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142 | le ore inutili |
chiudere dentro di sè, con più rigida austerità, il suo dolore lacerante, per quell’istintivo pudore composto di sensibilità e di orgoglio che aveva improntato tutti gli atti della sua vita di signora nobile e ricca.
L’ignota compagna continuava intanto a gemere nell’ombra con sollevamenti di singhiozzi in tutta la persona accasciata, quando il treno si inoltrò sotto una tettoia appena illuminata e qualcuno gridò il nome d’una città.
Era una stazione d’arrivo, il treno non andava più oltre. Tutti scendevano.
Scesero anche le due viaggiatrici e scomparvero piccole e nere per due strade diverse, inghiottite dalla oscurità paurosa che avvolgeva e proteggeva quella città di confine esposta agli attacchi di un aereo nemico.
Giunse la madre presso il letto di suo figlio moribondo e lo trovò desto ad attenderla, con gli occhi e le gote accesi dalla febbre, ma tremendamente presente a sè stesso e consapevole del suo stato. Le sorrise fievole e si lasciò baciare sulla fronte fra i capelli scomposti che ella con l’atto consueto della sua mano bianca e leggiera tentò di ravviare.
— Baciami, mamma, che me ne andrò presto, — le susurrò con uno sguardo di desolata implorazione.