Le Mille ed una Notti/Separazione del principe Camaralzaman dalla principessa Badura
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Traduzione dall'arabo di Antoine Galland, Eugène Destains, Antonio Francesco Falconetti (1852)
◄ | Viglietto del principe Camaralzaman alla principessa della China | Storia della principessa Badura, dopo la sua separazione dal principe Camaralzaman | ► |
SEPARAZIONE DEL PRINCIPE CAMARALZAMAN DALLA PRINCIPESSA BADURA.
«L’uccello, dopo aver fatto il suo colpo, era calato a terra a poca distanza, col talismano nel becco. Si inoltrò il principe Camaralzaman nella speranza che lo lascerebbe cadere; ma appena vide che s’avvicinava, l’uccello prese il volo, e si posò un’altra volta in terra. Continuò egli ad inseguirlo, ma l’uccello, inghiottito allora il talismano, volò più lungi. Il principe, ch’era assai destro, sperò di ucciderlo con una sassata, e lo inseguì di nuovo. E più quello si allontanava da lui, più egli ostinavasi a seguirlo ed a non perderlo di vista.
«Da valle in collina e da collina in valle, l’uccello si tirò dietro tutto il giorno il principe Camaralzaman, sempre allontanandolo dalla prateria e dalla principessa Badura; e la sera, invece di gettarsi in un cespuglio, in cui il giovane avrebbe potuto sorprenderlo nell’oscurità, andò a porsi in cima ad un grand’albero ove stava al sicuro d’ogni persecuzione.
«Il principe, disperato d’essersi data inutilmente tanta pena, stava deliberando se dovesse far ritorno al campo. — Ma,» diceva fra sè, «da qual parte tornerò a discendere per le colline e le valli, per le quali sono venuto? Non mi smarrirò nelle tenebre? E le mie forze me lo permetterano? E quand’anche lo potessi, oserei presentarmi davanti alla mia sposa, senza il suo talismano?» Inabissato in questi desolanti pensieri, ed oppresso di fatica, di fame, di sete e di sonno, si coricò e passò la notte appiè dell’albero.
«Alla domane, Camaralzaman si destò prima che l’uccello avesse abbandonato l’albero; e non l’ebbe appena veduto ripigliar il volo; ch’egli l’osservò e lo seguì di nuovo per tutto il giorno, con altrettanto poco esito del precedente, alimentandosi d’erbe e di frutta, che trovava per istrada. Fece la cosa medesima fino al decimo giorno, tenendo d’occhio l’uccello dalla mattina alla sera, e passando la notte appiè della pianta; alla cui cima quello sempre appollaiavasi.
«L’undecimo giorno, l’uccello, sempre volando, e Camaralzaman, che non cessava dal seguirlo, giunsero ad una grande città, e quando l’uccello fu presso alle mura, s’innalzò al di sopra, e slanciando ben oltre il volo, si tolse intieramente alla vista del giovine, il quale perdette così la speranza di rivederlo, e ricuperare più mai il talismano della principessa Badura.
«Camaralzaman, afflitto da amarissimi pensieri, entrò nella città, fabbricata sulla spiaggia del mare con un bellissimo porto. Camminò a lungo per le vie senza badare dove andasse, nè in qual luogo potesse fermarsi, e così giunse al porto. Ivi, ancor più incerto su quello che dovesse fare, continuò lungo la spiaggia finchè vide la porta aperta d’un giardino, dove si presentò. Il giardiniere, ch’era un buon vecchio, occupato a lavorare, alzò la testa in quel momento; e l’ebbe appena veduto, e conosciuto ch’era straniero e musulmano, lo invitò ad entrare immediatamente, e chiudere la porta.
«Entrò dunque Camaralzaman, chiuse la porta, e voltosi al giardiniere, gli domandò perchè gli avesse fatta prendere quella precauzione. — Si è,» rispose il giardiniere, «ch’io ben veggo esser voi uno straniero arrivato da poco, e musulmano, e che questa città è abitata, per la massima parte, da idolatri che nutrono mortal avversione contro i musulmani, e che trattano assai male i pochi che qui trovansi della religione del nostro gran profeta. Bisogna che voi lo ignoriate, ed lo risguardo come un miracolo che siate venuto fin qui senza sinistro alcuno. In fatti, sono questi idolatri attentissimi, sopra ogni cosa, ad osservare i musulmani stranieri al loro arrivo, e farli cadere in qualche agguato, se non siano ben istruiti della loro malvagità. Lode a Dio, che v’ha condotto in luogo di sicurezza! —
«Ringraziò Camaralzan quel dabben uomo con molta riconoscenza dell’asilo che con tanta generosità concedevagli per metterlo al sicuro d’ogni insulto. Voleva dirne di più, ma il giardiniere lo interruppe. — Lasciamo,» gli disse, «i complimenti: voi siete stanco, e dovete aver bisogno di mangiare: venite a riposarvi.» Lo condusse quindi nella sua casuccia, e dopo che il principe ebbe mangiato a sufficenza delle cose offertegli dal giardiniere con una cordialità, onde il giovine rimase estatico, lo pregò di volergli partecipare la cagione del suo arrivo.
«Camaralzaman soddisfece il giardiniere, e quand’ebbe finita la sua storia, senza nulla nascondergli, gli domandò a sua volta per qual via ritornar potesse negli stati di suo padre. — Poichè,» soggiunse, «quanto al pensare a raggiungere la principessa, dove potrei mai trovarla dopo undici giorni che mi sono da lei diviso per un’avventura sì straordinaria? E poi, so io forse se sia ancora al mondo?» A questa trista memoria, non potè continuare senza versar lagrime.
«Rispose il giardiniere, che de quella città eravi un anno intiero di viaggio fino ai paesi dove trovavansi musulmani, comandati da principi della loro religione; ma che, per mare, arriverebbesi in molto minor tempo all’isola d’Ebano, e di là era più facile passare alle isole dei Figli di Khaledan; che, ogni anno, una nave mercantile andava all’isola d’Ebano; e che potrebbe giovarsi di quel comodo per tornare di là alla patria. — Se foste giunto alcuni giorni prima,» aggiunse, «vi sareste imbarcato su quella che ha fatto vela per quest’anno. Attendendo che parta la nave dell’anno venturo, se gradiste di stare con me, vi offro la mia casa, qual è, d’assai buon cuore. —
«Il principe Camaralzaman si stimò fortunatissimo di trovare quel ricovero in un luogo; ove non aveva veruna conoscenza, non che interesse alcuno di farne. Accetto dunque l’offerta, e rimase col giardiniere; attendendo la partenza del vascello mercantile per l’isola d’Ebano, occupavasi di giorno a lavorare il giardino; e la notte, che nulla distoglievalo dal pensare alla sua cara consorte, la passava nel cordoglio, in sospiri ed in lagrime. Noi lo lasceremo in quel luogo per tornare alla principessa Badura, che lasciammo addormentata nella sua tenda.