Le Mille ed una Notti/Storia del primo fratello del barbiere

Storia del primo fratello del barbiere

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Storia del primo fratello del barbiere
Storia del Barbiere Storia del secondo fratello del barbiere
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STORIA

DEL PRIMO FRATELLO DEL BARBIERE.


«Sire,» dissi, «mio fratello primogenito, che chiamavasi Bacbuc il Gobbo, era sarto di professione. All’uscire del suo garzonato, prese in affitto una bottega rimpetto ad un mulino, e non avendo ancora avventori, stentava assai a vivere del proprio lavoro. Il mugnaio, invece, era uomo agiato ed aveva una bellissima moglie. Un giorno, mio fratello, lavorando in bottega, alzò la testa, e vide ad una finestra del mulino la mugnaia che guardava in istrada; e la trovò tanto bella, che ne rimase abbagliato. La donna non badò menomamente a lui, chiuse la finestra, e più non comparve per tutto il giorno. Intanto il povero sarto non fe’ altro che alzar gli occhi verso il mulino lavorando. Si punse più d’una volta le dita, e da quel giorno il suo lavoro non fu troppo esatto. Verso sera, quando bisognò chiudere la bottega, stentò a risolvervisi, nella speranza che la mugnaia si facesse vedere ancora; ma costretto finalmente a chiuderla, si ritrasse nella sua casuccia, ove passò una cattiva notte. È vero che si alzò più presto del solito, e che, impaziente di rivedere la sua bella, volò verso la bottega: ma non fu più felice del giorno precedente; la mugnaia non comparve che un solo momento in tutta la giornata. Ma quel momento finì di renderlo il più innamorato degli uomini. Il terzo dì, ebbe motivo di essere più contento degli [p. 112 modifica]altri due. La donna volse a caso gli occhi su di lui, e lo sorprese mentre stava considerandola con tal attenzione, che le svelò lo stato del suo cuore....»

Il giorno che compariva obbligò Scheherazade ad interrompersi. Ma la notte seguente riprese il filo della sua narrazione, dicendo al sultano delle Indie:


NOTTE CLXVIII


— Sire, il barbiere, continuando la storia di suo fratello primogenito, e parlando sempre al califfo Mostanser Billah:

«Commendatore de’ credenti,» proseguì, «dovete sapere che la mugnaia, non appena ebbe penetrati i sentimenti di mio fratello, invece di averselo a male, risolse di divertirsene. Lo guardò dunque con aria ridente; mio fratello la guardava nella stessa guisa, ma in modo sì buffonesco, che la donna rinchiuse presto la finestra, per paura di dare in una risata che facesse comprendere a mio fratello quanto lo trovasse ridicolo. L’innocente Bacbuc interpretò a proprio favore quell’atto, e non lasciò di lusingarsi d’essere stato veduto con piacere.

«La mugnaia prese dunque la risoluzione di prendersi spasso di mio fratello. Avendo una pezza di bellissima stoffa, ond’era già molto tempo che voleva farsi un abito, l’avvolse in un bel fazzoletto ricamato di seta, e gliela mandò per mezzo d’una sua schiava. La schiava, ben istruita, venne alla bottega del sarto, e gli disse: — La mia padrona vi saluta, e vi prega di farle un abito colla stella che qui vedete, sul modello di quello che nel tempo stesso vi manda; essa cangia sovente d’abito, ed è una cliente della quale vi troverete assai contento.»

[p. 113 modifica]Mio fratello più non dubitò che la mugnaia non fosse innamorata di lui, e credè ch’essa gli mandasse da lavorare immediatamente dopo ciò ch’era corso fra loro, al solo fine di dimostrargli come gli avesse letto in fondo al cuore, ed assicurarlo dei progressi che aveva fatto nel proprio. Fisso in questa buona opinione, incaricò la schiava di riferire alla padrona, che avrebbe tralasciato tutto per lei, e che l’abito sarebbe all’ordine per la mattina seguente. In fatti, vi lavorò con tal diligenza, che lo finì nello stesso giorno.

«All’indomani, venuta la giovane schiava a vedere se l’abito era finito, Bacbuc glielo consegnò ben piegato, dicendole: — Troppo mi preme di contentare la vostra padrona, per aver trascurato il suo vestito: voglio indurla, colla mia diligenza, a più non servirsi ormai che di me solo.» La giovane schiava fece alcuni passi per andarsene, poi, tornando indietro: — A proposito,» disse sottovoce, «mi dimenticava d’adempire una commissione che mi fu data; la mia padrona m’incarica di farvi i suoi complimenti, e domandarvi come abbiate passata la notte; quanto a lei, la poveretta, vi ama tanto, che non ha potuto dormire. — Ditele,» rispose con trasporto lo scioccone, «che io risento per lei una passione sì violenta, da essere quattro notti che non chiudo occhio.» Dopo quel complimento da parte della mugnaia, egli credette di dover lusingarsi ch’essa non lo lascerebbe languire a lungo nell’aspettativa de’ suoi favori.

«Era appena un quarto d’ora che la schiava lasciato aveva mio fratello, quando la vide tornare con una pezza di raso. — La mia padrona,» gli disse, «è soddisfattissima del suo abito, che le va a pennello, ma essendo bellissimo, e desiderando essa portarlo con un paio di calzoncini nuovi, vi prega di farglieli al più presto con questa pezza di raso. — [p. 114 modifica]Basta così,» rispose Bacbuc; «oggi saranno fatti prima d’escire di bottega; potete venirli a prendere verso la fine del giorno.» La mugnaia si fece spesso vedere alla finestra, e prodigò i suoi vezzi a mio fratello per dargli coraggio. Era bello il vederlo lavorare; i calzoncini furono presto finiti, e la schiava venne a pigliarli; ma non portò al sarto nè il denaro sborsato pei fornimenti dell’abito e dei calzoncini, nè di che pagargli la fattura dell’uno e degli altri. Intanto, quel disgraziato amante preso a gabbo in tal modo, ed il quale non se ne accorgeva, non avendo mangiato nulla in tutto il giorno, fu costretto a prendere in prestito qualche moneta per comprarsi da cena. Il giorno seguente, appena giunto alla bottega, la giovane schiava venne a dirgli che il mugnaio desiderava parlargli. — La mia padrona,» soggiunse, «vi ha lodato tanto, mostrandogli il vostro abito, che vuole anch’egli farvi lavorare per lui. Essa fecelo espressamente, affinchè la relazione che vuol istabilire tra voi e suo marito, serva alla buona riuscita di quello che entrambi desiderate.» Mio fratello si lasciò persuadere, ed andò colla schiava al mulino, ove il mugnaio lo accolse assai bene, e presentatagli una pezza di tela: — Ho bisogno di camice,» gli disse; «ecco della tela: vorrei me ne faceste venti; se ne avanza, me la restituirete....»

Scheherazade, colpita d’improvviso dalla luce diurna che cominciava ad illuminare l’appartamento di Schahriar, tacque a quelle parole. La notte seguente, proseguì la storia di Bacbuc:

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NOTTE CLXIX


— «Ebbe mio fratello,» proseguì il barbiere, «molto lavoro per cinque o sei giorni onde fare venti camice al mugnaio, che gli mandò poi un’altra pezza di tela per farne altrettante mutande. Bacbuc le portò quindi bell’e finite al mugnaio, che domandò quanto gli dovesse per la sua fattura; mio fratello rispose si contenterebbe di venti dramme d‘argento. Il mugnaio chiamò tosto la schiava, e le disse di portargli le bilancette per vedere se le monete che stava per dargli fossero di giusto peso; ma la schiava, già istruita, guardò mio fratello con collera, onde fargli così comprendere che, ricevendo denaro, avrebbe tutto guastato. Se lo tenne egli per detto, e ricusò di prenderlo, benchè ne avesse bisogno, avendone tolto ad imprestito per comprar il filo, onde cucire le camice e le mutande; uscito di casa dal mugnaio, venne poi da me a pregarmi gli prestassi qualche cosa per vivere, dicendo che non lo pagavano. Gli diedi alcune monete che aveva nella borsa, e così sussistette per vari giorni; vero è che viveva di sola farinata, non mangiandone neppure a sufficenza.

«Un giorno entrò in casa del mugnaio, occupato in quel momento al suo mulino, ed il quale, credendo gli venisse a chiedere denaro, gliene offerse; ma la giovane schiava, allora presente, gli fe’ di nuovo un cenno, che gl’impedi di accettarne, facendolo invece rispondere al mugnaio, che non veniva per questo, ma sol per informarsi della sua salute. Lo ringraziò il mugnaio, e gli diè da fare un abito. Bacbuc glielo riportò il giorno dopo, ed il [p. 116 modifica]mugnaio, cavata la borsa, voleva pagarlo; ma la giovane schiava volse uno sguardo significativo a mio fratello, il quale: — Vicino,» gli disse, «non c’è premura; faremo i conti un’altra volta.» Così, quel povero allocco tornò alla sua bottega con tre gravi malattie, cioè l’amore, la fame e la povertà.

«La mugnaia era avara e cattiva; non si accontento d’aver frustrato mio fratello di quanto gli era dovuto, ma indusse inoltre il marito a prender vendetta dell’amore che lo sciocco nutriva per lei; ed ecco come fecero. Il mugnaio invitò una sera Bacbuc a cena, e dopo averlo fatto stare assai male, gli disse: — Fratello, è troppo tardi perchè torniate a casa: fermatevi qui.» E così parlando, lo condusse in un luogo, ov’era un letto, e quivi lasciatelo, si ritirò colla moglie nella propria stanza. Nel bel mezzo della notte, venne il mugnaio a trovare mio fratello, dicendogli: — Vicino, dormite? La mia mula è malata, ed ho molto grano da macinare; mi fareste cosa grata se voleste far girare in vece sua il mulino.» Bacbuc, affin di mostrargli d’essere uomo di buona volontà, rispose che volentieri gli renderebbe quel servizio, e che bastava facessegli soltanto vedere come si doveva fare. Allora il mugnaio l’attaccò a mezza vita, al modo stesso d’una mula, per far girare la macina; e dandogli poi una frustata sulle reni: — Avanti, vicino,» gli disse. — E perchè mi battete?» chiese mio fratello. — Per incoraggiarvi,» rispose quello, «perchè altrimenti la mia mula non andrebbe.» Bacbuc stupì di quel trattamento; pure non osò lagnarsene. Quand’ebbe fatto cinque o sei giri, volle riposare; ma il mugnaio gli applicò una buona dozzina di frustate, dicendo: — Coraggio, vicino; non fermatevi, ve ne prego; bisogna camminare senza pigliar fiato, altrimenti mi guastereste la farina.» [p. 117 modifica]Scherazade cessò qui di parlare, vedendo apparire il giorno; ma all’indomani ripigliò in questa guisa il racconto:


NOTTE CLXX


— «Il mugnaio costrinse mio fratello a girare così la macina per tutto il resto della notte,» continuò il barbiere. «Sul far del giorno, lo lasciò senza staccarlo, e tornò dalla moglie. Rimasto Bacbuc qualche tempo in quello stato, giunse infine la schiava a distaccarlo. — Ah! quanto vi abbiamo compianto, la mia buona padrona ed io!» sclamò la perfida. «Noi non abbiamo preso parte alcuna al mal giuoco che vi ha fatto suo marito.» L’infelice Bacbuc non le rispose, tanto era stanco ed affranto dai colpi; ma tornò a casa nella ferma risoluzione di non più pensare alla mulinaia.

«Il racconto di questa storia,» prosegui il barbiere, «fece ridere il califfo. — Andate,» diss’egli, «tornate a casa vostra; vi farò dare da parte mia qualche cosa per consolarvi d’aver perduto il lauto banchetto cui vi attendevate. — Commendatore de’ credenti,» ripigliai io, «supplico vostra maestà ad accontentarsi ch’io non riceva nulla se non dopo avervi raccontata la storia degli altri miei fratelli.» Avendomi il califfo fatto comprendere col suo silenzio, ch’era disposto ad ascoltarmi, continuai di questo tenore: