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Scherazade cessò qui di parlare, vedendo apparire il giorno; ma all’indomani ripigliò in questa guisa il racconto:
NOTTE CLXX
— «Il mugnaio costrinse mio fratello a girare così la macina per tutto il resto della notte,» continuò il barbiere. «Sul far del giorno, lo lasciò senza staccarlo, e tornò dalla moglie. Rimasto Bacbuc qualche tempo in quello stato, giunse infine la schiava a distaccarlo. — Ah! quanto vi abbiamo compianto, la mia buona padrona ed io!» sclamò la perfida. «Noi non abbiamo preso parte alcuna al mal giuoco che vi ha fatto suo marito.» L’infelice Bacbuc non le rispose, tanto era stanco ed affranto dai colpi; ma tornò a casa nella ferma risoluzione di non più pensare alla mulinaia.
«Il racconto di questa storia,» prosegui il barbiere, «fece ridere il califfo. — Andate,» diss’egli, «tornate a casa vostra; vi farò dare da parte mia qualche cosa per consolarvi d’aver perduto il lauto banchetto cui vi attendevate. — Commendatore de’ credenti,» ripigliai io, «supplico vostra maestà ad accontentarsi ch’io non riceva nulla se non dopo avervi raccontata la storia degli altri miei fratelli.» Avendomi il califfo fatto comprendere col suo silenzio, ch’era disposto ad ascoltarmi, continuai di questo tenore: