Le Mille ed una Notti/Storia del Barbiere

Storia del Barbiere

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Storia narrata dal Sartore Storia del primo fratello del barbiere
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STORIA DEL BARBIERE


«Sotto il regno del califfo Mostanser Billah1, principe famoso per le sue immense liberalità verso i poveri, dieci ladroni infestavano le strade dei dintorni di Bagdad, e da molto tempo vi commettevano rapine e crudeltà inaudite. Avvertito il califfo di tanto disordine, fece chiamare il giudice di polizia alcuni giorni prima della festa del bairam, e gli ordinò, sotto pena della vita, di condurglieli tutti e dieci...»

Cessò qui Scheherazade di parlare, avvisando il sultano delle Indie che il giorno cominciava ad apparire; il principe si alzò, e la notte seguente la sultana riprese la sua storia in questo modo:


NOTTE CLXVII


— «Il giudice di polizia,» continuò il barbiere, «fece sì accurate ricerche e mise tanta gente in [p. 109 modifica]campagna, che i dieci ladroni furono presi lo stesso giorno del bairam. Io allora stava passeggiando sulla sponda del Tigri, e vidi dieci uomini riccamente vestiti, che s’imbarcavano in un battello. Se avessi osservate le guardie che li accompagnavano, avrei indovinato ch’erano ladri, ma guardai solo ad essi; e pensando che fossero persone, le quali andassero a divertirsi e passar la festa in sollazzo, entrai nel battello anch’io senza dir parola, nella speranza che volessero tollerarmi in loro compagnia. Scendemmo il Tigri, e ci fecero approdare davanti al palazzo del califfo. Ebbi intanto tempo di rientrare in me stesso, ed avvedermi che aveva mal giudicato di essi; ma, uscendo dal battello, fummo circondati da un’altra squadra di guardie di polizia, che legatici, ci condussero davanti al califfo; io mi lasciai legare come gli altri senza dir nulla; in fatti, a che cosa mi sarebbe servito il parlare o far resistenza? Sarebbe stato il mezzo di espormi ai maltrattamenti delle guardie, le quali, essendo gente brutale e che non intendevano ragione, non mi avrebbero ascoltato. Era in compagnia di ladri: ciò bastava per far credere che dovessi esserne uno anch’io.

«Giunti davanti al califfo, ordinò egli il castigo dei dieci scellerati.

«— Si tagli la testa,» disse; «a quei dieci ladroni.» Tosto il carnefice ci dispose in fila a portata della mano, e per buona ventura mi trovai per l’ultimo; spiccò la testa ai dieci ladroni, cominciando dal primo, e quando giunse a me, si fermò. Vedendo il califfo che il boia non mi uccideva, andò sulle furie. — Non ti ho comandato,» gli disse, «di tagliare la testa a dieci ladroni? Or perchè non la tagli se non a nove? — Commendatore dei credenti,» rispose il carnefice, «Dio mi guardi dal non aver eseguito gli ordini di vostra maestà; ecco là in terra dieci cadaveri ed [p. 110 modifica]altrettante teste da me tagliate; può contarle. «Quando il califfo si accorse che il boia diceva la verità, mi guardò con maraviglia, e non trovandomi la fisonomia da assassino di strada: — Buon vecchio,» disse, «per qual caso vi trovate voi con questi miserabili che hanno meritato mille morti? — Commendatore dei credenti,» gli risposi, «ve ne farò una confessione sincera. Avendo veduto stamattina entrare in un battello quelle dieci persone, il castigo delle quali ha fatto risplendere la giustizia di vostra maestà, m’imbarcai con loro, persuaso fossero persone che andassero a solennizzare con qualche banchetto questo giorno, che è il più solenne della nostra religione. —

«Il califfo non potè trattenersi dal ridere della mia avventura; ed al contrario del giovane zoppo, il quale mi trattò da ciarliero, ammirò la mia discrezione e costanza nel conservare il silenzio. — Commendatore de’ credenti,» gli dissi, «vostra maestà non si stupisca se io tacqui in un’occasione che avrebbe eccitato il prurito di parlare in qualunque altro. Faccio speciale professione di tacermi; ed appunto per tale virtù mi acquistai il glorioso titolo di taciturno, essendo così chiamato per distinguermi da sei fratelli che ho avuti. È questo il frutto ricavato dalla mia filosofia; insomma, questa virtù forma tutta la gloria e la mia felicità. — Ben mi rallegro,» soggiunse il califfo sorridendo, «che vi abbiano dato un titolo, del quale fate sì buon uso. Ma ditemi, che sorta di gente erano i vostri fratelli? vi rassomigliavano essi? — In nessun modo,» risposi; «erano tutti ciarloni gli uni più degli altri; e quanto alla figura, eravi ancora molta differenza fra essi e me: il primo era gobbo; il secondo sdentato; guercio il terzo; il quarto cieco; il quinto aveva tronche le orecchie, e le labbra tagliate il sesto. Sono lor accadute certe avventure, che vi farebbero giudicare del loro carattere, se avessi l’onore di [p. 111 modifica]raccontarle a vostra maestà.» Siccome mi parve che il califfo non domandasse meglio di udirmi, proseguii senza aspettare il suo ordine:


Note

  1. Il califfo Mostanser Billah fu innalzato a quella dignità l’anno 623 dell’egira, cioè l’anno 1226 di G. C. Fu il trentesimosettimo califfo della schiatta degli Abassidi.