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L'intrusa 143


Ella stoicamente potè reprimere l’irrompere di un grido che la strozzava e sedere accanto a lui accarezzando le sue mani con trepida tenerezza.

— Ti vorrei dire una cosa, — egli le mormorò quasi all’orecchio, battendo le palpebre con una timidità ritrosa che sua madre gli aveva conosciuta ai tempi dell’adolescenza. — È una cosa molto difficile a dirsi, — egli continuò parlando lento e aprendo e chiudendo le dita con un gesto nervoso, mentre il suo povero petto lacerato dall’urto del volante ansava di pena e di fatica.

— Dimmi, dimmi, caro, — lo incoraggiò la madre ansiosamente curva su di lui.

— C’è una donna, — riprese il malato a stento, quasi in un balbettìo sommesso, — c’è una donna da cui ho avuto un figlio sei anni fa e che ho sposato.

La madre strinse le mascelle e chiuse gli occhi. Fece dentro di sè, nel suo cuore orgoglioso il vuoto e il silenzio, si impedì di giudicare quel suo figliuolo morente che si confessava a lei.

— Il bambino è morto, — potè dire ancora l’infermo dopo una pausa, — ma ella è qui, ella vorrebbe vedermi un’ultima volta.

La madre alzò gli occhi al cielo, come per