Le feste di San Giovanni in Firenze/Parte prima/Capitolo II
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§ II
Pochi anni avanti che fosse edificato il Palazzo della Signoria, i Fiorentini dediti al culto del loro protettore avevano dato incarico ad Arnolfo di Lapo di rialzare il ter- reno circostante al Tempio di San Griovanni onde colmare la disuguaglianza, per il che restò totalmente sepolta la scalinata che era intorno a quel Tempio; di più fecero to- gliere tutte le arche e sepolture di marmo, e di pietra, che vi erano intorno, e commisero altresì al detto architetto di ricoprire di marmi le otto facciate esterne; in questi anni pure all'oggetto che le feste riuscissero più solenni, e per maggiore comodità del molto popolo che interveniva fu dato ordine di ingrandire la Piazza, comprando ed atter- rando diverse case degli Strozzi, Adimari e della Tosa, non che uno spedale detto di San Giovanni, come pure nel 1331, gli operai comprarono dal Comune di Firenze una porzione di terreno dalla parte dell'Arcivescovado, nel 1339, Ugolino e fratelli figli di Martellino venderono una loro casa per l'ingrandimento della Piazza; e nel 1389, si de-molirono le case dei Cofanai con la quale demolizione si ridusse nella forma attuale.
Nel 1202, era già stata rimurata l’unica porta, che fino dai primi anni dava accesso al Tempio dal lato di Ponente, e se ne erano aperte le altre tre attualmente esistenti. La Repubblica Fiorentina avendo preso in tal guisa a rendere sempre più magnifico questo Tempio ordinò, che dovessero essere gettate in bronzo le porte; quell’opera venne eseguita e condotta a mirabile perfezione da Andrea Pisano e Lorenzo Grhiberti.
Sebbene la Nazione fiorentina avesse appresso le altre il concetto di economia, quando però trattavasi di fare onore a sé stessa ed alla patria, lo faceva sempre con grande munificenza.
Abbellita la città di splendidi monumenti, ingrandite le piazze ed ornato il Tempio di S. Griovanni, essendo allora i fiorentini in buono e pacifico stato come dice Pietro Monaldi nella sua storia «usavano essi molto più di diligenza di quello che si faccia nel presente secolo (cioè 15S0 tempo in cui viveva lo scrittore) di fare grandissimi sforzi nella celebrazione della festa e solennità del nostro gran Protettore. Conciossiachè per Calende di Maggio, due mesi avanti, tutti i fiorentini cominciavano a mettere a ordine, siccome di adornamenti, di gioie e di vestimenti sontuosi; così di pali, pendoni e stendardi che ciascheduna terra soggetta doveva per censo, ceri ed altre cose, le quali si debbono offrire poi al Tempio di S. Giovanni, oltre invitare i signori e gentiluomini di Toscana per detta festa, procacciarsi nei bisogni di conviti; e finalmente tutta la città si vedea in faccende per detto apparecchiamento di tanta solennità, e così nei giorni festivi, due mesi avanti come detto abbiamo, tutti «lli cittadini pieni di letizia e di allegrezza facevano pubblici giuochi e feste di giostre, trionfi, carri, conviti, oltre balli, canti e suoni, nelle piazze coperte di fuori di paramenti con più altri diversi e leggiadrissimi costumi.»
Infatti il Potestà di Firenze era obbligato un mese avanti a S. Giovanni di far bandire in tutti i luoghi consueti della città, e notificare la festa tanto ai signori del contado, come ad ogni altra persona cbe dovesse offrire ceri, paliotti ed altri tributi. Otto giorni avanti comandava ai Consoli di Calimala, ed agli operai di S. Giovanni che eleggessero sei buonomini di detta arte, i quali la mattina del 24 Giugno dovevano stare in S. Giovanni a ricevere tali oblazioni.
In quanto ai preparativi della festa è da notarsi ciò che racconta il Vasari nella vita di Francesco d’Agnolo, detto il Cecca, Ingegnere, che cioè «la piazza di S. Giovanni si copriva tutta di tele azzurre piene di gigli grandi fatti di tela gialla e cucitivi sopra, e mezzo erano erano in alcuni tondi pur di tela, grandi braccia 10, l’arme del Popolo e Comune di Firenze, quella dei Capitani di parte Guelfa ed altre; ed intorno intorno negli estremi di detto cielo che tutta la piazza come chè grandissima ricopriva, pendevano drappelloni pur di tela dipinti di varie imprese, d’armi, di magistrati e di arti e di molti leoni, che sono una delle insegne della città. Questo cielo ovvero coperta così fatta, era alta da terra circa 20 braccia, posava sopra gagliardissimi canapi attaccati a molti ferri intorno intorno il Tempio di S. Giovanni, nella facciata di S. Maria del Fiore, e nelle case che sono per tutto intorno alla detta piazza; e fra l'un canapo e l'altro erano funi che similmente sostenevano quel cielo, che per tutto era in modo armato che non è possibile «mmaginarsi meglio, e con tanta diligenza era accomo ata ogni cosa che ancoraché molto fossero dal vento gonfiate, e mosse le tele non però potevano essere sollevate né sconce in modo alcuno. Erano queste tele di cinque pezzi, perché meglio si potessero maneggiare; ma poste su tutte, si univano insieme e si legavano e cucivano di maniera che pareva un pezzo solo; tre pezzi coprivano la piazza, e lo spazio, che è tra S. Giovanni e S. Maria del Fiore, e quello del mezzo, aveva a dirittura delle porte principali dei tondi con l'arme del Comune; e gli altri due pezzi coprivano dalle bande uno di verso la Misericordia, e l’altro verso la Canonica ed Opera di S. Griovanni.»
Queste tende pare che si facessero nel 134:9; allorché poi nel 1391, fu aumentata la piazza, si aggiunse un’altro pezzo di tenda grande. Furono però sottoposte a varie vicende, poiché nel 1434, se ne abbruciò una gran parte, per il che la Repubblica all’oggetto che fossero rinnuovate impose una gabella sul vino che si vendeva sulla Piazza di S. Piero Scheraggio presso la via de’ Castellani; e ciò per lo spazio di anni tre, come rilevasi dalle scritture dell’arte dei Mercanti. Con tutto questo grande armamento di tende, come racconta il Vasari, avvenne che nel 1488, per una grande burrasca di vento ed acqua si stracciassero tutte; per il che per ordine della Repubblica furono rifatte dall’arte dei Mercanti, di colore azzurro e giallo e strisce bianche e rosse. Nel 22 Giugno 1506, furono nuovamente stracciate per burrasca di vento, e l’ultima volta che furono inalzate, sembra che fosse nell’anno 1515, in occasione della venuta in Firenze del Papa Leone Decimo. Una delle ragioni per la quale fu dismesso l’uso dì queste tende, fu anche perchè venne riconosciuto essersi fatte nel Tempio di S. Griovanni alcune fessure a cagione del peso di dette tende; per il che in questo anno 1515, fa deliberato di cingerlo con catene di ferro.
Fra gli altri dÌvertimenti che si solevano fare nei giorni delle feste di S. Giovanni sotto la Repubblica, sono da rammentarsi ancora le così dette Potenze che furono istituite nel Maggio 1343; le quali non erano altro che compagnie, brigate di popolo, che facevano le loro feste in diverse parti della Città; queste furono introdotte dal Duca d’Atene, all’oggetto di dar sollazzo al popolo, mentre in fatto dando occasione di azzuffarsi una Compagnia contro l’altra, come spesso accadeva nei finti assalti o difese, si ridestava quello spirito di battaglia e di ambizione guerresca che dovea poi tornare fatale allo stesso inventore di tal novità.
Ne furono prima create sei secondo quanto scrive l’Ammirato che si chiamarono della Città Rossa, di S. Giorgio, di S. Frediano, di Borgo Ognissanti, di Borgo S. Paolo, e degli Spadai. Sembrerebbe però che l’uso di creare siffatte brigate per festeggiare e rallegrarsi, si trovasse in Firenze anche prima del Duca d’Atene. Infatti Giovanni Villani fa menzione di quella bella e ricca compagnia creata per S. Giovanni l’anno 1283, in Borgo S. Felicita nella quale intervennero 1000 giovani tutti vestiti di bianco e nella foggia medesima. Coli’ andare del tempo queste potenze diventarono più numerose; nel 1588, giunsero fino a trenta; nel 1610 a quarantaquattro, e nel 1629, se ne contarono quarantanove. Aveva ciascuna di queste un’insegna e un capo che chiamavano col nome di Imperatore, di Re, di Duca, di Principe o altro simile titolo, quali nomi traevano dall’esercizio del loro mestiere o dal luogo ove risiedevano. Oltre le feste di semplice apparato e divertimento eranvì poi quelle che ridondavano all’utile del Commercio dal quale aveva avuto origine la ricchezza di Firenze. In fatti si trova un Bando del 1473 che dice «I magnifici e po tenti signori Priori e Gronfalonieri di Griustizia del popolo fiorentino fanno bandire e comandare a qualunque persona di qualsivoglia sorte, grado, condizione e qualità si sia, che domattina il dì 22, a ore consuete faccia la mostra di tutte le cose e mercanzie ha in bottega, sotto pena di libbre 15 da pagarsi ai festaioli di S. Gliovanni.»
Lo storico Goro Dati dice «che giunti al dì della vigilia di S. Giovanni la mattina di buon ora tutte le arti fanno la mostra fuori delle pareti delle loro botteghe, di tutte le ricche cose, ornamenti, e gioie; e di tanti drappi d’oro e di seta che adornerebbero dieci Reami.»
In fatti essendo la città in stato floridissimo di mercatura, questa mostra che si faceva delle merci al di fuori delle botteghe invitava gran gente a concorrere alla città; e tanto premeva alla Repubblica che si facesse tal mostra, sì per l’ambizione di esser signora di sì ricchi cittadini, come anche per l’utile che ricavava nel concorso di tanto popolo, che nel 1322, ordinò anche una fiera per la festa di S. Giovanni, quale ebbe luogo sul prato d’Ognissanti e durò 15 giorni. Per dare una idea dell’importanza del commercio di Firenze in questi anni, basti il notare che vi erano 200 botteghe di arte di lana; e ogni anno vi correva da 400 mila fiorini d’oro in manifatture, e 200,000 di guadagno ai Lanaioli; e nella sola via Calamala vi erano 25 fondachi, che spacciavano ogni anno panni per 300,000 fiorini d’oro; come rilevasi dalla cronaca manoscritta di Benedetto Dei esistente nella nostra Magliabechiana. Finalmente nel giorno 23 vigilia di S. Giovanni solevasi nelle ore pomeridiane fare una solenne Processione, nella quale intervenivano il Clero ed i Monaci con ricchezza di paramenti e vesti di oro e di seta. Vi intervenivano ancora molte compagnie di secolari, le quali come dice il Monaldi, nei luoghi dove si radunavano facevano sacre rappresentazioni. L’eruditissimo Lami nelle sue novelle letterarie descrive in che consistevano queste rappresentazioni che non erano altro che spettacolose riproduzioni di miracoli e fatti della Storia Sacra e vita di Gesù Cristo. Chi avesse vaghezza di conoscere tal descrizione può ritrovarla al N. 12 di dette novelle del 1754, tradotte dal Greco.
È incerto quale fosse l’itinerario di tali processioni; si ritiene però che si muovessero da S. Maria del Fiore, percorrendo poi via Calzaioli, Piazza dei Signori, via dei Gondi; e quindi da Badia, e dall’Opera ritornassero per S. Giovanni a S. Maria del Fiore.
Nel giorno stesso e sempre nelle ore pomeridiane si radunavano i Cittadini sotto il loro Gonfalone, e divisi in squadre andavano a offerta al Tempio di San Giovanni, portando un torcetto di cera per ciascheduno. Ogni quartiere della Città aveva quattro compagnie, e ciascuna di queste un Gonfalone, e così in tutto queste erano numero sedici; delle quali nove appartenenti alle arti maggiori e sette alle arti minori. I Gonfalonieri delle compagnie erano dei maggiori Uffizi della Città; essi al suono della campana si radunavano armati con la loro gente, e talvolta intervenivano anche al Consiglio in Palazzo.