Le opere di Galileo Galilei - Vol. V/Proposte per la determinazione della longitudine

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Proposte per la determinazione della longitudine
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PROPOSTE

PER LA

DETERMINAZIONE DELLA LONGITUDINE.




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AVVERTIMENTO.





Quando Galileo ebbe scoperto i satelliti di Giove, e nell’aprile del 1611 trovò i tempi delle loro conversioni, non tardò molto ad affacciarsi alla sua mente il pensiero di trarre profitto dagli ecclissi di quei pianeti per risolvere un problema del quale le grandi navigazioni, dovute alle nuove scoperte geografiche, avevano accresciuto in modo particolare l’importanza. Vogliamo con questo alludere alla determinazione della longitudine in mare: quesito tentato per l’innanzi tante volte senza alcun frutto, e di cui il Nostro già prima del 7 settembre 1612 si credette d’esser venuto a capo, poichè sotto questa data il governo toscano offriva il trovato di lui al Re di Spagna1.

Occasione a tale offerta fu la domanda presentata sul finire del giugno 1612 dal governo di Madrid al Granduca Cosimo II, che tenesse armati e facesse navigare, per sicurtà contro i corsari, certi galeoni i quali galleggiavano inoperosi nel porto di Livorno. Il Granduca si mostrava disposto ad annuire a siffatta richiesta: domandava però in contraccambio alcuni privilegi attinenti al commercio con l’Indie; e per muovere tanto più il governo spagnuolo a concederli, proponeva anche «di fare rimostrare ed insegnare costì il modo del misurare la longitudine a qualsivoglia ora della notte e quasi tutto il tempo dell’anno; che coloro che s’intendono della navigazione, affermano che questo importi infinitamente al servizio del Re per tutta la navigazione delle Indie»2. La nota con cui il governo toscano commetteva al proprio ambasciatore a Madrid, conte Orso d’Elei, d’offrire al Re il trovato di Galileo, fu stesa da Galileo stesso: che scritta di suo pugno ce ne fu conservata la minuta nell’Archivio Fiorentino [p. 416 modifica]di Stato3, con la postilla d’essere stata «mandata in Spagna sotto dì VII di Settembre 1612». Se non che il governo spagnuolo non prese neppure in esame l’invenzione di Galileo, adducendo per iscusa che già si era cominciato a negoziare con un matematico spagnuolo per una simile proposta, «la qual cosa fin che non resti chiarita... non si può entrare con nuove proposizioni»4.

Noi pensiamo che alle trattative così iniziate nel 1612 si possa collegare una breve scrittura di Galileo che, col titolo di Proposta della Longitudine, si legge, copiata di mano del secolo XVII, a car. 3r. — 4t. nel T. V. della Par. IV dei Manoscritti Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. A vero dire, la Proposta non porta nel codice nè alcun nome di autore, nè alcuna data; che anzi un passo di questa scrittura potrebbe a prima vista indurci a riportarla per lo meno al 1638, poichè, recandovisi esempio di che cosa sia longitudine, si dice: «sia, per esempio, cercata la longitudine di Roma per un ecclisse lunare che si faccia in Roma a’ Dicembre 1638». A tenere però la Proposta come cosa di Galileo quanto alla sostanza, ci persuade il riflettere che nessun altro, fuori di lui, poteva sapere del suo trovato; e a far credere che anche la forma sia veramente sua, è argomento vuoi il non sembrar punto probabile ch’egli desse incarico ad altri di riferire su questa invenzione della quale era tanto geloso5, vuoi lo stile, che ha tutte le sembianze del galileiano6. Quanto poi all’età a cui tale scrittura sia da assegnare, certamente non è l’anno 1638: poichè non avrebbe senso che il Nostro nel 1638, quando ormai da un pezzo aveva esposto per lungo e per largo tutti i particolari della sua invenzione nelle trattative con gli Stati Generali d’Olanda, dettasse una scrittura come la Proposta, nella quale è manifesto che di ciò in cui propriamente consiste l’invenzione, si vuol far mistero, per tema che altri non usurpi il trovato e se ne appropri il merito. Si aggiunga che nè quel 1638, nè alcun’altra indicazione dell’anno, si legge nella prima edizione della Proposta, che è tra le Memorie e Lettere edite dal Venturi7; e poichè [p. 417 modifica]è molto probabile che il codice del quale il Venturi si valse, fosse diverso da quella unico a noi noto8, così può credersi che nel manoscritto da lui adoprato siffatta data effettivamente non si trovasse. Non parrà, adunque, troppo lontano dal vero il pensare che il millesimo di cui discorriamo sia dovuto, nel nostro codice, al copista, il quale forse ve lo introdusse (o che l’autore avesse assegnato l’esempio ad un altr’anno, oppure si fosse limitato ad indicare soltanto il giorno ed il mese), perchè corresse appunto il 1638 quando egli esemplava il codice stesso; mentre la scrittura è molto verisimile sia stata dettata in una delle prime occasioni che il Nostro ebbe di offrire il trovato al governo spagnuolo. Anzi può ben darsi che la Proposta, in cui dell’importante invenzione si parla con tanto prudente riserbo e in termini così indeterminati, rappresenti la prima espressione del pensiero di Galileo su questo argomento, sul quale egli ebbe poi a tornare molte volte, ed egli l’abbia stesa nel 1612, forse con l’intenzione che il suo trovato fosse proposto alla Spagna appunto con questa scrittura: sia poi che essa fosse, o no, mandata effettivamente insieme con quella nota, pure dettata da Galileo, a cui sopra accennavamo.

Abbiamo pubblicato la Proposta di sul codice sopra citato, che è di buona lezione, così che ci occorse di correggere soltanto poche forme dialettali e qualche grafia9. Appiè di pagina abbiamo poi registrato, e contraddistinto con la sigla V, le varianti più notevoli offerte dalla stampa del Venturi10.

Alla Proposta facciamo seguire un’altra scrittura, del medesimo argomento e della medesima indole, che Galileo dettò quattro anni più tardi. Infatti, nella primavera del 1616 egli cercò di riattaccare con la Spagna le trattative, le quali furono condotte molto in lungo, ma nemmeno questa volta portarono ad alcun pratico resultato. Senza narrarne partitamente il corso, basta al nostro proposito il dire che, per consiglio del conte Orso d’Elci11, il quale era pur sempre ambasciatore a Madrid, il 13 novembre di quell’anno Galileo scrisse due lettere su questa materia, una al duca di Lerma e l’altra al conte di Lemos, personaggi molto potenti presso la corte del Re Cattolico; e a queste due lettere, che mandò al conte d’Elci perchè da lui fossero presentate, uni una «esplicazione in genere del suo trovato», acciò la conferisse ai due signori12 [p. 418 modifica]

Di questa, dall’Autore chiamata altresì «generale relazione»13, noi conosciamo un unico manoscritto, che è nel citato T. V (car.r. — 2cr.) della Par. IV dei Manoscritti Galileiani, e su di esso la riproduciamo: non è autografo, ma copia del secolo XVII, di buona lezione per ogni rispetto, tranne che per la grafia, che presenta forme erronee e stranissime, le quali furono, com’era naturale, da noi emendate14. Siccome poi la prima edizione di questa scrittura, che è nella prima edizione fiorentina delle Opere di Galileo15 differisce dal manoscritto in alcuni passi, per modo che resta il dubbio se quegli editori non abbiano approfittato d’un altro codice16, così appiè di pagina abbiamo raccolto le principali varianti di detta stampa, distinguendole con la sigla F, [p. 419 modifica]



PROPOSTA DELLA LONGITUDINE.





Quel problema massimo e maraviglioso di ritrovare la longitudine di un luogo determinato sopra la superficie terrena, tanto desiderato in tutti i secoli passati per le importantissime conseguenze che da tale ritrovamento dipendono nella geografia e carte nautiche e nella loro totale perfezione, ha eccitato a travagliare diversi ingegni sino all’età presente, non solo per riportarne quella gloria che simile invenzione può meritamente pretendere, ma ancora per conseguirne i reali premi e rimunerazioni proposte all’inventore: ma sin ora tutte le fatiche sono riuscite vane, nè mai si sono potuti fare maggiori avanzi di quello che dagli antichi, e particolarmente da Tolommeo, è stato con sottile e nobile invenzione ritrovato; e forse era assolutamente impossibile la soluzione di cotale problema, se prima non erano dagl’ingegni umani ritrovati altri problemi stupendi, ed a prima apparenza di molto più difficile resoluzione che lo stesso problema di ritrovare la longitudine. E per meglio esplicarmi, supporrò in breve che cosa sia longitudine e latitudine di un determinato loco sopra la superficie della Terra, e come quella sia stata sin ora dagli antichi ritrovata, ed in quante difficoltà involta ed intricata.

Latitudine, dunque, non è altro che l’arco del meridiano intrapreso tra il vertice di un loco e l’equinozziale, qual arco è sempre eguale all’arco del medesimo meridiano preso tra il polo del mondo e l’orizonte, cioè alla elevazione del polo di quel loco. Longitudine
9. agli inventori, V — 10-11. maggiori avanzamenti di, V — 14-15. ed a prima vista ed apparenza, V — 16. esplicarmi, esporrò in breve, V — 21. il quale arco, V —
[p. 420 modifica]poi non è altro che un arco dell’equinozziale, preso tra il meridiano di un loco ed il meridiano di un altro: e perchè comunemente da’ cosmografi si è stabilito che il meridiano che passa per le Isole Canarie sia il primo meridiano, pertanto si dirà che la longitudine di un loco sia l’arco dell’equinozziale che viene intrapreso tra il meridiano che passa per l’Isole Canarie ed il meridiano del loco. Ora devesi sapere, che tutti i modi di ritrovare tale longitudine sin ora proposti, meritamente sono stati riconosciuti vani e fallaci, da due in poi: il primo de’ quali sarebbe la notizia del viaggio itinerario per il paralello del loco ed il primo meridiano. Ma tal modo rimane totalmente inutile, se fra i due meridiani fosse fraposto qualche vasto mare, ovvero altro tratto di spazio impraticabile per camino. L’altro modo, sin ora da’ grandi cosmografi adoperato, è col mezzo degli ecclissi lunari, il qual modo è il più esquisito che sin ora sia mai stato praticato: contuttociò patisce ancor egli molte e gravissime difficoltà. E per spiegarle brevemente e facilmente più che sia possibile, sia, per esempio, cercata la longitudine di Roma per un ecclisse lunare che si faccia in Roma a’ dicembre...17 ore 13, minuti dopo mezzo giorno, ed il medesimo ecclisse si faccia alle Isole Canarie a ore 11 dopo mezzo giorno: è manifesto che il meridiano di Roma si ritrova più orientale di quello delle Isole Canarie per due ore e mezza; e perchè un’ora importa 15 gradi d’equinozziale, però diremo che la longitudine di Roma sia gradi 37 e minuti 30. Ora come si è detto, questo modo di ritrovare la longitudine è soggetto a diverse difficoltà: la prima delle quali è la rarità degli ecclissi della Luna; poi che non si faranno più che due ecclissi della Luna visibili all’anno, ed alle volte un solo, e talvolta nessuno. In oltre è assai difficile osservare precisamente il principio o il mezzo il fine dell’ecclisse; imperò che quando la Luna comincia a immergersi nel cono dell’ombra terrestre, quell’ombra è tanto tenue e sfumata, che l’osservatore resta perplesso se la Luna abbia o no cominciato ad intaccarla. E pertanto non credo che possa restare dubbio nessuno a chi intende queste materie, che quando si trovasse modo di
3. cosmografici, V — 4. passa le Isole, V — 4. che longitudine, V — 9. delli quali, V — 15. sia stato mai, V — 18. a di Dicembre, a ore, V — 21. si trova, V — 23. 37 gradi e 30 minuti, V — 32-33. dubbio a nessuno che intenda queste, V —
[p. 421 modifica]rendere questi ecclissi lunari più frequenti, in modo che, dove ne abbiamo così pochi in capo all’anno che si può dire che sottosopra se ne faccia un solo, noi ne potessimo avere tre o quattro o cinque ed anco sei per notte, questo negozio sarebbe ridotto in un grandissimo vantaggio, poi che sarebbero tali ecclissi più di mille l’anno: e quando bene non fossero ecclissi lunari veramente, ma cose in cielo ed apparenze equivalenti e simili agli ecclissi lunari è manifesto che il guadagno sarebbe grandissimo. Di più, stante, come si è detto, che gli ecclissi lunari sono precisamente inosservabili ne’ loro principi mezzi e fini, in modo che si può errare forse più di un quarto d’ora (che sarebbe errore nella longitudine di quattro gradi in circa), è manifesto che quando il negozio si riducesse a tanta esquisitezza che non si errasse di un minuto d’ora, si sarebbe ancora fatto un acquisto di grandissima considerazione. Aggiungesi di più, che le tavole de’ moti del Sole e della Luna, da’ quali dipende il calcolo degli ecclissi lunari, non sono ancora ridotte a tanta esquisitezza, che non si erri di un quarto d’ora e forse più; in modo che quando ci avessimo da servire di dette tavole, si potrebbe far errore nella longitudine di otto gradi in circa: e pertanto è manifesto, che quando i nostri ecclissi, o quali si siano altre apparenze, fossero dependenti e regolate con tavole tanto esquisite che non ci fosse errore di un minuto d’ora, tutto il negozio sarebbe, si può dire, ridotto a una totale perfezione, per quanto le nostre cognizioni possono arrivare. Ora io dico che l’ingegno grande e le fatiche atlantiche del Sig. Galileo Galilei, primario Filosofo del Serenissimo Gran Duca di Toscana (al quale Sig. Galileo meritamente si deve il titolo di Grande), sono arrivate a scoprire nel cielo cose totalmente incognite a’ secoli passati, le quali equivagliono a più di mille ecclissi lunari ogn’anno, osservabili con minutissime precisioni, e, quello che più importa, ridotte a calcoli e tavole giustissime ed esquisite. E tutto questo negozio sarebbe consegrato alla gran Maestà del Re...18, supplicando che, non essendo per qualsivoglia cagione abbracciata tale offerta, Sua Maestà benignamente inclinasse concedere grazia, che quando ne’ tempi venturi altri più fortunati rappresentassero questa
16-17. a tanta correzione che non ci sia talvolta errore di mezz’ora e forsi più, V — 21. regolati, V — 31. del Re Cattolico, supplicando, V —
[p. 422 modifica]medesima impresa e venisse abbracciata, non per questo dovesse il Sig. Galileo suoi descendenti rimanere privi di quegli onori e grazie che all’inventore stesso dalla grandezza della benignità regia fossero destinati. È vero che questa proposta in primo aspetto forse può parere paradosso assolutamente impossibile, e però indegno di essere ascoltato: con tutto ciò non pare che l’importanza di così nobile impresa meriti di essere per una vanità condannata, se prima non sia da persone intelligenti della professione diligentemente esaminata e considerata. Devesi ancora mettere in considerazione, che, dovendosi ridurre alla pratica quanto viene proposto, è necessario distinguerlo in parti, delle quali alcune spettano assolutamente al Sig. Galileo, altre ricercano le grandezze e potenze regie. Al Sig. Galileo tocca mostrare il modo di operare, avvertire le diligenze che si ricercano, rappresentare in disteso tutte le tavole che ci bisognano, e proporre tutto quello che è necessario per conseguire il nostro intento: ma, dall’altra parte, trattandosi di moltitudine d’uomini da essere impiegata, e prima instrutti e disciplinati, ed essendo di più necessaria la navigazione con grossi e forti vascelli per vastissimi mari, e bisognando per l’instruzzione degli uomini erigere accademie, cose tutte che non possono dependere che dalle grandezze de’ monarchi e re grandi, questa parte non deve essere desiderata nè ricercata dalla tenue fortuna del Sig. Galileo, ma dagli ordini di Sua Maestà, come più minutamente si rappresenterà venendo l’occasione. Nè si deve tralasciare una importantissima considerazione: la quale è, che proponendosi questa impresa di nuovo, con scienze ed arti nuove, ancor che tutto venga proposto (come si vedrà) con mezzi già ridotti in alto grado di perfezione, con tutto ciò si può sperare dalla continua pratica ed esercizio, ogni giorno maggiori ed importantissimi avanzamenti, come si vede essere seguito in tutte le maravigliose e sottili invenzioni ritrovate dagl’ingegni umani, così nelle arti come nelle scienze.
21. dependere da altro che, V — 23. Nel codice alla parola ordini tien dietro un segno che si può interpretare per etc.; la stampa V legge dalli ordini, comandamenti e provvisioni di S. M. — 27. co’ mezzi, V — 30. si vede in tutte, V —

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RELAZIONE GENERALE

DEL NUOVO TROVATO DI GALILEO GALILEI

IN PROPOSITO DEL PRENDERE IN OGNI TEMPO E LUOGO LA LONGITUDINE.





È noto a ciascheduno intendente delle cose astronomiche e geografiche, come sino a questa età non si è ritrovato altro modo per conoscere le differenze delle longitudini de i luoghi grandemente distanti, tanto in mare quanto in terra, se non per la differenza dell’ore, che si numerano in diverse regioni nell’istesso tempo che si fa qualche ecclisse della Luna o del Sole, ma molto meglio con quelli della Luna, per esser reali ed apparenti a tutti nell’istesso momento. Con questo unico mezzo si sono sin qui descritte tutte le mappe e carte nautiche e geografiche; le quali però si trovano sparse di grandi errori, ed in particolare quelle dell’Indie Occidentali e di tutte l’altre regioni lontanissime: e questo procede, per mio parere, non solo dalla brevità del tempo nel quale simili provincie si sono cominciate a praticare, e dalla lontananza, che non permette una continua e frequente corrispondenza di avvisi, quanto dalla rarità de gli eclissi Lunari; de’ quali a pena uno o due l’anno ne accaggiono, e ne sono bene spesso impedite l’osservazioni dall’aria nubilosa, e molto più ancora dalla difficultà che hanno diversi e tra di sè distanti osservatori nel notare un medesimo instante di tempo nella durazione d’uno eclisse, che sarà di 1, 2, 3 ed anco talvolta 4 ore e più. Questo
1-3. Nella stampa F si legge il seguente titolo: Lettera di Galileo Galilei al Conte Orso d’Elei, Imbasciatore del Serenissimo Gran Duca di Toscana in Spagna, per relazione generale del nuovo trovato in proposito del prendere in ogni tempo e luogo la longitudine. Firenze, 13 Novembre 1616. — 5. si e trovato, F — 5-6. per conseguire le, F — 10. ed apparire a, F — 22. sarà di due, tre ed anco talvolta di quattro, F —
[p. 424 modifica]uso de gli eclissi, il quale, per le ragioni addotte, è molto lungo ed incerto anche per le esatte descrizioni geografiche, resta poi del tutto nullo nell’istesso atto del navigare per mari vastissimi e remoti; poi che non una volta l’anno, ma quasi ogni giorno sarebbe necessario saper puntualmente in quanta longitudine si trovi la nave, per venire, col mezzo di lei e della latitudine, in certezza del luogo puntuale che ella ottiene sopra il globo terrestre. Questo solo mancava alla totale perfezione di arte così grande e utile, e questo è quello che io ho trovato, e ne fo offerta a S. M.: alla quale non recuso di darne anche di presente qualche generale informazione, acciò tanto più facilmente sia prestato orecchio a quanto io sono per dimostrare e particolarissimamente dichiarare a suo tempo, quando quella resti servita di accettare e gradire la mia esibizione. Il mezzo che io adopero in questa investigazione è pure per via di osservazioni celesti, ma di stelle non più state osservate nè vedute da altri avanti di me, le quali hanno movimenti propri velocissimi, i periodi de i quali io ho con lunghe vigilie e fatiche esquisitamente ritrovati e calcolati. Queste stelle hanno tra di loro congiunzioni, separazioni, eclissi ed altri accidenti, li quali per infinito intervallo superano nella presente materia l’utilità de gli eclissi lunari; poi che, dove gli eclissi lunari sono così rari, che, ragguagliato, non ne aviamo uno per anno che ci servino, di questi ne aviamo più di mille per ciascuno anno utilissimi, sì che nissuna notte passa che non se ne abbino 2, 3 ed anco tal volta 4 e più. Quanto poi alla esquisitezza sono tutti così momentanei e veloci, che, sieno congiunzioni, separazioni, occultazioni, apparizioni, o eclissi, ciascheduna si spedisce in un momento di tempo, sì che nella loro apprensione non si può errare mai di un mezzo minuto di ora; ed in somma sono tanto esatti; che non sarà persona alcuna di mediocre intelligenza, che non resti capace come con questo mezzo si descriveranno sopra le mappe e carte nautiche tutti i siti del mondo, senza errore di 4 miglia, anco nelle remotissime regioni. Dipoi, ancora col mezo di efemeridi calcolate da me a ora per ora, nelle quali si contenghino per lunghi tempi a venire i momenti delle dette congiunzioni, separazioni, eclissi, si verrà
5-6. per poter venire, col mezzo di essa, F — 17. con lunghissime vigilie, F — 18. trovati, F — 22. anno che ci si scopra, di questi, F — 24. due o tre, F — 33. contengono, F — 34. eclissi, ec, si, F —
[p. 425 modifica]nell’istessa navigazione, a qual si voglia ora della notte, in certezza della vera longitudine, ed in consequenza del vero sito dove la nave si trova; e questo per dieci mesi di ciascheduno anno, avvenga che per due mesi al più restano tali nuove stelle invisibili, che è in quel tempo che il Sole si trova a loro vicino. Io farò vedere le nominate stelle a S. M. ed a chi quella comanderà; mostrerò i loro movimenti, le continue mutazioni di aspetti, cioè le congiunzioni, separazioni, eclissi ed altri accidenti, sera per sera, per quanto le piacerà, previsti e disegnati da me lungo tempo avanti, onde ciascheduno resti sicuro della certezza delle mie predizioni e della giustezza delle mie tavole e calcoli; insegnerò non solo l’uso, ma la composizione di esse tavole, ed il modo di aggiustarle in tutti i secoli a venire; dichiarerò l’applicazione di queste celesti osservazioni alla esatta e puntuale descrizione di tutti i regni di S. M., e di tutti i continenti, mari ed isole del mondo, e finalmente il modo di servirsi di tali mie invenzioni anco nell’istessa navigazione, sì che altri in ogni tempo sia certo del luogo dove ei si ritrova: invenzione proporzionata solamente alla grandezza della Corona di Spagna, la qual sola circonda con i suoi regni tutto il globo terreno.
3. si ritrova, F — di ciascun anno, F — 9. sera, quanto, F — 10. ciascuno, F —




FINE DEL VOLUME QUINTO.

Note

  1. Vedi ampiamente narrati i particolari delle trattative tenute da Galileo col governo spagnuolo a proposito del suo trovato, così nel 1612 come negli anni appresso, nei Nuovi Studi Galileiani per Antonio Favaro, Venezia, 1891, pag. 101-148.
  2. Minuta di lettera di Belisario Vinta a Orso d’Elci, da Firenze, 7 settembre 1612, nell’Archivio di Stato in Firenze, Filza Medicea 4948.
  3. Nella Filza Medicea citata.
  4. Lettera di O. d’Elci a B. Vinta, da Madrid, 16 ottobre 1612, nell’Archivio cit., Filza Medicea 4942.
  5. S’avverta a questo proposito che non soltanto la nota spedita il 7 settembre 1612 dal governo toscano al conte d’Elci, perchè proponesse al Re di Spagna il trovato galileiano, fu, come abbiamo avvertito, stesa da Galileo, ma probabilmente alla penna di lui è dovuta altresì una informazione sul medesimo trovato mandata nel giugno del 1616 al conte d’Elci, e un ricordo, che la accompagnava, per il Segretario del conte di Lemos, sebbene e l’una e l’altro fossero in nome della Segreteria di Stato di Toscana: di che vedi A. Favaro, op. cit., pag. 106.
  6. Si possono notare anche alcune rispondenze di frasi tra la Proposta e altre scritture sicuramente galileiane: p. e., «l’ingegno grande e le fatiche atlantiche del Sig. Galileo Galilei» (Proposta, pag. 421, lin. 24-25) richiama alla mente la frase «con fatiche veramente atlantiche e col suo mirabil ingegno», che si legge nella Lettera a Madama Cristina di Lorena (pag. 312, lin. 14-15 del presente volume).
  7. Memorie e Lettere inedite finora o disperse di Galileo Galilei, ordinate ed illustrate con annotazioni dal Cav. Giambatista Venturi, ecc. Parte Prima, ecc. Modena, MDCCCXVIII, pag. 177-180.- È fatto degno di nota, che Gio. Batista Clemente de’ Nelli copiando quasi testualmente, nella Vita e Commercio Letterario di Galileo Galilei ecc., vol. II, Losanna, 1793, pag.656-659, un lungo brano della Proposta (brano che egli, senza neppur ricordare il titolo della scrittura galeiana, inserisce nella propria narrazione), quando riproduce l’esempio del quale stiamo discutendo, dice : «sia, per esempio, cercata la longitudine di Roma per un eclisse lunare che si faccia in quella città ne’ 20 Dicembre 1796». E si avverta che non solo l’opera del Nelli porta la data di stampa del 1793, ma esso Nelli morì il 25 dicembre 1793.
  8. Il Venturi, op. e loc. cit., dice d’aver tratto la Proposta dalla «regia Biblioteca di Parma», per mezzo d’Angelo Pezzana. Nonostante le più diligenti indagini, non abbiamo potuto trovare nella Palatina di Parma nè la Proposta nè altri «monumenti del Galileo e del P. Castelli» che il Venturi cita come esistenti colà; che anzi tali scritture neppure sono registrate negli antichi inventarii della biblioteca.
  9. Abbiamo corretto forsi (che ricorre più volte, ma non è costante) in forse, aggiongesi (pag. 421, lin. 14) in aggiungesi, e avvanzi e avvanzamenti.
  10. Vogliamo avvertire che il tratto pubblicato dal Nelli, nonostante le alterazioni da lui introdotte per adattarlo al proprio racconto, è più vicino al testo del codice da noi conosciuto che alla stampa del Venturi.
  11. Lettera di O. d’Elci a Curzio Picchena, da Madrid, 13 ottobre 1616, nell’Archivio di Stato in Firenze, Filza Medicea 4945.
  12. Lettera di Galileo a O. d’Elci, da Firenze, 13 novembre 1616, nelle Opere di Galileo Galilei. In Firenze, MDCCXVIII, T. III, pag. 133-136. In questa stessa edizione, T. III, pag. 136-137, sono le due lettere di Galileo al duca di Lerma e al conte di Lemos.
  13. Così la chiama nelle due citate lettere al duca di Lerma e al conte di Lemos.
  14. Basti citarne alcune:proppri, lattitudine, impeditte, sfatte, osservane, fattiche, durrazione, longhitudine, otiene, terestre, orechio, aparizioni, ecc. Egualmente correggemmo longitudine (pag. 423, lin. 6), descrizione (pag. 424, lin. 2), predizione (pag.425, lin. 10-11), ecc., in longitudini, descrizioni, predizioni, ecc., e, viceversa, quelli (pag. 423, lin. 13), agiustarli (pag. 425, lin. 12), in quelle, aggiustarle; insegnarò (pag. 425, lin. 11) in insegnerò, spedisse (pag. 424, lin. 26) in spedisce, e anche novo (pag.423, lin. 2) in nuovo. A pag. 425, lin. 14, emendammo legni, dato dal codice, in regni: e quell’errore ci persuase a correggere la lezione del manoscritto legni in regni anche poche righe più a basso (lin. 19).
  15. T. III, pag. 131-132.
  16. Diremmo senza esitazione che il codice su cui fu condotta la stampa fiorentina fosse diverso dal nostro, se non sapessimo quanto audacemente, e con quali criteri, i vecchi editori usavano alterare le fonti manoscritte. Fra le carte appartenute al P. Guido Grandi (ch’ ebbe gran parte nella prima edizione fiorentina delle Opere di Galileo), e ora conservate nella Biblioteca Universitaria di Pisa, non trovammo alcun manoscritto della Relazione.
  17. Il ms.: a’ Dicembre 1638: di che vedi l’Avvertimento a pag. 416-417.
  18. Questi puntolini sono nel manoscritto.