fatta tanto soffrire! Io le ho fatto tanto male! Tu mi perdonerai e le perdonerai, non è vero? Tu le vorrai un poco di bene?

— È ben duro ciò che tu chiedi.

La madre trasse a denti serrati un lungo, profondo sospiro, poi chinò il capo grigio sul letto e attese.

— Posso farla chiamare, mamma?

Ella accennò di sì a testa curva, in silenzio, [p. 145 modifica]e con la faccia sconvolta nascosta fra le palme, con un tremito convulso nelle gracili spalle, aspettò che entrasse la moglie di suo figlio.

Sentì la porta aprirsi dopo un momento, sentì qualcuno entrare di un balzo, cadere su di lui, coprirlo di baci gemendo e singhiozzando, chiamandolo a nome perdutamente.

Rimase ancora affondata sulla sponda di quel letto, nel terrore di sollevare lo sguardo su quella donna ignota che si gettava improvvisamente nella sua vita per essere protetta e amata, rimase immobile ancora un attimo ad immaginare l’aspetto di quella intrusa, oscuramente partecipe della esistenza di suo figlio, misera preda d’amore tenuta nascosta per non ferire l’orgoglio del loro nome, la quale si presentava ora, fra gli sgomenti e i pentimenti di un’agonia, a spargere le sue lagrime e a chiedere la sua parte di pietà.

— Mamma! — la implorò roco il moribondo sfiorandole con una tremula mano la spalla.

Allora ella si sollevò, guardò la donna inginocchiata presso il letto, quasi ai suoi piedi, e riconobbe la sua compagna di viaggio.