Le avventure di Saffo/Libro II/Capitolo IV

Libro II - Capitolo IV. Gli spettri

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CAPITOLO IV.


Gli spettri.


Rimase adunque Saffo immersa in dubbj profondi, atterrita in parte dall’orgoglioso progetto di contrastare co’ Numi, e in parte allettata dalla speranza di men acerbo destino. Tacea intanto la divinatrice raccolta in gravissimo silenzio. Ma siccome prima de i turbini, suole alquanto trattenersi il vento, e poi, quasi avesse adunate forze maggiori in quella breve sospensione, scoppia all’improvviso con più ruvinoso impeto; così Stratonica proruppe dal cupo silenzio in smanioso delirio, e in un tratto scomponendo i crini e le bende avvolte, impugnò la verga prodigiosa, e quindi rigirandosi intorno di sè, come un vortice, ne formò, colla estrema punta, nel ter[p. 150 modifica]reno un ampio giro, entro di cui mormorò, con voce profonda, sconosciute parole. Tremò la terra, fischiò l’aura, ed uscì dall’ara vicina, dov’era spento il fuoco, vampa improvvisa senza alimento di combustibile materia. Nel volubile fumo apparve, come passeggiero entro la nebbia, una larva incorporea simile ad un garzone alato, di vago ma severo aspetto, che, diradandosi il denso vapore, si mostrò più visibile e più chiara. Saffo già persuasa dalla soavità delle sembianze, piuttostochè respinta dal terrore del prodigio, s’inchinava per invocare lo spettro; quand’ecco si riascose nel fumo, da cui ne uscì cangiato in orrenda chimera, il di cui capo era di leone, il corpo di capra, i piedi di drago, e vomitava dalle tre bocche vampa e faville. Al quale aspetto scostandosi le donne gridarono con terrore; ma appena l’improvviso gelo avea sorpresi i loro cuori, che di nuovo si offerse non dispiacevole oggetto. Sparve nella nube di fumo la [p. 151 modifica]odiosa chimera, e ne uscì un cavallo alato, che trasportava, cinto di risplendenti acciari, intrepido fantasma, sul di cui elmo ondeggiava alto cimiero, come l’abete al vento sulle rocche. Si slanciò lo spettro verso una più interna via dell’antro, e le donne, spinte dalla curiosità, verso quel sentiero volgendosi, udivano le orme sonanti del corsiero, e la voce di chi lo reggeva al corso; ma quantunque sforzassero le attente pupille, era già dileguato dagli occhi, come leggiera nebbia al raggio del Sole. Avevano così rivolti gli occhi desiderosi tuttavia a quel suono e a quella voce, quando udirono verso l’ara lo squillo di una stridula tromba: e ripiegando gli occhi verso quel romore, la videro imboccata da un drago orrendo e squamoso, il quale traeva quel suono dall’istromento, trasmettendo in lui con enfiate guance l’alito infernale di faville e di fumo, che dalle ampie nari, nello stesso tempo, gli esalava. Tutta si ristrinse la fanciulla per orrore, copren[p. 152 modifica]dosi gli occhi col manto, e con lei fu costretta ad ululare la seguace quantunque esperta; ma visto appena quest’oggetto spaventevole, Stratonica percosse colla verga fatale la di lui tromba, che sull’ara cadde, e fu consunta dalle fiamme in minor tempo ch’io non lo dico, e in minor tempo ancora si cangiò quel mostro in vaghissima donzella coronata di mirto, ricoperta di candido velo trasparente, raccolto a i lombi con una fascia oscura. E mentre Saffo, credendola Ecate, già si prostrava, ella sparve, si estinse la fiamma sull’ara, risonò l’antro di voci confuse, come quelle della moltitudine convocata, e quindi ritornò di nuovo il sacro silenzio, e la calma primiera. Che prodigj sono questi! (esclamò con voce ancora tremante la fanciulla, attaccandosi alle vesti di Rodope). Sospendi per pietà, o sapientissima donna, così orrende apparizioni, perchè non ha forza la mia pupilla di rimirarle, nè il mio cuore di sostenerle. Non temere, o anima im[p. 153 modifica]belle, rispose la divinatrice, perchè ben vedesti come io ho rattemprate le spiacevoli apparizioni colle piacevoli, estinguendo col diletto il timore appena nato: che se io volessi non te soltanto, e questa seguace, che timide siete, e per natura del sesso prive di costanza, ma i più valorosi guerrieri, i più audaci navigatori, e gli stessi Eroi famosi per lo disprezzo della morte atterrire siccome bambini, io lo potrei agevolmente. ImperocchèFonte/commento: Pagina:Verri - Le avventure di Saffo e la Faoniade, Parigi, Molini, 1790.djvu/15 non v’è cuore così intrepido, il quale non si dovesse disciogliere come ghiaccio nella fiamma, se aprissi il baratro di quelle orrende larve, che sono destinate nell’averno a spaventare le anime, un tempo al mondo così orgogliose, degli illustri scellerati. Oh fu giusta la tua pietà, sapientissima donna, soggiunse Saffo, perchè l’abbattuto mio cuore cerca da te conforto, e non fantasmi di terrore. Quando mi vedi supplice e sommessa, come ti compiaci di così tormentarmi, quasi fosse perplessa la mia fede? Erri, rispose [p. 154 modifica]quella, avvegnachè io non sono di genio maligno, siccome le fate, le quali barbaramente si compiacciono di perseguitare con funeste incantazioni la fortuna e i sensi di coloro, che abbiano prescelto dal nascimento con iniquo capriccio per materia delle crudeli loro malíe; ma io non impiego la mia purissima scienza, che in opere utili e virtuose. Che se ti ho mostrato de i portenti, essi furono necessaria disposizione, perchè si prepari l’animo tuo al culto di questi Numi con fiducia costante, perocchè altrimenti, se tu diffidi della loro potenza, essi non te la mostreranno con buoni effetti, in pena dell’empia incredulità. Ma giacchè tu hai l’animo disposto, io ti dirò, che fra le molte specie di scienza divinatoria, due sono segnatamente distinte; l’una è lodevole, quantunque sospetta alla plebe ignorante; l’altra è biasimevole, perchè scellerata. Io professo la prima, mediante la quale, coll’ajuto de’ Numi inferni, si conoscono le proprietà occulte, le in[p. 155 modifica]fluenze degli astri, la virtù de’ corpi, gl’instinti degli animali, ed anche gli umani pensieri colla scorta delle esterne apparenze; e quindi ancora si assottigliano i corpi, siccome l’aura, o si ottenebrano gli sguardi altrui ad operare le invisibilità e le apparizioni, lo scopo de’ quai prodigj deve essere di nocumento a nessuno, e di utile a colui, per il quale si fanno. L’altra è arte viziosa, perchè non invoca se non i genj maligni abitatori delle tenebre, destinati a crucciare le anime di chi lasciò la vita odioso agli Dei. Ma tempo è omai ch’io ti sodisfaccia, e invochi per te la Dea, pregandola primamente di un utile consiglio. Così disse la faconda Stratonica, e di repente si gettò sugli omeri il nero ammanto, ricoprendone non meno il capo; pose un vasto volume sulle ceneri dell’ara, impresso di misteriosi caratteri, e disciogliendolo susurrò strane formole, col suono di un ruscello fra le arene. Batteva anco i piedi, e percuoteva l’aria, ed il volume alternativa[p. 156 modifica]mente con la verga pieghevole e fischiante; poi rivolta alla fanciulla, che aspettava in timido contegno l’oracolo divino, così con voce non propria, ma spinta dalla lingua mossa dalla Dea protettrice; Oh te misera, esclamò, quant’altri mai lo fosse, per la fiamma che t’arde nel petto, perchè nulla potrà estinguerla, se non ilFonte/commento: Pagina:Verri - Le avventure di Saffo e la Faoniade, Parigi, Molini, 1790.djvu/15 flutto del mare! Vanne però a Leucate, ed ivi il sacerdote di Febo ti dirà quanto ora è costretto il mio labbro di nascondere nelle sacre tenebre di un silenzio divino. Esci dall’antro, ho detto assai, quì non devi ritornare, nè più rivedermi. Così dicendo sparve, lasciando alla perplessa fanciulla il misero conforto delle dubbiose e fatali parole. Imperocchè un naufrago nuotatore spinto dalle onde sulla deserta spiaggia sarebbe forse meno incerto della sua sorte, di quello che Saffo lo fosse dopo gli oscuri sensi dell’oracolo. Ma ricuperando a poco a poco gli officj smarriti dell’intelletto, s’avviò tacitamente colla ancella fuori [p. 157 modifica]dell’antro per la già cognita via, e giunte a rivedere l’aperta luce, strinsero le palpebre, siccome abbagliate dai vivi raggi dopo la densità delle tenebre. Ma pure la bellezza del cielo, la soavità dell’aura, che susurrava nella foresta, il garrire degli augelli, dilatò alquanto il cuore delle afflitte donne, le quali pensierose ritornarono, ancor più che non ne fossero uscite, all’albergo di Scamandronimo.