Le donne di casa Savoia/VI. Bianca di Savoia
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VI.
BIANCA DI SAVOIA
Duchessa Visconti
n. 1331 - m. 1387
Il corpo sulla bara era appena disteso |
Aveva essa appena undici anni allorchè, il 24 dicembre 1342, ebbe la somma sventura di perdere la madre, principessa assai colta e gentile, che ne curava assiduamente l’educazione; e non terse ancora le lacrime versate sulla cara spoglia, anche il padre le fu dalla morte rapito il 22 giugno 1342.
Rimasta orfana, era stata giovanissima destinata al trono d’Inghilterra, richiesta al fratello dal Re Edoardo III pel proprio figlio; ma le esigenze di Stato la posero invece nelle braccia di Galeazzo II Visconti, pegno dell'amicizia stretta tra quella famiglia, sorgente a grande potenza ed Amedeo VI, specialmente per desiderio dell'arcivescovo Giovanni Visconti signore di Milano e zio dello sposo.
Galeazzo era figlio di Stefano Visconti e di Valentina Doria. Stefano era fratello del famigerato Luchino, stato fin’allora il capo della famiglia, e che odiava i nipoti così implacabilmente, fino a tenerli confinati in Fiandra; d’onde furono richiamati, alla morte del tiranno, dall'altro fratello di lui e successore, l'Arcivescovo di Milano. Questi, in occasione dell'acquisto di Bologna, mandò Galeazzo come suo Governatore colà, e fu in questa qualità e come erede della parte occidentale della signoria dei Visconti, ch'egli fu fidanzato alla principessa di Savoia.
Riflettendo al carattere spiegato prima e dopo il matrimonio, in pubblico, da Galeazzo II, qualche scrittore vorrebbe far credere che Bianca venisse così sacrificata, il che invece non fu, perchè stando agli storici Galeazzo fu in famiglia amorosissimo con tutti, con la moglie poi sempre buono, affettuoso, e generoso in donazioni, come vedremo, e, quello che più vale, di una severa fedeltà. Di più, all'epoca del fidanzamento, egli era bellissimo, aveva aspetto robusto, sguardo dolce e penetrante, carnagione bianca e vellutata, e al fianco della principessa formavano entrambi una bella e felice coppia. Il contratto di nozze ebbe luogo il 10 settembre 1350, nel castello di Bourget-le-Lac, nella diocesi di Chambéry, allora delizioso soggiorno della famiglia dei conti di Savoia, ed il matrimonio venne celebrato a Rivoli, ameno paesello poco lungi da Torino, il 28 dello stesso mese, con grande magnificenza. Il Visconti era venuto in gran pompa a prendere la sposa, e appena esaurite le cerimonie ripartì con essa direttamente per Milano, dove li attendevano grandi feste, e andarono ad abitare nel palazzo assegnato loro dallo zio Arcivescovo, a Porta Orientale.
Bianca recava in dote 40.000 fiorini d’oro, un tesoro di bontà che doveva efficacemente svolgersi e riflettersi nella nuova sua famiglia, ed una cultura al disopra dell’ordinario, anche per una principessa, attestata questa da vari libri e codici, così rari a quei tempi, che la seguirono dalla casa paterna e che erano stati gli amici più fidi della solitaria sua giovinezza di orfana.
Entro un anno dal matrimonio la giovine sposa dava alla luce un bambino, Gian Galeazzo, il più celebre principe della stirpe, illustratosi sotto il nome di Conte di Virtù, dalla contea di Vertus o Vergiù nella Sciampagna, avuta in dote dalla sua prima moglie. Poi, nel 1353, nacque a Bianca una bambina, ch’essa volle chiamata Violante, in memoria della madre sua Iolanda, o Violante in italiano; e assai più tardi, nel 1366, fu madre di un altro bambino, morto di appena diciotto mesi. Fino dai primi anni della sua vita di sposa e madre, e in mezzo alle gravi e incessanti vicende che agitarono lo Stato, essa rifulse subito per atti continui di bontà e di carità; e in mezzo alle feste per tante vittorie, ed ai contrasti per tante sconfitte, in mezzo agli eccessi, non sempre onorevoli, del marito, essa non montò in orgoglio ne si smarrì, restando sempre moglie e madre esemplare.
La soavità tutta propria dell’animo suo, la traeva ad opere infinite di pietà e di giustizia, e per quello che poteva sull’animo dello sposo, concorse, validamente ed efficacemente, a mitigare le pene e le sventure altrui. Era accessibile a tutti, senza distinzione alcuna di grado, e niuno si rivolgeva a lei senza conseguire grazia e giustizia; soltanto quando le si chiedevano cose contro le leggi e i diritti dello Stato era inflessibile nel diniego. A fianco di Galeazzo, principe assoluto, che non obbediva se non alla sua fortissima volontà, ed a frenarlo nelle misure opprimenti, via via che la sua importanza e la sua potenza crescevano, non valevano suggerimenti di amici e di consiglieri; essa era l’angiolo moderatore, la cui influenza migliorava già la fiera e dispotica stirpe.
Del resto, i difetti di Galeazzo II Visconti, figli in gran parte del secolo in cui visse, vennero dalla fama assai esagerati, mentre vennero taciute molte delle virtù che lo distinsero, in mezzo ad un secolo in cui non era possibile esigerne. Egli concedeva gran favore ai letterati, dava impulso agli studi, chiamava a far parte dei suoi consigli gli uomini più illustri e valenti, spiegava molto gusto per le cose artistiche, ed aveva impeti di generosità ammirabili.
Erano i tempi delle fazioni dei Guelfi, e dei Ghibellini, che tenevano in continua commozione le città italiane, ed anche Galeazzo II, e la storia è là a dichiararlo, era sempre in guerre e in conquiste. Spenta in tali frangenti la libertà di Pavia, riunita questa a Milano sotto il governo dei Visconti, la città, che era considerata allora per una delle principali d’Italia, per la bellezza delle campagne che la circondavano, sarebbe morta d’inedia, ridotta così a città di provincia, se Galeazzo, che ne era divenuto signore e Duca, non avesse avuto l’idea di andare a stabilirvisi. Quella signoria gli era venuta dall’avere egli ottenuto dall’Imperatore Carlo VI di Boemia, per sè e per i suoi successori maschi, il titolo di Vicario imperiale colà; e Bianca, lieta di questa circostanza, appoggiò caldamente la di lui decisione soprattutto per sottrarlo ai pericoli a cui poteva andare incontro a Milano, a causa del perfido suo fratello Bernabò che pur vi risiedeva.
Dalla risoluzione dei Duchi di stabilirsi a Pavia, molto bene, onore e lucro veniva ad avere la città, che altrimenti sarebbe andata in continua decadenza, sacrificata in un inutile dualismo con Milano, onde avvenne che, a ciò i cittadini riflettendo, Galeazzo potè issare senza contrasto la sua bandiera sulle mura, e soggiogarli, così, dolcemente.
Allo scopo d’insediarsi ivi con magnificenza regale, egli diè in breve mano alla fabbrica di quel Castello, rimasto celebre nella storia per il suo artistico splendore, per la sua grandiosità, per la bellezza del vasto giardino annessovi, e che fu compiuto in sette anni di lavoro continuo.
Mentre si fabbricava il Castello i Duchi andavano a Pavia come in villeggiatura, specialmente estiva, giacchè il luogo era ritenuto a quell’epoca come stazione saluberrima efficacissima; e definitivamente vi si fissarono soltanto sulla fine di ottobre del 1365, allorchè la sontuosa dimora fu pressochè completamente terminata.
Intanto nel 1360, quando Gian Galeazzo, il primogenito di Bianca, era sempre un bambino, fu sposato dai rispettivi padri con Isabella di Valois sua coetanea, figlia di Giovanni il Buono, Re di Francia, che, in grazia della prosapia non gli portava che la meschinissima dote della Contea di Vergiù. La regale bambina entrava in Milano l'8 di ottobre, e sebbene subito sposata, non fu per allora che un’altra figlia per Bianca.
Questa degna principessa, che ogni suo dovere compieva con rara amabilità, nell’acutezza della sua mente comprendeva ogni giorno più come la sede di Milano non fosse più adatta al marito, per il quale temeva sempre, da parte del di lui fratello, qualche brutta sorpresa, specie adesso che egli era condannato all’immobilità a causa della gotta. Per tale ragione, quasi altrettanto impaziente quanto la nuora e la figlia Violante, spinse nell’autunno del 1365 il Duca, a insediarsi, senza più oltre indugiare, a Pavia, contente tutte di andare ad abitare un palazzo di cui suonava già la fama in tutto il mondo.
L’aria salubre influì beneficamente sulla salute di Galeazzo II, che a Pavia stette subito meglio del suo male e più tranquillo, e presto potè andarsene alla caccia del falcone lungo i boschi che fiancheggiavano il Ticino, mattina e sera, tanto viva essendo la sua passione per quell’esercizio. Così tutto andava pel meglio, tanto più che i Pavesi, i quali in principio avevano accolta la famiglia ducale con trepidanza, non stettero molto ad apprezzare i vantaggi di quella residenza, e quindi, in grazia dell’angelica bontà della Duchessa, anche i benefizi, ed incominciarono ad amarla con quell’affetto vivissimo che le sopravvisse.
Quale fosse il tenore di vita che Bianca teneva in Pavia è facile immaginare, trattandosi di una principessa di animo tanto elevato e virtuoso, come la proclamò Giovanni Mussi nel Cronichon Placentinum, e cresciuta fra i nobili esempi pei quali sempre fu rinomata la sua Casa. Aveva soprattutto cura del bene dei poveri, e le era odioso ogni esorbitante balzello o tassa che li colpisse, e spesso ottenne dal marito di non aggravare questi o quelle; ed una volta, per sottrarre quei di Abbiategrasso, della qual terra il Duca le aveva fatto da tempo donazione, ad una legge dispotica di lui, con decreto datato dal Castello di Pavia, ordinò che fossero giudicati dal suo Vicario, essendone lei la signora. Di più, il suo colto ingegno potè ivi sempre più ornarsi, avendo maggior tempo di dedicarsi allo studio, e molto potendo giovarsi del consiglio di quegli uomini illustri di cui suo marito piacevasi a circondarsi. Essa fu la prima donna di Casa Savoia che si compiacque nella lettura del Poema di Dante, di cui allora infiniti erano gli ammiratori, e la pubblicazione recente, e del quale nella Biblioteca Viscontea eranvi sei esemplari. Possedeva in proprio parecchi libri che fecero parte di quella Biblioteca, rapita all’Italia da Luigi XII e che ora arricchisce la Nazionale di Parigi. La maggior parte erano libri religiosi, quali li richiedeva l’epoca, e scritti in latino; uno fra gli altri, a lei carissimo perchè regalatole dal figlio, ed un altro di preghiere, chiamato Officio, stato comprato per lei a Parigi nel 1366, per una somma equivalente a lire 1497 e 97 centesimi delle nostre.
Il Castello aveva una Cappella ricca di ornamenti e di reliquie, dove un Cappellano celebrava la Messa tutti i giorni, e dove alla Duchessa piaceva tanto di raccogliersi, mentre le sue figliuole preferivano il giardino con tutti i graziosi e ricchi annessi. Isabella era creatura dolce e mite, Violante riuscì donna di animo tenero e soave, e di rado in una casa si trovarono insieme tre spiriti gentili ed eletti quali queste tre principesse, che per ciò erano fatte segno all’attenzione generale. Fra loro non corse mai il più lieve dissidio, ed anime nobilissime in belle persone, soltanto il cielo può sapere quanto bene abbiano operato riunite, su nature come quelle di Galeazzo II e del Conte di Virtù. Compiuto il Castello e il giardino, Galeazzo incominciò a formare il Parco, cosa ineguagliabile per quei tempi, e che oggi non avrebbe riscontro se non nel parco che circonda la villa reale di Monza. Fondò in quel tempo anche la celebre Biblioteca, affidandone l’ordinamento a Francesco Petrarca, uno dei grandi letterati a cui era sempre aperta la sua Corte addirittura splendida. Francesco Petrarca vi dimorò cinque anni volentierissimo, anche perchè aveva a Pavia una figlia naturale, Francesca, maritata a Francesco Brossano, custode dei palazzi ducali, che lo aveva fatto nonno di nipotini da lui idolatrati.
Isabella Contessa di Virtù, diè nel maggio del 1366 alla luce quella Valentina che doveva essere così nominata fra i Visconti, e Galeazzo II volle che l’avvenimento si celebrasse con gran pompa. Fu padrino il fratello di Bianca, Amedeo VI, insieme al Marchese d’Este ed a Malatesta Ungaro, i cui ultimi, mentre sedevano a mensa coi Visconti, erano in via di recarsi ad Avignone onde partecipare alla lega che si stringeva contro di questi! — Era quella la prima volta che il Castello compiuto aprivasi a festa, e fra le altre cose fu data una giostra nell’ampio cortile.
La Duchessa, riccamente vestita, stava in mezzo alla nuora e alla figlia, anch’esse splendidamente abbigliate, e circondata da molte altre dame. Ma Bianca era mesta: i tempi correvano tristi, ed essa così accorta e profonda osservatrice, forse anche in quel giorno presentiva il nembo che si addensava sulla sua famiglia, tanto più che varie dispotiche e tiranniche azioni ultimamente compiute dal marito, non avevano avuto la sua approvazione. E quella mestizia non si dissipò per molto tempo. Si rasserenò alcun poco pel matrimonio della figlia con Lionello dei Plantageneti, Duca di Clarence, il quale entrava in Milano il 27 maggio 1368, e il 15 giugno si celebravano con grande splendore le nozze; recando la sposa un corredo di gioie e di vesti stupende, a preparare il quale aveva atteso amorosamente la madre.
Bianca godeva ora un poco di pace, e ad accrescerne la dolcezza, Isabella, il 4 marzo 1369 partoriva Azzone. La nascita del desiderato erede diè occasione a feste ancor più belle di quelle date per Valentina. Tra gli altri invitati vi vennero da Alba, una delle terre portate in dote dalla sposa, Violante e Lionello, che a consolazione della Duchessa vi si trattennero poi alquanto, per godersi il parco e l’aria buona, essendo Lionello non molto in florida salute. Ma appena tornati ad Alba egli si ammalò gravemente e morì il 15 ottobre 1369.
Oltre al rivedere in famiglia la figliuola desolata, Bianca, certo destinata ad una continua alternativa di lievi gioie e di forti dolori, onde affinare la sua anima pel cielo, ebbe angustie tremende per la guerra sorta, per la restituzione della dote di quella, fra Galeazzo II ed il Marchese di Monferrato, e nella quale fu poi coinvolto anche Amedeo VI di Savoia, sicchè la poveretta ebbe a vedere l’un contro l’altro il marito ed il fratello! Ella si adoperò molto per far cessare quello stato di cose, e finalmente conclusa nel 1376 la pace, Violante sposò in seconde nozze, il 2 agosto, Secondottone marchese di Monferrato, che fu poi ucciso nel 1378 da un soldato tedesco nel territorio di Parma.
Ma intanto la fortuna di Galeazzo aveva precipitato, e alle calamità pubbliche si univano senza tregua le private. Oltre alla morte della gentile Isabella, spentasi il 3 settembre 1373 nel dare alla luce un bambino che le sopravvisse solo un anno, oltre ai casi della figlia a cui ho sopra accennato, Bianca non potè non sentirsi affranta dalle altre infinite sventure che piombarono sulla sua famiglia e sul popolo, sebbene ella possedesse il forte carattere distintivo della sua Casa. La salute del marito vacillante, la scomunica scagliata sulla famiglia dal Papa Gregorio XI, che irritò molto il Duca ed addolorò essa così pia, la siccità, la pestilenza che venne in seguito, tutto era per essa causa di sommo abbattimento.
Quando poi si rischiarò un poco l’orizzonte pei Visconti, a causa della pace fatta col Pontefice, e pel matrimonio di Violante concluso con molta politica e vantaggio, quando Galeazzo II poteva dirsi contento e per riflesso era contenta anche la buona Duchessa, il 4 agosto 1378, a cinquantanove anni, Galeazzo moriva!
L’educazione di Gian Galeazzo, che doveva succedergli, era stata per esso una cura speciale, e ne trasse ottimo frutto, associandoselo a tempo nelle pubbliche faccende, per cui potè poi compiere azioni nobilissime, certo anche per il sangue materno e la materna ispirazione. Infatti rimasta vedova la Duchessa, il figlio che l’amò e la rispettò molto e sempre, oltre il mantenerle le signorie di cui l’aveva investita il loro rispettivo marito e padre, gliele aumentò, perchè dovunque ella recava un governo saggio ed un’amministrazione benefica.
Ma il modo di vita e di governo di Gian Galeazzo, non confacendosi affatto alla tranquillità a cui il suo animo oramai anelava, Bianca decise di ritirarsi nel suo palazzo di Corte Nova che sorgeva lì in Pavia, nel punto ove al presente è il palazzo della Prefettura.
Quivi essa, che signora di Monza fino al 1380, signoria, cambiatale poi con altre dal figlio, aveva fondate una delle otto cappellanie ducali della basilica di S. Giovanni Battista; decise d’istituire un monastero di francescane, dedicandolo a S. Chiara. Perchè ella preferisse quella Santa chiaro emerge. Sorgeva lì presso il gran tempio dedicato a S. Francesco d’Assisi, di cui allora tutti erano ferventi e ammirati, sia per la Cantica dell’Allighieri che a quei giorni tutti leggevano, sia perchè il mite fraticello aveva vissuto da appena un secolo. Bianca, riflettendo sul poema di Dante, erasi fermata con compiacenza su quei versi:
“Perfetta vita ed alto merto incela |
Perchè di fondazione sovrana, il monastero si chiamò di S. Chiara la Reale, ed ivi la Duchessa Bianca si destinò la tomba.
Intanto il figlio di lei si riammogliava con la cugina Caterina Visconti, figlia di Bernabò; e Violante, quasi per forza, fu da esso maritata, per la terza volta, a Lodovico fratello di Caterina. Anche a causa della condotta del figlio, la Duchessa ebbe spesso dei dolori, poiché egli in più occasioni non si portò lealmente come essa avrebbe voluto riguardo ai parenti, coi quali non le piaceva di rinfocolare gli odii.
Ma Gian Galeazzo in politica poco si curava dei di lei consigli e giunse fino, nel 1385, ad approfittare dei disastri di Bernabò e ad imprigionare nel Castello il cugino e cognato, Lodovico. La povera Violante tanto si accorò per quella prigionìa che, la sua delicata fibra più non resistendo, si ammalò di languore e morì nel novembre del 1386, a trentadue anni, senza che il fratello le accordasse la consolazione di dire addio al marito prigioniero.
Questa morte colpì al cuore la Duchessa Bianca, e non se ne riebbe, malgrado le premure del figlio, che, a lenirle il dolore, pel quale forse provava un po' di rimorso, le donava nel dicembre le terre di Somaglia, Trezzano e Busseto. E neppure valse a ricondurla lieta il matrimonio della sua nipotina Valentina con Lodovico Tourraine, figlio del Re Carlo VI, di cui il contratto si ratificò nel suo palazzo, l'8 aprile 1387.
Bianca, cuore aperto a sentimenti miti e affettuosi, carattere amabile e gentile, non godè pur troppo felicità adeguata su questa terra; e andò a raggiungerla in cielo, a cinquantasei anni, l'ultimo giorno di dicembre del 1387. Il suo testamento è lo specchio di una vita illibata ed operosamente pia. In esso dispose anche la vestissero da clarissa, e che alle monache di S. Chiara fosse dato il suo ritratto, eseguito per sua commissione dal pittore Martino Lucini e pagato seimila lire delle attuali. Avea dotato il monastero fino dalla fondazione e col testamento lo arricchì. Il luogo preciso dove voleva esser sepolta in S. Chiara, lo aveva accennato all’Abbadessa e alle suore, ed ivi le fu innalzato il monumento consistente in un’urna di marmo sulla quale essa era scolpita distesa.
L’ultima cosa a cui attendeva era la fondazione di un ricovero, per patrizi decaduti senza lor colpa, ma non potè darvi compimento, e per reverenza alla sua memoria lo istituì il figlio, il quale volle che sorgesse presso il palazzo di lei.
I Pavesi piansero di cuore e con lacrime ardenti la morte della buona Duchessa, che per più di venti anni era stata loro signora e benefattrice, e che adoravano per la sua pietà e munificenza, ed intervennero in massa e desolati ai di lei funerali. Questi ebbero luogo ai primi del gennaio 1388, voluti splendidi dal figlio, a cui premeva di dimostrare pubblicamente la venerazione che le aveva.
Dopo molti e molti anni ed infiniti avvenimenti, durante la Repubblica Cisalpina la chiesa di S. Chiara fu profanata, e tutto quanto poteva avere un valore fu venduto. Ed anche l’urna della Duchessa Bianca, che sorgeva nel coro della chiesetta interna del monastero, fu comprata per pochi soldi da uno scalpellino, e nulla più se ne seppe.
Ora chiesa e convento sono scomparsi, sotto i colpi di piccone della nuova età, ma la memoria di Bianca di Savoia vive tuttora e vivrà nei secoli, perchè la storia non si abbatte nè si uccide. Ora il nome di lei, detta da Paolo Morigia nella sua Historia dell’antichità di Milano, fino dal secolo XVI, degna di ogni lode, venne nel 1896 scritto nel Famedio del Camposanto di Pavia.
Margherita di Savoia, prima Regina d’Italia, volendo associarsi a rendere perenne in Pavia la memoria della sua antenata, istituì presso la Congregazione caritativa della stessa città una dote annua perpetua di L. 100 nette, a favore della più povera e meritevole ragazza nubenda di Pavia, dote portante naturalmente il nome di Bianca Visconti di Savoia, perchè istituita a suo onore.
Note
- ↑ Dell’Acqua dott. Carlo. Bianca Visconti di Savoia ed il monastero di S. Chiara la Reale in Pavia di sua fondazione. Pavia, 1897, in fol. fig. Edizione fuori commercio