Le avventure di Saffo/Libro II/Capitolo III
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CAPITOLO III.
L’esperimento dell’acqua.
Ascoltò la fanciulla con le ciglia sospese, e le palpebre immobili i carmi della divinatrice, la quale con voce ordinaria, ma con suono armonioso di canto profferendoli, riempì con quelle note le echeggianti cavità dell’ampia grotta. Era per Saffo cagione di maraviglia, la improvvisa facilità del metro, per cui ella avea non ordinario senso; ma molto più considerando come Stratonica avesse penetrate le circostanze tutte della infelice avventura, non che i nomi e di lei e del nocchiere, con la sola scorta delle esterne apparenze delle mani e della fronte. Oh sapientissima donna, proruppe Saffo! Omai tutta comprendi la miseria mia, e se pari è la pietà del tuo cuore alla divina perspicacità del tuo intelletto, io spero, siccome te ne prego, che tu darai qualche conforto ad un cuore così velenosamente ferito da un dardo, che non posso nè togliere nè soffrire. Così dicendo non più ritrosa, ma supplichevole si accostava a lei, la quale rispose: Figlia, perocchè tal nome si conviene a quella benevolenza che omai per te sento, io sono inclinata ad esaudire le tue miti preghiere, e però ti propongo due rimedj. L’uno è destinato ad inspirare nell’animo indifferente del garzone gli amorosi stimoli che lo costringhino a piegar l’animo nella servitù di Cupido; l’altro è diretto a sradicare nel tuo quelli che per lui così miseramente ti trafiggono. Quale scegli di entrambi? Rispose la fanciulla: Tu mi proponi o il godimento del bene, o la dimenticanza del male; e come non dovrò io prescegliere quello, e posporre questa, quando che nel mio cuore forse nemmeno co i più efficaci segreti della tua scienza divina giungeresti a scancellarvi la troppo impressa idea della ingrata bellezza, per cui gemo, e quando che, al prezzo ancora di angosce infinite, sono pronta a comprare un momento di amore corrisposto! Oh veramente, rispose Stratonica, profonda e lagrimevole è la piaga del tuo cuore, quando in tal guisa ragioni, che più non vedi la tua felicità in te medesima, ma nell’oggetto amato. Infelice delirio, e deplorabile cagione di miserie infinite, ma pure il segno certo ed unico, della più funesta insieme e più lusinghiera delle umane passioni. Si tenti adunque di ammollire un cuore impenetrabile a’ tuoi teneri sguardi, quantunque ripieni di lagrime. Innanzi però che io intraprenda l’opera che brami, è necessario, ch’io discopra quali sieno verso di te le influenze de’ Numi superiori. Disse, e prese un’urna di risplendente cristallo riposta in un canto dello speco, e la sottopose ad una limpida fonte, che sgorgava non lungi; quindi accostò l’ urna ripiena all’ara ancor fumante del non spento fuoco, e versò in quello, mormorando ignote parole, la raccolta acqua. Poi di nuovo sottopose l’urna alla fonte, e recandola ripiena sull’estinte brace dell’ara, disse non più tranquilla, ma già commossa dalla divina ispirazione, con severo contegno: Immergi quì la destra mano. Restò Saffo perplessa tra l’ubbidienza ed il timore dell’incognito rito; e però avendo prima distesa alquanto la destra, la ritrasse di poi. Al quale timido atto, fatta più rigorosa e torbida la divinatrice, esclamò: Ben potevi non profanare questo sacro speco colla tua presenza, perocchè era libera la tua volontà prima che vi entrassi temerariamente, ma poichè vi sei giunta, il primo passo, che hai steso in questa soglia, ti rese suddita de’ Numi, che qui vieni a turbare con increduli voti. Dalle quali parole atterrita la fanciulla, ed insieme confortata da Rodope, tuffò nell’urna la candida mano. Si udì stridere, e si vide gorgogliare la fresca acqua con maraviglioso cambiamento, come se vi fosse immerso un calibe rovente allora tolto dal fuoco animato dal soffio de’ mantici. Alla qual vista gridò, non già per dolore, perchè non ne sentì, ma per lo spavento, la sorpresa fanciulla, e seco lei Rodope per la pietà. Ma Stratonica severamente così parlò: Ora ben comprendo quanto è mortale la ferita, che quì vieni a risanare. Oh Venere funesta persecutrice, quanto maligna e sottile fiamma hai commista nel sangue di costei, e qual fu mai la infelice cagione di uno sdegno così crudele! Dimmelo, o sventurata, perocchè indagare non la posso, non essendomi concesso di scoprire, con gli sforzi della mia scienza, l’animo degli Dei. Quindi Saffo a lei narrò come non apportasse al sagrificio le destinate colombe; e mentre svelava i suoi casi, e le cagioni dell’ira divina, le piovevano dagli occhi lagrime non meno copiose delle goccie cadenti dal non asciutto braccio allora uscito dall’urna, che l’affettuosa Rodope a lei intanto rasciugava col velo. La ascoltò con fronte pensierosa la divinatrice corrugando le ciglia, e con gli occhi in terra fissi, e quindi soggiunse: Tu m’hai rivelata acerbissima cagione di quei tristi effetti di amore, i quali in te derivando dalla prepotente vendetta di un Nume sdegnato, non possono distruggersi, se non per una divina protezione. Conciossiachè quegli amori che provengono da i consueti desiderj umani, benchè violentissimi, possono nulladimeno col tempo, colle esortazioni, col disinganno, calmarsi alla fine: ma quando sia mista in tali effetti qualche divina volontà, è necessaria qualche altra volontà divina a superarli. Di modo che si richiede che tu acquisti grazia di tal Nume, il quale si opponga alle frodi della Dea nemica. Come mai, rispose Saffo, potrei io rendermi benevola alcuna potenza del cielo, quando mi è contraria colei, che a tutti impera colla soavità degli allettamenti? T’inganni, interruppe alteramente Stratonica, perchè suddita qual sei di Amore, ti sembra tutto l’universo sommerso alle di lui leggi. Ma sappi nondimeno, che anche la casta e vereconda Virtù ha il suo regno, e che venendo a contesa la severità della continenza colla seduzione de’ piaceri, può trionfare, e trionfa di loro, avendo questa vittoria i suoi diletti, più sicuri, più liberi, e più gloriosi. Saffo intanto propensa a ragionare dove vi fosse materia di pascere l’intelletto, e molto più nella presente necessità di penetrare le dottrine della divinatrice, timidamente opponendosi la interrogò. Ma non ti sembra forse che Venere sia la regina delle più vivaci delizie, se ella ha soggiogati non che gli animali e gli uomini, anche i Numi? nè io saprei, benchè forse è colpa della mia ignoranza, dove sia la reggia di quell’altra divinità, la quale dispensa più sinceri diletti, siccome tu mi riveli. Evvi, rispose Stratonica, ed è potente più che non credi; ma tanta è, sino fra gli Dei, ineguale la bilancia della virtù, e del diletto, che questo, quasi fosse più leggiero, si è sollevato in cielo, e l’altra, per se medesima grave, è caduta ne’ più remoti abissi dell’universo. Dicea tai parole fremendo la divinatrice, quasi fosse spinta contro sua voglia a ragionare di arcani riserbati soltanto a pochi, e non rivelabili alla insensata moltitudine. Ma Saffo stimolata anzi dalle oscure parole a desiderio più vivo di penetrarne il senso, vedendo che Stratonica premea le labbra sforzandole al silenzio: Deh sodisfami, esclamò, e sieno le tue parole più corrispondenti alla insufficienza del mio sommesso intelletto. Così dicendo si chinò verso di lei abbracciandole le ginocchia, la quale commossa dall’atto divoto; Sorgi, disse, o fanciulla ben degna di più chiari consigli e più avventurosi, perocchè l’anima tua brama di godere nell’acquisto delle splendide virtù quell’invariabile diletto, che in vano si ricerca negl’ingannevoli, quantunque floridi, sentieri delle fallaci delizie. Or dunque siedi e prepara l’animo ad altri portenti, fra’ quali forse la Dea muoverà la mia lingua ad oracoli meno dubbiosi. Si collocò la fanciulla su di una vicina base di pietra risplendente di lucidi cristalli in esse nati coll’universo; si raccolse nel manto volgendo l’attenta faccia a lei, che appoggiò il fianco all’ara. Intanto Rodope, non dimenticandosi di essere ancella anche in mezzo di que’ misterj, stette accanto di Saffo in piedi con sommesso atto appoggiando le mani sul grembo.