Le odi e i frammenti (Pindaro)/Odi per Tebe/Ode Pitia XI

Ode Pitia XI

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Pindaro - Le odi e i frammenti (518 a.C. / 438 a.C.)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1927)
Ode Pitia XI
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ODE PITIA XI

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Pindaro invoca Semèle ed Ino, le eroine tebane di Cadmo e di Armonia, e Alcmena, madre di Eracle, il sommo eroe di Tebe, perché vengano nel santuario d’Apollo Ismenio (presso Melia: Melia era una Ninfa, che, amata da Apollo, generò Tènero, l’indovino che dava i responsi in questo santuario) a levare un inno vespertino a gloria di Tèmide e di Delfi, umbilico del mondo, per onorare Trasidèo, il giovinetto tebano, che aggiunse una terza corona alle due guadagnate dal padre Pitonico, trionfando a Delfi, nella Fòcide, patria di Pilade, dell’ospite di Oreste (1-19).

Giunto, con questi artificiosi passaggi, all’eroe argivo, Pindaro narra il notissimo mito degli Atridi. Quando Clitennestra uccise Agamennone e Cassandra, la nutrice Arsinoe mise in salvo il bambinello Oreste, che fu cresciuto presso Strofio, e, fatto adulto, tornò in patria, e vendicò il padre, uccidendo la madre stessa ed Egisto (20-53).

Con uno dei passaggi abituali, Pindaro rimprovera sé stesso d’aver divagato, e si richiama all’argomento, all’elogio dei vincitori (47-53).

Pitonico, il padre, vinse ad Olimpia e a Pito, Trasideo a Pito (56-63).

Nella chiusa, appaiono le solite riflessioni. Si biasimano i regnanti che lasciano trionfare la mediocrità a danno del vero merito; e si esalta chi riesce a respingere le offese del[p. 20 modifica]l’invidia, e lascia ai figli fama onorata, quale la lasciarono il tebano Iolao, e i due figli di Giove, Castore e Polluce.

L’ode è del 474 a. C. Ricercare se e in qual misura il mito e le massime morali si riferiscano a fatti politici e a condizioni della famiglia di Trasideo, mi sembra impresa disperata.

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PER TRASIDEO DI TEBE

VINCITORE NELLA GARA DEI FANCIULLI ALLO STADIO A PITO


I


Strofe

O figlia di Cadmo, Semèle, che presso gli Olimpi hai dimora,
ed Ino Leucòtea,
partecipe al talamo delle Nereidi marine,
insiem con la nobile madre d’Alcide,
vicine a Melía
venite, al tesoro inaccesso
dei tripodi d’oro, che Apollo piú d’ogni altra cosa onorò,


Antistrofe

e Ismenio lo disse; e fu seggio d’oracoli nunzi del vero.
E tutte egli aduna
or qui l’eroine di Tebe, perché, d’Armonia
figliuole, raccoltevi a schiera, cantiate
e Tèmide sacra,
e Pito, ed il giusto umbilico
del mondo, ove siede Giustizia. Cantate nel vespero primo,

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Epodo

e il canto sia premio per Tebe,
sia per l’agone di Cirra,
in cui Trasidèo rese illustre la casa paterna,
la terza corona gittandole,
che vinse nei solchi opulenti
di Pilade, l’ospite d’Oreste Iacone.


II


Strofe

D’Oreste, cui seppe dal laccio ferale scampar la nutrice
Arsinoë, quando
la femmina senza pietà, Clitennestra, sospinse
con mano feroce Cassandra, la vergine
dardania, figliuola
di Priamo, e lo sposo Agamènnone
trafitti da lucido bronzo, ai liti del buio Acheronte.


Antistrofe

Struggevale forse lo spirito, la bile sua fiera eccitava
la figlia Ifigènia
sgozzata sovresso l’Eurípo, lontana dal suolo
nativo? Oppur doma, sedotta la fecero
gli amplessi notturni
nel talamo adultero? È fallo
a giovani spose turpissimo; né tal che alle ciarle degli altri

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Epodo

rimanga celato; e ben sono
i cittadini maledici:
e Invidia s’appiglia a Fortuna: nel buio nascoste
rimangon le povere vite.
Cosí moría dunque l’Atríde
il giorno che all’inclita Amícla riede’;


III


Strofe

e perse la vergin profetica, poiché dei Troiani le ricche
magioni distrusse,
die’ al fuoco per Elena. Oreste la giovine vita
salvò presso Strofïo, l’ospite annoso
che ai pie’ del Parnaso
aveva dimora; e con tarda
vendetta la madre poi spense, Egisto mescé nella strage.


Antistrofe

Oh amici, davvero, io che prima battevo la strada diritta,
smarrito d’un trivio
mi son fra le ambagi. Mi spinse lontan dalla rotta
un vento, sí come per mare un battello.
Oh Musa, è tuo cómpito,
poiché per mercede tu suoli
locare l’argentea voce, da un punto ad un altro rivolgerti.

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Epodo

Su, dunque, pel padre Pitònico,
per Trasidèo leva il canto:
ché ardono in fiamme di gloria, di felicità;
e vinte le gare coi carri,
nei celebri agoni d’Olimpia,
un raggio veloce lor cinse e i corsieri.


IV


Strofe

E ignudi scendendo allo stadio di Pito, lo stuol degli Ellèni
coi piedi veloci
sconfissero. — Ai Numi dimando felice successo,
le brame volgendo secondo l’età:
né, quando fiorire
veggo io di piú lunga ventura
lo stato di mezzo, lodare dei principi posso la sorte.


Antistrofe

È l’animo mio volto a civiche virtú. Le molestie d’invidia
assalgon chi giunse
al vertice, e vive sereno, schivando i soprusi;
e gli ultimi negri confini di morte
serena attingendo,
ai suoi dilettissimi figli
la fama onorata che ogni altro ben supera, lascia in retaggio.

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Epodo

Tal fama distingue Iolào,
d’Ificle il figlio; e nei carmi
voi pur siete celebri, o Castore, o sire Pollúce,
divini, che alterna dimora
avete, l’un giorno in Teràpne,
e l’altro abitate le case d’Olimpo.