Le donne di casa Savoia/XX. Margherita di Savoia
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Margherita di Savoia
duchessa di Mantova
1589-1655.
XX.
MARGHERITA DI SAVOIA
Duchessa di mantova
n. 1589 — m. 1566
.......Tu resterai E.Heine |
Bella, altera, audace, se favorita dalla sorte avrebbe riempito il mondo del suo nome; perseguitata invece dalla instabile dea, non riuscì a riempirlo che con le le sventure. Pure, se la notorietà può bastare al suo spirito anelo, cinquant’anni di storia in cui la s’incontra con alterna vicenda, devono calmarlo. Margherita nacque a Torino nel 1589, prima femmina della numerosa fìgliuolanza che allietò i brevi anni di unione dei suoi genitori. Ebbe dall’ava il nome, ma dalla madre la preferenza per Spagna, in quel continuo alternarsi in Italia della fortuna delle due potenze rivali. Margherita aveva lo spagnolismo nell’anima, e durante tutta la sua vita non ebbero, suo zio e suo cugino, fautore più ardente e più zelante di lei.
Non aveva che diciannove anni, allorché fu concluso il suo matrimonio con Francesco Gonzaga, figlio di Vincenzo I Duca di Mantova e del Monferrato.
Il principe aveva allora ventitré anni, figura elegante sebbene proclive alla pinguedine, natura calma, condotta incensurabile; ma floscio d’anima e di corpo, senza desideri, senza energia, senza iniziativa; ed era quello che ci voleva per Margherita, nata per dominare e per emergere. Gli sposi, forse a causa del contrasto vivissimo dei loro caratteri, simpatizzarono subito fra loro, e il matrimonio celebrato a Torino il 18 febbraio del 1608, potè dirsi subito un matrimonio di inclinazione, sebbene per i rispettivi genitori ci fosse assai il tornaconto, giacché a Mantova si era lusingati per la ricca dote della sposa, e Carlo Emanuele, a cui tanto cuoceva che alla morte dell’ultimo Paleologo il Monferrato fosse stato, dall’Imperatore, dato ai Gonzaga, ne veniva occupando varie importanti località che il suo dominio completavano, e che il Gonzaga quietamente gli cedeva.
Molte e splendidissime furono le feste che solennizzarono queste nozze, prima a Torino, poi a Casale, capitale del Monferrato, ove gli sposi fecero solenne ingresso, quindi a Mantova, ove giunsero il 24 maggio, in una giornata splendida, che sembrava presagio di lieto avvenire. Di queste feste di Mantova, così magnifiche che riempirono di stupore quanti poterono assistervi, accorrendo da ogni parte d’Italia ed anche dall’estero, rimase tal fama che anche oggi sono rammentate e se ne leggono le descrizióni, stampate in quell’epoca.
Margherita, al suo giungere in Mantova, si ebbe subito la simpatia della popolazione e l’affetto della famiglia in cui entrava, una famiglia, però, ed una Corte sgovernate e corrotte. Il suocero, non vecchio, ma rovinato dal libertinaggio, fastoso, prodigo, esagerato in tutto, amante del lusso e dei divertimenti; la suocera, Eleonora dei Medici, sorella di Maria Regina di Francia, scontenta del marito, che tutta Italia sapeva un libertino, gelosa della sorte della sorella minore, se ne viveva appartata, tutta dedita alle pratiche religiose. Dei due cognati, Ferdinando, già Cardinale, benché giovanissimo, non stava quasi mai a Mantova per ragioni di studio e di ufficio; Vincenzo, un libertino precoce, se ne viveva più che poteva lontano dai genitori, in qualche villa, per non subire i loro rimproveri.
La futura Duchessa portava, in quell’ambiente tanto dissimile dalla severa Corte paterna, un tesoro di giovinezza, di vita, d’audacia, ed una sete, ancora insaziata, di potere e di divertimenti. Già padrona del cuor del marito, invaghito della sua bellezza e della sua energia, non tardò a dominare anche il suocero, di cui si guadagnò tosto la simpatia con la non comune coltura che la distingueva (come tutti i figli di Carlo Emanuele), e per la sua passione per la magnificenza; e siccome la suocera si metteva da sé stessa in disparte, la giovine sposa divenne in breve l’anima della Corte di Mantova, occupandosi di politica e di spassi, di abbigliamenti e di ’studi, con la stessa disinvoltura. E la vita gaia e dissipata, intessuta di feste, villeggiature, viaggetti, quale ivi la si conduceva, la deliziava oltre ogni dire. Però, la foga giovanile che metteva in tutte le cose, le faceva talvolta oltrepassare i limiti della prudenza, specie nell’intromettersi negli affari politici, e nel l’accentuare le sue tendenze spagnole; tanto che il Duca Vincenzo pensò porvi un riparo. Appena dopo un anno di matrimonio, Margherita partorì una bambina. Maria; poi gliene nacque un’altra che ebbe brevissima vita, e infine, il 26 giugno del 1611, diè alla luce un erede, a cui fu dato il nome di Luigi.
Fu allora che il vecchio Duca propose agli sposi di recarsi, con la crescente famiglia, in Monferrato, e di stabilirsi a Casale, tenendovi una Corte loro propria e governando quel paese. Margherita accettò con gioia questa proposta, che l’avvicinava alla sua famiglia, e la metteva in caso di farla addirittura da padrona, e a Casale condusse per alcuni mesi vita lietissima. Ma ben presto, inaspettati, rapidi e fieri avvenimenti, dovevano tutto cambiare intorno a lei, e fare sparire per sempre la sua felicità! Nel settembre di quello stesso anno morì la Duchessa Eleonora, e il 18 febbraio del 1612 anche il Duca Vincenzo!
Il Duca era adesso Francesco, il marito di Margherita: ed ecco i due sposi tornare a Mantova, ecco Margherita all’apice dei suoi desideri. Ma ahimè, come è vero il detto «Guardati dalla felicità!» Dieci mesi appena dopo chiusa la tomba dell’avo, anche il principino Luigi si spense, e appena la madre ebbe tempo di piangere la sua sventura, che un’altra, ben più grave ed irreparabile, veniva inesorabilmente a colpirla! La morte del marito, avvenuta il 22 dello stesso mese di dicembre!
Che dolore! Che inaudito rovescio di fortuna! — Il Duca sarebbe adesso il Cardinale Ferdinando, che appena saputa la morte del fratello era volato a Mantova, per raccoglierne la corona. Ma inviato dal padre, giunse anche Vittorio Amedeo, fratello della desolata vedova, per assisterla.
Siccome Margherita si supponeva incinta, e siccome il nascituro poteva essere un maschio, così Ferdinando non potè così subito afferrare del tutto l’ambito potere, di cui del resto Carlo Emanuele era disposto a contestargli la parte che riguardava il Monferrato, il quale, essendo feudo femminino, in mancanza di un figlio maschio di Francesco, spetterebbe alla bambina Maria.
Si ritirò perciò la Duchessa, colla figliuoletta, nel fastello di Goito, non consentendo la morale che una vedova di ventiquattro anni conducesse vita comune col cognato, ancorché Cardinale, nella Reggia; e colà, assistita da medici e da levatrici, attese che si accertasse l’avvenimento che poteva renderle potenza e splendore. Invece ogni speranza in breve si dileguò; e allora, siccome a Ferdinando la cognata era tutt’altro che indifferente, fu messa avanti l’idea di un matrimonio fra loro. Ma volendo Ferdinando consultare, oltre il cuore, anche i suoi ministri, ordinò un’adunanza generale, e il matrimonio fu proposto, discusso, e considerato con tutti i suoi vantaggi e con tutti i suoi danni. Questi ultimi risultarono prevalenti, temendosi l’indole dominatrice di Margherita, il carattere altero, e quella sua tendenza verso Spagna, così contraria alle inclinazioni dei maggiorenti mantovani, che si volgevano a Francia, e l’idea fu respinta.
Risultato impossibile anche questo accomodamento, Carlo Emanuele richiamò la figlia presso di se, e voleva che essa conducesse seco la bambina, essendo questa ancora in troppo tenera età, per venir tolta alla madre. Ma Ferdinando, tutore naturale della nipote, non la intendeva così, e pure acconsentendo a che la cognata tornasse, se le piaceva, presso il padre, andò a Goito a prendere la fanciullina e, condottala a Mantova, la rinchiuse in un convento, raccomandandola caldamente a quelle suore.
Margherita, colpita al cuore da quell’atto crudele e ingiustificato, tornò in Piemonte, e oh, come derelitta! Ella ne era partita alcuni anni avanti, sposa acclamata e festeggiata, con un brillante avvenire dinanzi a sè, tanti sogni, tante speranze ; vi ritornava vedova spodestata, spogliata dei suoi diritti di madre, delusa, annientata. Alla Corte del padre il primo posto era occupato da Cristina, la futura Duchessa, sposa da pochi mesi del di lei fratello Vittorio Amedeo, ed essa oramai non poteva che scegliere tra lo stare ivi soggetta, o viversene a Vercelli con le minori sorelle, monache colà, il che poi fece alternativamente.
In tal guisa scorsero parecchi anni, in un’inerzia incresciosa per quel carattere intraprendente e faccendiero, cui non restava altra cura che sorvegliare da lungi lo Stato di sua figlia, e mandare a questa, più frequentemente che poteva e le era possibile, messaggi segreti, innocui e affettuosi.
Morti poi l’uno dopo l’altro, senza prole, i due suoi cognati, successisi nel governo di Mantova, ebbe contezza soltanto a cose fatte che, nell’agonia dell’ultimo, erasi fatto il matrimonio della sua diletta Maria, con Carlo Rèthel di Nevers, del ramo secondogenito dei Gonzaga, e figlio dell’erede del Ducato, simulando il di lei consenso, giacché la giovinetta, che era ancora in convento, non acconsentiva all’unione impostagli senza l’assentimento della madre. Ben a ragione Margherita si offese di un tale atto, ma delle sue proteste nessuno si curò. Intanto suo padre continuava ad occupare il Monferrato, e Spagna e l’Imperatore, che volevano dare altro marito a Maria, si opposero a Francia che, per mezzo del Nevers, voleva estendere il suo dominio in Italia. Così scoppiò alla fine quella guerra, che determinò il celebre assedio di Casale ed il sacco di Mantova. La famiglia Ducale dovè andarsene, e si rifugiò nella villa di Cavriana, ove Maria, già madre di due bambini, pei quali tanto ebbe da paventare, più che mai desiderava sua madre.
E mentre Torino era minacciata dai francesi, moriva a Savigliano, dopo cinquant’anni di regno, Carlo Emanuele. Fu un altro forte dolore per Margherita, ed un’altra sventura, giacche suo fratello, Vittorio Amedeo I, marito di una francese, abbracciava definitivamente le parti di Francia, e nella pace conclusa a Cherasco cedeva a quella Pinerolo, d’onde vennero per Savoia tante altre spiacevoli conseguenze.
In quello stesso anno, e mentre attendevasi lo sgombro di Mantova da parte degli imperiali, morì a Goito il marito di Maria, Carlo Gonzaga. Il Duca suocero non era amato a Mantova, perchè straniero, e perchè colle sue preferenze francesi era ritenuto la causa degli ultimi mali sofferti ; Maria invece, mantovana e madre del principe ereditario, era l’idolo del popolo. Appena dunque la famiglia Ducale rientrò in Mantova, senza chieder consiglio o parere ad alcuno, non cedendo che al desiderio del suo cuore, la Duchessa la fece da padrona, e richiamò presso di sé la madre. Quasi nello stesso tempo, Margherita chiedeva al fratello d’andarsene presso la figlia, a consolarla, o a piangere insieme tante sventure.
Dopo quasi venti anni di assenza, ecco di nuovo Margherita a Mantova, sul luogo della sua fuggevole potenza e felicità. Abbracciata la figlia e i nipotini, mentre le due principesse gustavano la suprema felicità di essere riunite, giunse loro la notizia della cessione di Pinerolo. Intuendo Margherita, tutto il pericolo a cui, con quella cessione, erasi esposta l'Italia, si provò a consigliare il Duca di Mantova, di premunirsi contro ogni possibile sorpresa, ed insieme a Savoia stabilire un sistema di neutralità.
Questa sua intromissione spiacque al Duca, e spiacque oltremodo a Richelieu che la riseppe. Allora Margherita fece conoscere alla figlia le sue ragioni, fino a metterla, perchè convintasi, in disaccordo col suocero ; e poiché essa aveva voce negli affari, essendo sostenuta dalla simpatia popolare. Margherita sarebbe forse riuscita ad ottenere il suo scopò, se il Duca e Francia, prevedendo il pericolo per essi, non si fossero uniti per darle lo sfratto. E la sventurata principessa, cui Austria e Spagna non osavano sostenere apertamente, onde non rompere ancora la pace da poco firmata, dovè nuovamente andarsene da Mantova, ad onta delle lacrime e delle proteste della figlia. Margherita stessa, compassionandola, calmò Maria, e si ritirò a Cremona, negli Stati della fu sua sorella Isabella, da dove avrebbe potuto rivederla qualchevolta, coi bambini. Ma appunto perciò, e per sottrarre Maria alla sua influenza e alla sua sagacia, fu ben presto pregata di andarsene anche di là.
La Duchessa sopportò tutto ciò dignitosamente serena, e condottasi a Pavia, spedì di là un messo in Spagna al Re suo cugino, che tanti obblighi le aveva, informandolo di tutto. Il Re pensava già a darle qualche possesso tranquillo in Italia, quando mutò pensiero e la chiamò presso di sè a Madrid.
Ricevuta con onori regali, gradita e blandita dalla Corte tutta, fu in seguito inviata Viceregina in Portogallo.
La posizione era bella, e adattata al carattere di lei, ma era una parte odiosa quella datale da rappresentare. Il Portogallo era soggetto a Spagna per forza, e spiava il momento di riacquistare la sua indipendenza. Margherita vi andava, pur troppo, a far le veci dell’oppressore, e non poteva esservi amata. Avesse pur fatto la felicità e la fortuna del regno, il suo governo sarebbe sempre stato condannato. Le rimaneva è vero, da esperimentare la dolcezza e l’amabilità, e colla sua sagacia aveva compreso che forse potevano esserle favorevoli, ma una specie di ministro, postole al fianco da Olivarez, che era il tutto del Re, le impediva di fare, in quel senso, qualunque tentativo.
Fino dal suo primo giungere a Lisbona, Margherita ebbe subito a fronte Luisa di Guzman, moglie dell’imbelle Giovanni, Duca di Braganza, che essa voleva porre sul trono cacciando gli stranieri. Giovanni era l’unico che poteva vantare diritti sulla corona lusitana, sicché Luisa aveva per sé pressoché tutta la nazione, e per conseguenza i di lei incessanti e tenebrosi maneggi finirono per trionfare, e la rivoluzione del 1640 scoppiò e si impose. Mentre in tutta Lisbona si applaudiva a Giovanni Re, e si assaltava il palazzo reale e si uccideva il Ministro spagnolo, la sola che non perdesse la calma e la dignità fu Margherita. Siccome essa aveva avuto dal Re in consegna il Portogallo, così intendeva essere suo dovere il conservarglielo, o morire, giacché non era donna di mezze misure. E benché circondata dai rivoltosi, quasi prigioniera, essa perorava la causa del Re, e diceva che, poiché il colpevole, il Ministro, era morto, non vi era più la causa ad insorgere, stessero quieti che essa si faceva mediatrice per ottenere da Sua Maestà miglior governo, e simili belle e buone cose. Ma oramai era tardi, e nessuno l’ascoltava: e quando ebbe perduta ogni speranza, quando si accorse che la sua resistenza era inutile, che essa non era vinta dalla forza, ma dalla giustizia della causa contro la quale combatteva, ordinò al presidio del Castello di sottomettersi, ed imperterrita e fiera si ritrasse, e in breve abbandonò il palazzo reale. Ritiratasi poscia in un convento, attese ivi gli ordini di Filippo IV.
Ciò avveniva il 1° dicembre, e il 6, il nuovo Re entrava trionfalmente in Lisbona. Calmati poi gli entusiasmi e le feste dell’arrivo, una delle prime visite di Don Giovanni, si fu per Margherita. Recatosi al monastero ove essa si era ritirata, ei le dichiarò subito essere libera di andare o rimanere a sua volontà, e che se le fosse piaciuto di restare in Lisbona, o in qualunque altra città del regno, la sua libertà sarebbe stata sempre rispettata, e tutti si sarebbero fatti un dovere ed un onore di renderle omaggio, come meritavasi una principessa di Casa di Savoia.
Margherita ringraziò il cavaliere cortese, ma non sentendosi di rimanere da privata colà dove per cinque anni era stata Viceregina, decise valersi della libertà concessale, per ritornare in Spagna. Don Giovanni allora le diè per accompagnarla una scorta di onore, e tornò a Madrid, riverita ed onorata in ogni città per dove ebbe a transitare.
Si fissò a Madrid, sempre sperando che i casi della guerra offrissero a Spagna l’occasione di prendere sul Portogallo la sua rivincita ; ma vi rimase anche poi, quando ogni speranza di ritornare al Governo l’abbandonò, perchè era gradita alla famiglia Reale, che sapeva di avere in lei una fautrice assidua ed operosa dei suoi interessi, era ascoltata assai per la sua esperienza nei consigli della Corona, e godeva di una lauta pensione assegnatale dal Re.
Eppoi a che tornare in Italia? In Piemonte era Reggente Cristina, a lei ostile per nascita e per interessi ; e a Mantova, ove era Reggente Maria per il figlio Carlo II, nessuno, per la tranquillità dello Stato, la desiderava ormai, sapendo anche sua figlia che essa non era donna da contentarsi di una vita passiva.
Però, coll’aumentare degli anni, e con l’affievolirsi della salute, ella sentì finalmente il desiderio della patria, ed il bisogno dell’aura nativa. Chiese allora ed ottenne da Filippo IV, il possesso della città di Vigevano, a mezza via tra Mantova e Torino, con una conveniente rendita per mantenere la sua piccola Corte, e seguita, anzi spinta dal suo maggiordomo Bainetti, che, in tanti anni di servizio, le era divenuto qualche cosa di più intimo, ed era più di lei ansioso di tornare a godere in Italia le accumulate ricchezze, ai primi di giugno del 1655, quantunque non si sentisse bene in salute, si pose in viaggio. Ma giunta a Burgos, non ebbe più la forza di continuare, anzi comprese subito che il momento supremo era giunto, e vi si preparò degnamente, come cristiana, come madre e come principessa, e il 25 di giugno 1655 essa fece il passaggio a cui nessun mortale può sottrarsi. Le furono fatti funerali regi, e venne sepolta nel convento reale di Burgos, nelle tombe dei Re di Castiglia.
E così si estinse una principessa che aveva brillato assai a quattro Corti, e che per il suo carattere e per il suo ingegno sembrava avesse dovuto meritare sorte più benigna.