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mugnaio, cavata la borsa, voleva pagarlo; ma la giovane schiava volse uno sguardo significativo a mio fratello, il quale: — Vicino,» gli disse, «non c’è premura; faremo i conti un’altra volta.» Così, quel povero allocco tornò alla sua bottega con tre gravi malattie, cioè l’amore, la fame e la povertà.

«La mugnaia era avara e cattiva; non si accontento d’aver frustrato mio fratello di quanto gli era dovuto, ma indusse inoltre il marito a prender vendetta dell’amore che lo sciocco nutriva per lei; ed ecco come fecero. Il mugnaio invitò una sera Bacbuc a cena, e dopo averlo fatto stare assai male, gli disse: — Fratello, è troppo tardi perchè torniate a casa: fermatevi qui.» E così parlando, lo condusse in un luogo, ov’era un letto, e quivi lasciatelo, si ritirò colla moglie nella propria stanza. Nel bel mezzo della notte, venne il mugnaio a trovare mio fratello, dicendogli: — Vicino, dormite? La mia mula è malata, ed ho molto grano da macinare; mi fareste cosa grata se voleste far girare in vece sua il mulino.» Bacbuc, affin di mostrargli d’essere uomo di buona volontà, rispose che volentieri gli renderebbe quel servizio, e che bastava facessegli soltanto vedere come si doveva fare. Allora il mugnaio l’attaccò a mezza vita, al modo stesso d’una mula, per far girare la macina; e dandogli poi una frustata sulle reni: — Avanti, vicino,» gli disse. — E perchè mi battete?» chiese mio fratello. — Per incoraggiarvi,» rispose quello, «perchè altrimenti la mia mula non andrebbe.» Bacbuc stupì di quel trattamento; pure non osò lagnarsene. Quand’ebbe fatto cinque o sei giri, volle riposare; ma il mugnaio gli applicò una buona dozzina di frustate, dicendo: — Coraggio, vicino; non fermatevi, ve ne prego; bisogna camminare senza pigliar fiato, altrimenti mi guastereste la farina.»