Le odi e i frammenti (Pindaro)/Frammenti/Ditirambi
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DITIRAMBI
Il ditirambo era, come tutti sanno, un canto in onore di Diòniso; e, in origine, improvvisato tra i fumi del vino: Archiloco cantava:
Quando il vino come un folgore sul cervello mi piombò,
intonare il ditirambo per Dïòniso io ben so.
Questo ceppo mise parecchi rami. Affidato ai Satiri, si combinò con elementi drammatici, e diede origine alla tragedia. Svolse una materia epico-lirica, come vediamo nei saggi di Bacchilide; e, in questa forma, come nella tragedia, finí col trascurare Diòniso, e celebrare altri miti ed altri Numi, e col perdere un po’ il carattere lirico. E, infine, rimase prevalentemente lirico, ma ingentilendosi ed affinandosi con tutti i modi dell’arte. A quest’ultimo tipo, almeno a giudicare da quanto ci resta, appartennero i ditirambi di Pindaro.
Quando si pensa a questi ditirambi, subito tornano alla mente i celeberrimi versi d’Orazio:
seu per audaces nova dithyrambos |
Sembra che Orazio dia come un posto distinto ai ditirambi. E, infatti, questo tipo di lirismo sembra fosse il piú adatto ad accogliere gl’impeti d’una ispirazione demoniaca. E tanto il brano che conoscevamo, quanto quello nuovamente restituitoci dai papiri, confermano l’implicito giudizio del poeta latino: in essi, veramente, circola un sangue piú vivido e ricco.
Viceversa, non risulta, almeno in questi due brani, una maggiore arditezza nella creazione delle parole; e quello nuovamente scoperto non appare affatto sciolto da ogni legge, anzi presenta la disposizione strofica. Per altro, rimangono fatti indiscutibili che Orazio conosceva un materiale assai maggiore del nostro, e che era competente in questioni ritmiche, per lo meno quanto i moderni. Può essere che Pindaro componesse alcuni ditirambi in ritmi liberi, ed altri in sistemi. E libero possiamo ritenere, sino a prova contraria, il bellissimo frammento che già possedevamo.
II
Papiri d’Ossirinco, XIII, 35.
È il principio del ditirambo «Ercole o Cerbero», scritto per i Tebani. Ne conoscevamo già i primi versi, strani ed interessantissimi. Pindaro parla in essi del ditirambo arcaico, e lo biasima, perché recitato dai Dorii con pronuncia non buona, e perché prolisso e strascicato. Cosí mi sembra si debba intendere l’espressione σχοινοτένετά τ' ὰοιδά, e da spiegare con la metafora analoga impiegata da Diòniso a biasimare le lungaggini d’Euripide (Rane, 1297):
Codesti canti lunghi come gomene, |
Il séguito, restituitoci dal papiro, è una sfolgorante pittura d'una festa dionisiaca. Fu paragonata, e a ragione, all’incomparabile preludio della prima Pitica. Certo è uno dei piú vivaci e pittoreschi brani di Pindaro e della poesia greca.
Da Strabone, che riferisce i primi due versi, sappiamo che apparteneva allo stesso ditirambo l’altro frammento in cui il poeta si rivolge direttamente a Cibele (Bergk 3, 57 B.).
ERCOLE L’ARDITO O CERBERO
PEI TEBANI
qui sono, o Gran Madre, |
IV
Questa meravigliosa pittura, che gareggia in bellezza con qualsiasi altra di Pindaro, e tutte, forse, le supera in freschezza, è riportata da Dionigi d’Alicarnasso (De comp. verb., C. 22), come principio d’un ditirambo di Pindaro, e come esempio d’«armonia austera». Come si vede dal contenuto, non fu eseguito nel santuario, bensì su l’agora, dinanzi all’ara dei dodici Numi: piú solenne, insieme, e piú popolare.
Nel testo manca qualsiasi traccia di divisioni strofiche; ma il frammento poteva appartenere ad un’unica strofa, o, meglio, come appare dal carattere conclusivo delle ultime parole, costituire esso un’unica strofe.
Il tòno gioioso farebbe pensare a liete circostanze: appartenne forse al periodo d’ebbro entusiasmo che seguí alla seconda guerra medica.
PER LE FESTE DIONISIACHE IN ATENE
schiude i nettarei calici. |
DITIRAMBI PER LE VITTORIE DEGLI ATENIESI CONTRO I PERSIANI
V
Il frammento che segue, riportato dallo scoliaste agli «Acornesi» d’Aristofane, era il principio d’un ditirambo divenuto famosissimo e popolarissimo fra gli Ateniesi. Con le sue parole, il coro dei «Cavalieri» d’Aristofane saluta il Popolo, tornato dalla senile stupidità a nuova intelligenza giovanile. E il coro degli «Acornesi» assicura che agli ambasciatori di città straniere bastava ricordare l’elogio pindarico per ottenere dai lusingati Ateniesi tutto quanto volessero.
PER GLI ATENIESI
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VI
È citato da Plutarco (De glor. Athen., VII), il quale dice che si riferiva alla battaglia dell’Artemisio. Secondo ogni probabilità, appartenne al medesimo ditirambo a cui appartiene il frammento precedente.
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VII
Nel medesimo opuscolo, Plutarco cita anche questo brillantissimo frammento, che per solito si ascrive al medesimo ditirambo a cui appartennero gli altri due. Ma sembrerebbe che invece dovesse stare a sé; perché tanto questo come il V sembrano rispettivamente due principî di composizione. Osservo che nel testo Alalà è femminile. Ma in italiano mi sembra difficile concepire altrimenti che mascolino un grido di trionfo guerresco.
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9
..... un giorno, |
10
Fu tempo che scrofa chiamavano |
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Anche a confronto d’Ercole, |
12
Presso l’Egitto opulento dall’alte scogliere.