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gerlo. Si alzò precipitosa, ruppe, per lo sforzo che fece, la catena cui stava attaccata, corse alla portiera e l’aperse. Riconobbe essa il principe, e questi pur la riconobbe, e tosto corsero entrambi ad abbracciasi teneramente; e senza poter parlare, nell’eccesso della loro gioia, guardaronsi a lungo, ammirando in qual guisa si rivedessero dopo il primo loro incontro, al quale nulla potevano comprendere. La nutrice, ch’era accorsa colla principessa, li fece entrare nella camera, ove la giovane, restituendo al principe l’anello: — Riprendetelo,» gli disse, «io non potrei tenerlo senza rendervi il vostro, cui voglio conservare per tutta la vita: essi non possono, nè l’uno, nè l’altro, trovarsi in mani migliori. —
«Intanto l’eunuco era corso in fretta ad avvertire il re dell’accaduto. — Sire,» gli disse, «tutti gli astrologhi, medici ed altri che hanno osato d’intraprendere fin ad ora di guarire la principessa, erano tanti ignoranti. Quest’ultimo ch’è venuto non si servì nè di libri, nè di scongiuri agli spiriti maligni, nè di profumi, nè di altre simili cose, e l’ha guarita senza vederla.» Gliene raccontò il modo, ed il re, gradevolmente sorpreso, recossi tosto all’appartamento della principessa, cui abbracciò; ed abbracciato anche il principe, gli prese la mano, e postala in quella della fanciulla: — Fortunato straniero,» gli disse, «chiunque siate, tengo la mia promessa, e vi dò mia figliuola in isposa. Pure, al vedervi, m’è impossibile persuedermi che siate quello che sembrate, e che voleste farmi credere. —
«Il principe Camaralzaman ringraziò il re nei più umili termini onde meglio attestergli la propria gratitudine. — Quanto alla mia persona,» proseguì poi, «è vero, o sire, ch’io non sono astrologo, come ben ha giudicato vostra maestà; non ne presi