Le Mille ed una Notti/Viglietto del principe Camaralzaman alla principessa della China
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Traduzione dall'arabo di Antoine Galland, Eugène Destains, Antonio Francesco Falconetti (1852)
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VIGLIETTO DEL PRINCIPE CAMARALZAMAN ALLA PRINCIPESSA DELLA CHINA.
«Adorabile principessa, l’amoroso principe Camaralzaman non vi parla de’ mali inesprimibili che soffre dalla fatal notte che le vostre attrattive perdere gli fecero una libertà cui avea risoluto di conservare, per tutta la vita. Vi dichiara soltanto che allora ei vi diede il suo cuore mentre eravate immersa nel vostro leggiadro sonno: sonno importuno, che lo privò del vivo splendore delle vostre bellissime luci, malgrado i suoi sforzi per indurvi ad aprirle. Osò egli perfino di darvi il proprio anello in contrassegno dell’amor suo, e prendersi in cambio il vostro, che ora vi manda in questo viglietto. Se vi degnate rimandarglielo come pegno reciproco del vostro affetto, egli si stimerà il più felice di tutti gli amanti; altrimenti, il vostro rifiuto non gl’impedirà di ricevere il colpo di morte con una rassegnazione tanto maggiore, in quanto lo riceverà per amor vostro. Egli aspetta la risposta nella vostra anticamera.»
«Quando Camaralzaman ebbe finito questo viglietto, vi mise entro l’anello della principessa, racchiudendovelo senza far vedere all’eunuco cosa fosse, e nel consegnarglielo, gli disse: — Amico, prendi, e porta questo scritto alla tua padrona. Se essa non guarisce al momento istesso che avrà letto il foglio, e veduto ciò che l’accompagna, ti permetto di pubblicare ch’io sono il più indegno ed impudente di tutti gli astrologhi che furono, sono, e mai saranno....»
L’alba che sorgeva, costrinse la sultana Scheherazade, terminando queste parole, a fermarsi. Ripigliò il racconto la notte seguente, e disse al sultano delle Indie:
NOTTE CCXXII
— Sire, l’eunuco entrò nella stanza della principessa della China, e presentandole l’involto mandato dallo straniero: — Principessa,» le disse, «un astrologo più temerario degli altri, se non m’inganno, è giunto testè, e pretende di guarirvi appena avrete letto questo viglietto, e veduto ciò che vi sta dentro. Desidererei ch’egli non fosse nè bugiardo, nè impostore. —
«La principessa Badura prese il viglietto, e lo aprì con indifferenza; ma quand’ebbe veduto il suo anello, non si diè quasi il tempo di finir di leggerlo. Si alzò precipitosa, ruppe, per lo sforzo che fece, la catena cui stava attaccata, corse alla portiera e l’aperse. Riconobbe essa il principe, e questi pur la riconobbe, e tosto corsero entrambi ad abbracciasi teneramente; e senza poter parlare, nell’eccesso della loro gioia, guardaronsi a lungo, ammirando in qual guisa si rivedessero dopo il primo loro incontro, al quale nulla potevano comprendere. La nutrice, ch’era accorsa colla principessa, li fece entrare nella camera, ove la giovane, restituendo al principe l’anello: — Riprendetelo,» gli disse, «io non potrei tenerlo senza rendervi il vostro, cui voglio conservare per tutta la vita: essi non possono, nè l’uno, nè l’altro, trovarsi in mani migliori. —
«Intanto l’eunuco era corso in fretta ad avvertire il re dell’accaduto. — Sire,» gli disse, «tutti gli astrologhi, medici ed altri che hanno osato d’intraprendere fin ad ora di guarire la principessa, erano tanti ignoranti. Quest’ultimo ch’è venuto non si servì nè di libri, nè di scongiuri agli spiriti maligni, nè di profumi, nè di altre simili cose, e l’ha guarita senza vederla.» Gliene raccontò il modo, ed il re, gradevolmente sorpreso, recossi tosto all’appartamento della principessa, cui abbracciò; ed abbracciato anche il principe, gli prese la mano, e postala in quella della fanciulla: — Fortunato straniero,» gli disse, «chiunque siate, tengo la mia promessa, e vi dò mia figliuola in isposa. Pure, al vedervi, m’è impossibile persuedermi che siate quello che sembrate, e che voleste farmi credere. —
«Il principe Camaralzaman ringraziò il re nei più umili termini onde meglio attestergli la propria gratitudine. — Quanto alla mia persona,» proseguì poi, «è vero, o sire, ch’io non sono astrologo, come ben ha giudicato vostra maestà; non ne presi l’abito se non per meglio riuscire a meritar l’alta parentela del monarca più potente dell’universo. Son nato principe, figlio di re e di regina: Camaralzaman è il mio nome, e mio padre chiamasi Schahzaman: egli regna nelle isole abbastanza conosciute dei Figli di Khaledan.» Gli raccontò poscia la sua storia, e fecegli conoscere la maravigliosa origine dell’amor suo, come lo era del pari quella dell’amore della principessa, e che ciò giustificava il cambio dei due anelli.
«Quando Camaralzaman ebbe finito: — Una storia sì straordinaria,» sclamò il re, «merita di non restare ignota alla posterità. Io la farò scrivere in caratteri d’oro, e deposto che ne abbia l’originale negli archivi del regno, la renderò pubblica, affinchè dagli stati miei passi ancora negli altri. —
«Le cerimonie nuziali si celebrarono nello stesso giorno, e se ne fecero solenni allegrezze in tutta l’estensione della China. Marzavan non fu dimenticato: il re gli diè libero adito alla sua corte, onorandolo d’una carica, con promessa d’innalzarlo in seguito ad altre maggiori.
«Il principe Camaralzaman e la principessa Badura, al colmo entrambi de’ loro voti, godettero delle dolcezze dell’imeneo; e per parecchi mesi il re della China non cessò di manifestare il suo contento con continue feste.
«In mezzo a tanti piaceri, ebbe una notte Camaralzaman un sogno, nel quale parvegli di vedere il re Schahzaman, suo padre, in letto, prossimo ad esalare l’anima, il quale diceva: — Questo figliuolo che misi al mondo, che sì teneramente amai, questo figlio mi ha abbandonato, ed egli stesso è la cagione della mia morte.» Si svegliò allora mandando un gran sospiro, che destò la sposa, la quale gli chiese perchè sospirasse.
«— Aimè!» sclamò il principe; «forse nel momento che parlo, il re mio padre non è più in vita.» E le raccontò il motivo che aveva di essere turbato da sì tristo pensiero. Senza parlargli del disegno da lei concepito per tale racconto, la principessa, la quale cercava ogni occasione di compiacerlo, e che conobbe poter il desiderio di rivedere il re suo padre diminuire d’assai il piacere d’abitar con lei in un paese sì lontano, approfittò quello stesso giorno dell’opportunità che le si presentava di parlare in disparte al re della China. — Sire,» gli disse ella, baciandogli la mano, «ho una grazia da domandare a vostra maestà, e la supplica di non negarmela. Ma affinchè non creda ch’io la domandi a sollecitazione del principe mio marito, le assicuro in prima non avervi egli parte veruna; tale grazia è ch’ella voglia permettere ch’io vada a trovare con lui il re Schahzaman, mio suocero.
«— Figliuola,» rispose il re, «per quanto grande sarà il dispiacere che costar mi debbo la vostra lontananza, non posso disapprovare cotesta risoluzione: essa è degna di voi, malgrado la fatica d’un viaggio sì lungo. Andate, ve lo concedo; ma a condizione che non rimarrete più d’un anno alla corte del re Schahzaman. Questo re vorrà bene, come spero, che trattiamo così, e che rivediamo a vicenda, egli, suo figlio e la nuora; io, la figlia e mio genero. —
«La principessa annunciò il consenso del padre a Camaralzaman; il quale ne provò sommo giubilo, e la ringraziò del nuovo segno d’amore che ella gli dava.
«Il re della China volle assistere in persona ai preparativi del viaggio e quando tutto fu disposto; partì con essi, e li accompagnò per alcune giornate. La separazione infine si fece con molte lagrime da una parte e dall’altra; abbracciolli il re teneramente, e dopo aver pregato il principe d’amare sempre la sua figliuola come faceva, li lasciò continuare il loro viaggio, e tornò, cacciando, alla sua capitale.
«Il principe Camaralzaman e la principessa Badura ebbero appena asciugate le lagrime, che più non pensarono se non all’allegrezza del re Schahzaman al vederli ed abbracciarli, ed a quella che ne avrebbero essi medesimi provato.
«Dopo un mese circa che trovavansi in cammino, giunsero ad prateria di vasta estensione, ove di spazio in ispazio sorgevano alberi altissimi, che spandevano intorno gratissima ombra. Essendo il caldo estremo in quel giorno, Camaralzaman stimò a proposito d’accamparvi, e ne parlò alla principessa Badura, la quale tanto più facilmente vi acconsentì, in quanto che simile n’era il desiderio. Smontarono pertanto in un bel sito, ed appena eretta la tenda, la principessa Badura, che stava seduta all’ombra, vi entrò, mentre il giovane principe dava i suoi ordini pel resto dell’accampamento; per restare in maggior libertà, si fece ella sciogliere la cintura, che le sue donne le misero accanto: quindi, siccome era stanca, si addormentò, e le sue donne la lasciarono sola.
«Quando tutto fu regolato nel campo; il principe Camaralzaman venne anch’egli alla tenda, ed avvistosi che la sua sposa dormiva, entrò, e si mise a sedere senza far rumore. Mentre aspettava d’addormentarsi ei pure, prese la cintura delle principessa, ne guardò ad uno ad uno i diamanti ed i rubini, onde andava adorna, e scorse una picciola borsa ben cucita sulla stella e chiusa con un cordoncino. La toccò, e sentì che conteneva qualche cosa resistente. Curioso di sapere cosa fosse, aprì la borsa, e ne trasse una corniola su cui vide incise figure e caratteri a lui ignoti. — Bisogna,» disse tra sè, «che questa corniola sia alcun che di prezioso: la mia consorte non la porterebbe addosso con tanta cura, per timore di perderla, se così non fosse. —
«Era infatti un talismano, che la regina della China donato aveva alla figliuola per renderla felice, secondo diceva, finchè lo portasse indosso.
«Per meglio vedere il talismano, il principe Camaralzaman uscì dalla tenda, ch’era oscura, e volle rimirarlo all’aria aperta. Or, mentre lo teneva sulla palma della mano, piombò dal cielo un uccello d’improvviso, e glielo rapì....»
Il giorno intanto già faceasi vedere; e la sultana Scheherazade, avvedutasene, cessò dal parlare. Riprese però il suo racconto la notte seguente, e disse a Schahriar:
NOTTE CCXXIII
— Sire, vostra maestà può da sè giudicare della sorpresa e del dolore di Camaralzaman, quando l’uccello gli ebbe rapito il talismano dalle mani, meglio ch’io saprei esprimere. A quel funesto caso, il più affliggente che si possa immaginare, accaduto per una curiosità fuor di luogo, e che privava la principessa d’una cosa preziosa, il giovine rimase alcuni momenti immobile.