Le Mille ed una Notti/Storia del pescatore
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Traduzione dall'arabo di Antoine Galland, Eugène Destains, Antonio Francesco Falconetti (1852)
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STORIA
DEL PESCATORE.
«Sire, viveva una volta un pescatore assai vecchio, e tanto povero, che a stento guadagnava di che mantenere la moglie e tre fanciulli, ond’era composta la sua famiglia. Egli andava tutti i dì alla pesca di buon mattino, ed ogni giorno erasi prefisso di non gettare le reti più di quattro volte. Un mattino ei partì al chiaro di luna, e recatosi in riva al mare, si svestì, e gettò le reti; nel tirarle alla sponda, sentì sulle prime alquanta resistenza, per cui credendo aver fatta buona preda, già ne gioiva. Ma poco dopo, accortosi non esservi invece nella rete che un carcame d’asino, n’ebbe gran dolore....»
Scheherazade a tal punto, vedendo spuntare il giorno, cessò di favellare. — Sorella,» disse Dinarzade, «ti confesso che questo principio mi piace, e prevedo che il resto sarà dilettevole. — Non avvi caso più maraviglioso dell’istoria del pescatore;» rispose la sultana, «e ne sarai persuasa la prossima notte, se il sultano mi fa la grazia di lasciarmi in vita.» Schahriar, curioso di udire l’esito della pesca del vecchio, non volle in quel dì far perire Scheherazade. Pertanto alzatosi, non diè ancora il comando crudele.
NOTTE IX
— Mia cara sorella,» sclamò Dinarzade l’indomani all'ora consueta, «ti supplico di finire il racconto del pescatore. Io ardo dal desiderio d’udirlo. — Son subito ad appagarti,» rispose la sultana. Nello stesso tempo ne chiese licenza al principe, ed ottenutala, ripigliò in tali accenti:
«Sire, quando il pescatore, dolente d’aver fatto sì cattiva preda, ebbe raccomodate le sue reti, rotte dal carcame dell’asino in più luoghi, gettolle un’altra volta. Nel tirarle, sentì ancora molta resistenza, cosa che l’indusse di nuovo a crederle piene di pesce. Ma avendovi invece trovato un gran canestro pieno di sabbia e di fango, ne fu sommamente accorato, e sclamò con voce lamentevole: — O fortuna, cessa una volta dall’essere irritata contro di me, e non perseguitar più un infelice che ti supplica di risparmiarlo. Io non ho altro mestiere fuor di questo per vivere, e malgrado tutte le cure che vi metto, appena giungo a provvedere ai più urgenti bisogni della mia famiglia. Ma io a torto mi lagno di te; tu ti compiaci di maltrattare gli onesti, e lasciare i grandi uomini nell’oscurità, mentre favorisci i malvagi, od innalzi quelli che non hanno virtù che li renda pregevoli.
«Sì lagnandosi, buttò via sdegnosamente il canestro, e lavate ben bene le reti imbrattate dal fango, gettolle una terza volta, ma anche allora ne trasse sol poche pietre, conchiglie e melma; talchè ci venne in tanta disperazione, che poco mancò non ne impazzisse. Nondimeno, poichè già cominciava ad albeggiare, non dimenticò di fare la sua preghiera da buon musulmano (1), e vi aggiunse questa: «Signore, voi sapete ch’io getto le reti quattro sole volte al giorno. Io le ho già gettate tre volte senza cavare il più piccolo frutto della mia fatica. Ora me ne rimane soltanto una, e per questa vi supplico di rendermi propizio il mare, come faceste con Mosè (2).» Il pescatore, finita la preghiera, gettò le reti per la quarta volta; e quando pensò potesse esservi pesce, le tirò come le altre volte a riva con infinito stento. Pure non ne contenevano uno solo; ma vi trovò invece un vaso di rame giallo, il quale, giudicandone dal peso, gli parve pieno di qualche cosa. Ei notò eziandio ch’era chiuso e suggellato di piombo, e portava l’impronta d’un suggello. Tal vista rallegrollo alquanto. — Io lo venderò al fonditore,» disse tra sè, «e col denaro che potrò ritrarne, voglio comprare una misura di biada.
«Allora si mise ad esaminare il vaso d’ogni lato, lo agitò per vedere se il contenuto facesse rumore, ma non udendo nulla, tal circostanza, insieme all’impronta del suggello sul coperchio di piombo, lo indusse a pensare, che racchiudesse alcun che di prezioso. Per venirne in chiaro, prese il coltello, con fatica l’aperse, e ne volse tosto l’apertura contro terra, aspettando di vederne uscire qualche cosa; ma con somma sua meraviglia nulla ne venne fuori. Allora postoselo davanti, si mise a considerarlo attentamente, e scorse uscirne un denso fumo che lo costrinse a retrocedere di due o tre passi. Quel fumo alzossi fino alle nubi, e stendendosi sul mare e sulla riva, formò un fitto nebbione, il quale spettacolo cagionò, come ognun potrà immaginarsi, non poco spavento al pescatore. Allorchè il fumo fu tutto fuor del vaso, si raccolse, diventò un corpo solido, e se ne formò un genio due volte più alto del più grande dei giganti. All’aspetto di sì smisurato mostro, il pescatore volle darsi alla fuga; ma il terrore lo tenne inchiodato al suo posto.
— Salomone (3),» sclamò tosto il genio, «Salomone, gran profeta di Dio, io ti chieggo perdono; mai non mi opporrò alla tua volontà. Io obbedirò a tutti i tuoi comandi....»
Scheherazade, scorgendo il giorno, interruppe qui la narrazione. Dinarzade allora disse: — Sorella, non si può mantener meglio la tua promessa di quel che facesti. Questo racconto è davvero più maraviglioso degli altri. — Sorella,» rispose la sultana, «tu udrai cose che ti faranno ancor più stupire, se il sultano mi permette di narrartele.» Schahriar bramava troppo udire il resto per privarsi di tal piacere, e differì al mattino susseguente la morte della sultana.
NOTTE X
La notte seguente, Dinarzade, chiamata la sorella quando le parve tempo, la pregò di continuare la novella del pescatore. Il sultano, dal canto suo, dimostrossi impaziente di sapere qual contrasto avesse avuto il genio con Salomone. Ed ecco come Scheherazade proseguì il racconto:
«Sire, il pescatore, non appena ebbe udite le parole preforite dal genio, a lui si volse e disse: — Spirito superbo, che cosa osate dire? Sono più di mille e ottocento anni che Salomone, il profeta di Dio, è morto, e noi siamo ora alla fine dei secoli. Raccontatemi la vostra storia, e per qual motivo eravate chiuso in codesto vaso.
«A tali parole, il genio guatò con fierezza il vecchio, e risposegli: — Parla più cortesemente con me: tu sei ben temerario per chiamarmi spirito superbo. — Or bene,» disse il pescatore, «vi parlerò io più urbanamente chiamandovi gufo della felicità? — Ti dico,» soggiunse il genio, «di parlarmi più cortese, anzi ch’io ti uccida. — E perchè mi ucciderete voi?» rispose il pescatore. «Io v’ho posto adesso in libertà: l’avete già dimenticato? — No, me ne ricordo,» ripigliò il genio; « ciò però non m’impedirà di farti morire, ed una sola grazia posso concederti. — E qual è questa grazia?» chiese il pescatore. — Di lasciarti scegliere il genere di tua morte. — Ma,» soggiunse il pescatore, « in che cosa vi ho mai offeso? È questo il modo di ricompensarmi del beneficio che v’ho recato? — Io non posso trattarti altrimenti,» disse il genio, «e affinchè ne sii persuaso, odi la mia storia.... Io son uno degli spiriti rubelli che si opposero ai voleri di Dio. Tutti gli altri geni riconobbero il gran Salomone, profeta di Dio, e gli si assoggettarono. Noi soli, Sacar ed io, non volemmo piegarci a tanta viltade. Per vendicarsi, quel potente monarca incaricò Assaf, figlio di Barakhia suo primo ministro, di prendermi; ciò fu eseguito sull’istante. Assaf s’impadronì di me, malgrado la mia energica resistenza, e mi trascinò davanti al trono del re tuo signore, Salomone, figlio di David, il quale mi comandò di abbandonare il mio tenore di vita, di riconoscere il suo potere, e sottopormi a’ suoi comandi. Io ricusai altamente di obbedirgli, e preferii espormi a tutto il suo sdegno, anzichè prestargli il giuramento di fedeltà e sommessione ch’egli esigeva. Allora, per castigarmi, mi rinchiuse in questo vaso di rame, e per assicurarsi ch’io non potessi fuggire dalla mia prigione, impresse egli medesimo sul coperchio di piombo il suo suggello, ov’era scolpito il gran nome di Dio. Consegnò quindi il vaso ad uno dei genii che lo servivano, ed imposegli di buttarmi in mare; il che tosto fece con mio gran dolore. Durante il primo secolo della mia cattività, giurai che se alcuno m’avesse liberato prima di cent’anni, lo avrei arricchito anche dopo la sua morte. Ma il secolo trascorse, e niuno mi rese tal servigio. Nel secondo secolo feci giuramento di aprire tutti i tesori della terra a chiunque mi avesse liberato, ma non fui più felice di prima. Nel terzo promisi di fare del mio salvatore un possente monarca, di star sempre presso di lui in ispirito, e concedergli ogni giorno tre domande, di qualunque natura fossero; ma quel secolo passò come gli altri due, ed io rimasi nella stessa condizione. Infine dolente, anzi irritato di vedermi sì a lungo prigione, giurai che se alcuno mi avesse posto in libertà, lo avrei fatto tosto morire, non accordandogli verun’altra grazia, fuorchè la scelta della morte. Or dunque, poichè tu sei oggi qui venuto, e m’hai liberato, scegli in qual modo vuoi ch’io t’uccida.
«Quel discorso afflisse oltremodo il pescatore. — Io sono ben infelice,» sclamò, «d’essere capitato in questo luogo a rendere sì gran servigio ad un ingrato! Riflettete, vi prego alla vostra ingiustizia, e rivocate un giuramento sì poco ragionevole. Perdonatemi, e Dio perdonerà a voi pure: se sarete generoso tanto da lasciarmi in vita, egli vi farà sicuro d’ogni trama che potesse ordirsi contro i vostri giorni. — No, la tua morte è certa,» disse il genio, «non ti rimane che a sceglierne il modo.» Il pescatore, vedendolo risoluto ad ucciderlo, n’ebbe estremo dolore, non tanto per amore di sè, quanto a cagione de’ suoi tre figliuoletti de’ quali piangeva la miseria cui sarebbero ridotti per la di lui morte. Tentò dunque ancora di pacificare il genio. — Aimè!» disse; «abbiatemi pietà, in considerazione di quello che feci per voi. — Io te l’ho già detto,» soggiunse il genio, «è appunto per ciò che sono costretto a torti la vita. — Parmi strano davvero,» disse il pescatore, «che voi vogliate render male per bene. Il proverbio insegna, che chi fa del bene a chi non n’è degno, n’è sempre mal ricompensato. Io credei finora che il proverbio mentisse, ed infatti nulla più contrasta colla ragione e coi diritti sociali; nondimeno ora io provo in crudel guisa ciò esser pur troppo vero. — Non perdiamo il tempo,» disse il genio; «tutti i tuoi ragionamenti non valgono a stornarmi dal mio proposito. Presto, dimmi in qual modo brami tu ch’io ti finisca.» La necessità rende lo spirito più sottile ed inventivo, ed il pescatore imaginò uno strattagemma. — Poichè non posso sfuggire alla morte,» disse al genio, « sia fatta la volontà di Dio. Ma prima ch’io scelga la maniera di morire, vi scongiuro pel gran nome di Dio, scolpito sul suggello del profeta Salomone, figlio di David, di rispondermi la verità ad una domanda che intendo farvi.» Quando il genio udì quello scongiuro che costringevalo a rispondere categoricamente, tremò fra sè, e disse al pescatore: — Chiedimi ciò che vuoi, ma fa presto....»
Essendosi intanto fatto giorno, Scheherazade si tacque. — Sorella,» le disse Dinarzade, «bisogna confessare che più tu parli, più mi diletti. Spero che il sultano, nostro signore, non ti farà morire prima di aver udito il fine del racconto del pescatore. — Il sultano è il padrone,» soggiunse Scheherazade; «bisogna fare quanto a lui piacerà.» Il sultano, che non avea minor desiderio d’udire il resto del racconto, differì ancora la morte della moglie.
NOTTE XI
Schahriar e la principessa sua sposa passarono la notte nel modo medesimo delle precedenti, e prima che spuntasse l’alba, Dinarzade li svegliò colle seguenti parole, da lei volte alla sultana: — Sorella, ti prego di continuare il racconto del pescatore. — Ben volontieri,» rispose Scheherazade; «io mi farò premura d’accontentarti, col permesso del sultano.
«Quando il genio,» proseguì ella, «ebbe promesso di rispondere la verità, il pescatore disse: — Io vorrei sapere se realmente voi eravate in questo vaso; potreste voi giurarlo pel gran nome di Dio? — Sì,» rispose il genio, «giuro per codesto gran nome, che io era in esso, e ciò è verissimo. — Affè,» soggiunse il pescatore, «io non posso crederlo. Questo vaso non sarebbe capace di contenere neppur uno de’ vostri piedi: come può darsi che il vostro corpo vi stesse rinchiuso per intiero? — Eppure ti giuro, che io c’era tal quale mi vedi. Non vorresti forse credermi dopo il gran giuramento che t’ho fatto? — No davvero,» disse il pescatore, «io non vi crederò finchè non me lo mostriate in fatto.
«Allora la corporea sostanza del genio si disciolse, e cambiandosi in fumo, si distese come prima sul mare e sulla riva, poi raccogliendosi, cominciò a rientrare nel vaso a poco a poco, e continuò così successivamente e con lentezza, finchè non rimase più nulla al di fuori. Allora ne uscì una voce che disse: — Ebbene, incredulo, eccomi dentro al vaso, ora mi presti tu fede?
«Il pescatore, invece di rispondere, prese il coperchio di piombo, e chiusone prontamente il vaso, sclamò: — O genio, chiedimi mercè alla tua volta, o scegli di qual morte vuoi ch’io ti faccia perire. Ma no, è meglio ch’io ti getti di nuovo nel mare, al medesimo luogo donde ti trassi; poi farò costruire una casa su questa riva, ov’io abiterò per avvisare tutti i pescatori che qui verranno a gettar le reti, di guardarsi dal cavar dall’acqua un genio sì maligno qual tu sei, che giurò di sterminare chi lo metta in libertà.
«A tai detti offensivi irato il genio fece ogni sforzo per uscire dal vaso, ma non riescì, perchè l’impronta del suggello del profeta Salomone, figlio di David, glielo impediva. Vedendo adunque che il pescatore aveva vinto, pigliò il partito di dissimulare la propria collera. — Pescatore,» disse con più dolce accento, «guardati dal fare quanto dicesti. Quelle mie parole furono un semplice scherzo, e tu non devi pigliar la cosa sul serio. — O genio,» rispose il pescatore, «tu che poc’anzi eri il più grande, ed ora sei il più piccolo dei geni, sappi che i tuoi discorsi artifiziosi nulla ti gioveranno. Tu tornerai in fondo al mare; se vi dimorasti il tempo che m’hai detto, puoi ben restarvi fino al dì del giudizio. Io ti scongiurai in nome di Dio di non togliermi la vita, tu respingesti le mie preghiere; ora a me tocca renderti la pariglia.» Il genio non risparmiò nulla onde commovere il pescatore. — Apri il vaso,» disse, «rendimi la libertà, te ne supplico: io ti prometto che sarai contento di me. — Tu sei un traditore,» soggiunse il vecchio accorto, «ed io meriterei di perdere la vita, se avessi l’imprudenza di fidare in te. Tu non mancheresti di trattarmi nella guisa stessa onde un certo re greco trattò il medico Duban. È una storia che voglio narrarti: ascolta.
Note
- ↑ La preghiera è uno dei quattro principali precetti del Corano.
- ↑ I Musulmani riconoscono quattro grandi profeti o legislatori: Mosè, David, Gesù Cristo e Maometto.
- ↑ I Maomettani credono che Dio abbia dato a Salomone il dono dei miracoli più che a verun altro prima di lui. Secondo essi, egli comandava agli angeli ed ai demoni, era portato dai venti in tutte le sfere o al di sopra degli astri; gli animali, i vegetabili ed i minerali gli parlavano ed ubbidivano; si faceva insegnare da ciascuna pianta qual ne fosse la particolare virtù, e da ciascun minerale in qual cosa potesse adoperarsi; conversava cogli uccelli, e giovavasi di essi per amoreggiare colla regina Saba ed indurla a venirlo a trovare. Tutte queste favole del Corano sono tolte dai commentari degli Ebrei.